[SinistraInRete] Gioacchino Orsenigo: I tredici giorni di Columbia. Breve storia del nuovo ’68 americano

Rassegna 14/05/2024

Gioacchino Orsenigo: I tredici giorni di Columbia. Breve storia del nuovo ’68 americano, dalle tende a Hind’s Halldi

paroleecose2

I tredici giorni di Columbia. Breve storia del nuovo ’68 americano, dalle tende a Hind’s Hall

di Gioacchino Orsenigo

Descrivere quanto accaduto a Columbia e più in generale nelle università degli Sati Uniti non è facile, soprattutto per me, che mi ci sono ritrovato coinvolto un po’ per caso, per via di alcune ricerche accademiche che mi hanno portato a New York, in quella che sarebbe diventata il cuore della protesta. Il lavoro perde d’importanza quando la storia ti capita così improvvisamente tra i piedi e provare a ricostruire quello che ho vissuto in questi giorni è un grande onore.

Rimando anche all’intervista che ho fatto ad Aidan, attivista queer e una delle voci della rivolta, per Napoli Monitor e Radio Onda d’Urto, e che ha ispirato questo articolo (disponibile qui e qui).

La notte tra il 30 aprile e il primo maggio, abbiamo assistito a una brutale prova di forza da parte delle autorità di Columbia e della polizia di New York. Almeno un migliaio di agenti ha fatto incursione all’interno del Campus, istituendo una zona rossa che militarizzava di fatto tutto l’Upper West Side. Sono state arrestate circa 170 persone, tra occupanti e solidali. Immagini di studenti trascinati e scaraventati giù dalle scale sono state diffuse sui social dagli stessi studenti presenti perché l’accesso al Campus era stato in parte limitato anche ai giornalisti e agli osservatori legali. Nel frattempo, veniva sgomberato anche l’accampamento di CCNY – City College of New York – mentre a UCLA, in California, l’accampamento degli studenti veniva attaccato da manifestanti pro-israele con lanci di fuochi d’artificio, mattoni e spranghe. Quanto accaduto quella notte è stato l’evento culminate di giorni di grande tensione e l’ultimo atto della politica di zero tolleranza promossa dalle autorità della Columbia.

Leggi tutto

Ghassan Abu-Sittah: “Gaza è il laboratorio dove il capitale globale sta esaminando la gestione delle popolazioni in eccesso”

comedonchisciotte.org

“Gaza è il laboratorio dove il capitale globale sta sperimentando la gestione delle popolazioni in eccesso”

di Ghassan Abu-Sittah

Il discorso integrale del chirurgo britannico-palestinese dopo la sua schiacciante vittoria come Rettore dell’Università di Glasgow

41 2024 638504420014838690 483.jpgPubblichiamo questo contributo non per i suoi riferimenti all’economia green e alla parità di genere, o per l’attenzione alle minoranze della società multiculturale: sembra che senza far minimo riferimento a questi concetti non si possa essere presi sul serio, soprattutto in ambienti scolastici e universitari.

Eppure dagli Stati Uniti all’Inghilterra fino in Europa, sta dilagando la protesta studentesca scolastica e universitaria, come sempre, a rischio strumentalizzazione o forse più.

Tuttavia, il discorso che state per leggere del nuovo Rettore dell’ateneo di Glasgow – quindi un discorso istituzionale – contiene elementi molto interessanti e fattuali contro le politiche genocide di Israele che sarebbero prese a modello in tanti angoli del mondo da altri governi.

Non solo Gaza, quindi: anche in questo Occidente pronto a tutto?

Sono davvero pronti a tutto: contro i popoli e quindi anche contro di noi, che un giorno potremmo diventare “socialmente indesiderati”, se non lo siamo ancora.

Non è neppure una questione, come afferma l’autore – Ghassan Abu-Sittah – di lottare “contro il nemico comune di un fascismo di destra in ascesa”.

Semmai di lottare contro il sionismo di ogni colore politico, contro il globalismo in ogni sua variante o camuffamento.

Il laboratorio – Gaza va avanti da secoli in ogni dove, ma non solo nel cosiddetto terzo mondo, come invece fa intendere Abu-Sittah. Lo dimostra ciò che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle durante l’emergenza Covid.

Buona lettura.

Leggi tutto

Franco Romanò: Sraffa e Wittgenstein

blogdifrancoromano

Sraffa e Wittgenstein

di Franco Romanò

imagesnkvct.jpgPremessa

Le relazioni fra Piero Sraffa e Ludwig Wittgenstein a Cambridge sono state affrontate in vario modo da diversi studiosi e sono anche oggetto di controversie, per un certo alone di mistero che – si suppone – avvolga le biografie di entrambi; e anche, infine, per le spigolosità ed eccentricità dei loro caratteri. Inoltre, i due facevano parte di una costellazione di rapporti, al cui centro troviamo John Maynard Keynes, mentore di molti di loro, nonché grande e perspicace organizzatore di uomini oltre che economista. Sullo sfondo due ultimi convitati di pietra: Antonio Gramsci e l’italianista Raffaello Piccoli. I cosiddetti misteri vanno a mio avviso ridimensionati e molti di essi riguardano un aspetto delle loro relazioni su cui porre subito attenzione, tanto esso è particolare e sorprendente nel secolo dell’esplosione abnorme dell’esposizione mediatica. Nel loro caso, le relazioni sembrano provenire da un mondo precedente, in cui le conversazioni mentre si passeggiava o si andava in canoa erano altrettanto importanti quanto le conferenze ufficiali e le lezioni accademiche. Naturalmente tale circostanza, assai affascinante, pone però chi si occupa di loro nella stessa condizione di un archeologo che ritrova dei reperti cui mancano sempre dei pezzi; inoltre tale circostanza favorisce il moltiplicarsi di ipotesi, gli aneddoti e le dicerie. Infine, ci sono diversi aspetti di tali relazioni che s’intrecciano – personali e non – altrettanto affascinanti. Quello di cui mi occuperò prevalentemente in questo scritto riguarda però una questione specifica. Essa è stata sollevata in un saggio di Giorgio Gattei: se e in che modo le Osservazioni e le Ricerche filosofiche di Wittgenstein e cioè le opere successive al Tractatus, abbiano influenzato gli scritti economici di Piero Sraffa.1

Leggi tutto

Roberto Iannuzzi: Mentre USA e UE si logorano nei conflitti militari, Pechino sta vincendo la sfida economica

intelligence for the people

Mentre USA e UE si logorano nei conflitti militari, Pechino sta vincendo la sfida economica

di Roberto Iannuzzi

Mentre Biden, con l’Europa al seguito, continua a investire risorse a Gaza e in Ucraina, e nel tentativo di circondare la Cina, Pechino è concentrata sulla competizione economica e tecnologica

La visita europea del presidente cinese Xi Jinping ha messo in evidenza, qualora ve ne fosse bisogno, la posta in gioco fra Cina e Occidente: il legame tra Mosca e Pechino da un lato, e la potenza economica cinese, con cui USA ed Europa hanno crescenti difficoltà a competere, dall’altro.

Il viaggio di Xi è stato denso di significati simbolici, dalla celebrazione dei sessant’anni di relazioni diplomatiche fra Pechino e Parigi, all’arrivo del leader cinese in Serbia in coincidenza con il 25° anniversario del bombardamento americano dell’ambasciata cinese a Belgrado.

Pechino è il primo investitore straniero nel paese balcanico. I finanziamenti cinesi hanno raggiunto i 20 miliardi di dollari. E mercoledì i due paesi hanno annunciato un nuovo accordo di libero scambio che dovrebbe cancellare i dazi su quasi il 95% delle esportazioni serbe verso la Cina entro al massimo dieci anni.

Ultima tappa del viaggio del presidente cinese è stata l’Ungheria del premier Viktor Orbán, membro europeo chiave della Belt and Road Initiative, la via della seta tanto osteggiata da Washington.

Leggi tutto

Marco Cattaneo: Chiariamoci sul Giappone

bastaconeurocrisi

Chiariamoci sul Giappone

di Marco Cattaneo

Il Giappone è una delle bestie nere degli euroausterici: enorme debito pubblico, altissimi e persistenti deficit, monetizzazione costante ed elevata da parte della Banca Centrale, tassi vicini a zero da trent’anni. Dovrebbe avere rischi enormi di insolvenza e/o di inflazione – SE la visione euroausterica avesse qualche atomo di plausibilità – e invece ? e invece no.

Non tutti gli euroausterici però demordono. Anzi qualcuno arriva a dire che “eh ma il Giappone è un caso diverso, i motivi sono noti, non puoi prenderlo a paragone”.

Per quali ragioni il Giappone “sarebbe diverso” ? perché hanno gli occhi a mandorla e hanno inventato Godzilla ? no, l’euroausterico in questo caso cerca di argomentare. Ma non va lontano.

“In realtà il dato giapponese di debito pubblico / PIL, il 260%, non è confrontabile perché c’è un diverso trattamento contabile degli impegni pensionistici”. Scrivere al Fondo Monetario Internazionale, please. I dati li riportano loro, c’è da supporre che siano rilevati in modo coerente e omogeneo, e dicono che il debito / PIL giapponese è quasi il doppio di quello italiano e più del doppio di tutti gli altri.

“Il Giappone ha grandi riserve valutarie”. E allora ? queste riserve non sono poste in alcun modo, né formale né sostanziale, a garanzia del debito.

Leggi tutto

Fabrizio Verde: 9 maggio 1945. Il discorso della vittoria di Stalin riletto oggi

lantidiplomatico

9 maggio 1945. Il discorso della vittoria di Stalin riletto oggi

di Fabrizio Verde

Il 9 maggio è una data significativa nella storia, che segna non solo la fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa con la resa della Germania nazista nel 1945, ma anche la celebrazione annuale della vittoria nella Grande Guerra Patriottica in Russia. In questo giorno, il leader sovietico Joseph Stalin pronunciò un discorso al popolo dell’Unione Sovietica, riflettendo sulla monumentale vittoria ottenuta e sui sacrifici che erano stati fatti per ottenerla. Il discorso di Stalin sottolineò l’unità, la determinazione e la resilienza del popolo sovietico di fronte a difficoltà schiaccianti e mise in risalto gli sforzi eroici dell’Armata Rossa nello sconfiggere le forze tedesche.

Il discorso di Stalin del 9 maggio 1945 servì da grido di battaglia per il popolo sovietico mentre celebrava la vittoria sul fascismo e guardava al futuro con speranza e ottimismo. Il discorso rafforzò l’idea dell’Unione Sovietica come una nazione potente e unita, capace di superare qualsiasi sfida si presentasse. Le parole di Stalin risuonarono tra le persone, ispirandole a continuare la lotta per la pace, la libertà e la giustizia nel mondo del dopoguerra.

Leggi tutto

Salvatore Bravo: Intercosalità didattica

sinistra

Intercosalità didattica

di Salvatore Bravo

La scuola e la formazione sono assediate dal capitalismo. La centralità dell’alunno è stata sostituita con le prescrizioni del mercato. L’alunno non è più il fulcro vivente della didattica, ma è il mercato a guidare l’istituzione. Il PNRR ne è una prova, le scuole sono investite da una sbornia tecnocratica funzionale al mercato. Il tempo della formazione e della conoscenza consapevole del “bene e del male” è sostituito dal fare. La volontà è attaccata frontalmente, poiché la dipendenza dalle tecnologie erode e corrode la prassi per sostituirla con abili click attraverso i quali ci si percepisce padroni e signori del mondo. La dipendenza da strumenti tecnologici deforma le personalità, le quali coltivano sogni prometeici di onnipotenza. La ragione oggettiva gradualmente è sostituita dalla pianificazione manageriale per cui ogni azione dev’essere tradotta in attività finanziaria. L’introduzione delle tecnologie in quantità crescenti e asfissianti è l’espressione compiuta della logica dell’economicismo. Si insegna il marketing e l’autopromozione. La somma finale è la deformazione del senso etico e comunitario con la complicità a volte silenziosa della comunità scolastica e della politica.

Leggi tutto

Matteo Nucci: Il suicidio dell’Occidente

minimamoralia

Il suicidio dell’Occidente

di Matteo Nucci

1g e1715263908675.jpgIn questo momento, mentre comincio a scrivere, i video che arrivano dalla striscia di Gaza raccontano quella che sarà forse la fase finale dello sconvolgente massacro con cui da 215 giorni l’esercito israeliano rade al suolo un sovrappopolato angolo di terra. I tank sono entrati a Rafah e alcuni dei video mostrano in soggettiva l’ingresso israeliano. Si tratta dunque degli stessi militari che stanno filmando. Il più gettonato, fra questi trofei di guerra, mostra la famosa scritta I LOVE GAZA forse in plastica, certo tridimensionale, rossa, con il classico cuore. Si avvicina sempre più via via che il tank avanza. Poi le ruote cingolate la inghiottono. È un’anticipazione di quel che sarà: rovine e morte. Una terra spianata, il sangue interrato, il numero delle vittime incerto.

Ovviamente le storie che compaiono sui social sono già innumerevoli e di molti tipi. E se avete cuore, mentre vi meraviglierete di dover ricorrere a un simile strumento per trovare i barlumi di verità negati dai principali media delle democrazie occidentali (in questi giorni dediti a tutt’altro tipo di informazione), troverete molte altre testimonianze della prospettiva israeliana. Per esempio, i festeggiamenti sionisti per la decisione finale di sferrare l’attacco a Rafah, nonostante l’accordo fosse raggiunto. Balli e grida di giubilo. Si stappa champagne, si ride. Si celebra l’imminente annientamento.

Ma c’è anche un’altra prospettiva, quella del popolo che viene massacrato. E qui si rischia di non aver parole per ripetere quel che da sette mesi abbiamo visto fino alla nausea: un palazzo divelto, due bambini intrappolati fra le macerie, gli uomini che scavano a mani nude tentando invano di salvarli perché il loro volto è già più grigio della cenere che li ricopre. Si chiamavano Mahmoud e Hamdam, 8 e 6 anni.

Leggi tutto

Andrea Coveri e Dario Guarascio: La guerra ai tempi del capitalismo digitale

crs

La guerra ai tempi del capitalismo digitale*

di Andrea Coveri e Dario Guarascio

Le guerre mostrano la relazione di mutua dipendenza che vi è tra le grandi piattaforme digitali e gli apparati militari, di sicurezza e di intelligence. Una dipendenza alimentata dal controllo che le grandi piattaforme esercitano su conoscenze, infrastrutture e tecnologie critiche di tipo “duale”

digitale1 1536x929.jpgIntroduzione

Le grandi piattaforme digitali sono uno dei principali vettori di cambiamento nelle economie contemporanee. Alla loro ascesa è legato il processo di digitalizzazione della produzione, del consumo, della comunicazione, della logistica nonché di un’ampia gamma di servizi pubblici. A tale processo, d’altra parte, si associa una concentrazione di potere economico e tecnologico che non ha precedenti, con implicazioni rilevanti per quanto riguarda la distribuzione del reddito, l’accesso alla conoscenza e all’innovazione, la frammentazione e precarizzazione del lavoro e, non meno rilevante, la crescita delle tensioni geopolitiche (Coveri et al., 2022)1. Le grandi piattaforme giocano infatti un ruolo centrale nel conflitto che vede contrapposti i due nascenti ‘complessi militari-digitali’, quello statunitense e quello cinese (Rolf e Schindler, 2023). Nel primo caso, le piattaforme chiave sono quelle comunemente note come ‘Big Tech’: Amazon, Meta (Facebook), Microsoft e Alphabet (Google). Tra le loro controparti cinesi è possibile invece annoverare colossi quali Alibaba, Baidu, JD e Tencent.

Nonostante le piattaforme digitali siano ormai al centro dell’attenzione in numerosi ambiti scientifici (tra questi, l’economia, le scienze politiche, il diritto del lavoro, gli studi manageriali e la sociologia), vi è un aspetto rilevante del loro potere che è rimasto relativamente inesplorato. Si tratta del nesso che lega le loro strategie di crescita e gli interessi dello Stato e, più specificamente, la relazione di mutua dipendenza che vi è tra le prime e gli apparati militari, di sicurezza e di intelligence. Una dipendenza alimentata dal controllo (spesso esclusivo) che le grandi piattaforme esercitano su conoscenze, infrastrutture e tecnologie critiche di tipo ‘duale’ (ossia con applicazioni in ambito sia civile che militare).

Leggi tutto

Eros Barone: Un oggetto di speculazione storiografica: le Brigate rosse

sinistra

Un oggetto di speculazione storiografica: le Brigate rosse

di Eros Barone

Image99762.jpg1. Una tesi che piace alla borghesia “di sinistra”

È vero che, come diceva Marc Bloch, “lo storico è come l’orco delle favole, va là dove sente odore di carne umana”, ma Sergio Luzzatto, a furia di scrivere biografie (fra queste quella del “Corpo del Duce” relativa alla sorte del cadavere di Mussolini, quella della “Mummia della repubblica” relativa alla sorte del cadavere di Giuseppe Mazzini, nonché quella di Padre Pio anch’essa incentrata sulla corporeità del santo); a furia di scrivere biografie, dicevo, si è talmente ingozzato di quel cibo da farne indigestione.

Il risultato è un tomo di 700 pagine, del quale, tenuto conto dei puntuali rilievi mossi da vari critici alla base documentale e testimoniale della ricostruzione e alla rielaborazione spesso romanzesca, fuorviante quando non fallace, cui quella base mette capo, il meno che si possa dire è, secondo un famoso adagio degli antichi, che “mega biblíon mega kakón” (un grosso libro è un grande male). In effetti, la tesi sostenuta dall’autore – essere state le Brigate rosse un prodotto confezionato da alcuni professori universitari di via Balbi (rione di Genova dove si trovano le sedi delle facoltà umanistiche) – è una mezza verità, che può piacere a quella frazione della borghesia intellettuale cui piace flirtare con i rivoluzionari, ma l’altra mezza verità, quella che qualitativamente è decisiva per l’interpretazione della genesi della lotta armata in Italia, ci dice che le radici più profonde delle Br vanno ricercate in una certa composizione di classe operaia e popolare, quindi non ad Albaro, quartiere residenziale alto-borghese di Genova, o in via Balbi o a San Martino, quartiere quest’ultimo dove si trovano le facoltà scientifiche, ma, oltre che a Oregina, a San Teodoro e nel Centro Storico, nel Ponente industriale, nella Valpolcevera delle grandi e piccole aziende, fra Sampierdarena, Cornigliano e Campi, quartieri schiettamente proletari.

Leggi tutto

Aymeric Monville: “I francesi sono contrari all’incoscienza e alla belligeranza dei politici”

lantidiplomatico

“I francesi sono contrari all’incoscienza e alla belligeranza dei politici”

Jafar Salimov intervista Aymeric Monville

Aymeric Monville, autore di saggi filosofici e politici, ha raccontato cosa pensano i francesi dell’idea di Emmanuel Macron di inviare soldati della NATO in Ucraina per combattere la Russia.

* * * *

– Emmanuel Macron è stato il primo tra tutti i leader mondiali ad afferare pubblicamente l’idea di inviare truppe NATO in Ucraina per combattere la Russia. È stato il riflesso di una sorta di consenso tra le élite francesi? Oppure stava preparando l’opinione pubblica all’afflusso di bare dall’Est? O qualcos’altro?

– La mancanza di consenso è stata espressa dal fatto che persino i russofobi patentati hanno criticato il Presidente Macron per essersi negato la possibilità di mantenere la necessaria “ambiguità strategica”, in breve di scoprire le sue carte. Ciò che colpisce, quindi, è che le sue dichiarazioni chiaramente non aiutano nemmeno la causa – antirussa – che pretendono di servire. Quanto sembra essere decisivo in questa vicenda, e questo sarebbe rassicurante perché dimostrerebbe che si tratta soprattutto di una questione di comunicazione, sono le scadenze elettorali, in particolare le elezioni europee del prossimo giugno.

Leggi tutto

Il Chimico Scettico: Irricevibili: i cantori postumi del vaccino AstraZeneca

ilchimicoscettico

Irricevibili: i cantori postumi del vaccino AstraZeneca

di Il Chimico Scettico

Pare che da certe cose non ci si salvi neanche uscendo dai social. Di linkedin non riesco a fare a meno, per questioni di lavoro, ma per quanto la sua natura originale sia sempre lì, da tempo è anche altro. E quindi aprendolo oggi mi ritrovo davanti ‘sta roba:

image meiwbfo6.png

Leggi tutto

Jeffrey D. Sachs e Sybil Fares: “La pace passa per l’adesione della Palestina all’ONU”

lantidiplomatico

“La pace passa per l’adesione della Palestina all’ONU”

di Jeffrey D. Sachs e Sybil Fares – Al Jazeera

Il 10 maggio, i 193 Stati membri delle Nazioni Unite possono porre fine alla guerra di Gaza e alla lunga sofferenza del popolo palestinese votando per l’ammissione della Palestina come 194° Stato membro dell’ONU.

Il mondo arabo ha ripetutamente dichiarato la propria disponibilità a stabilire relazioni con Israele nel contesto della soluzione dei due Stati. Ciò risale all’Iniziativa di pace araba del 2002 ed è stato ribadito nel Vertice straordinario arabo-islamico del 2023. Il 16 maggio, i leader della regione si riuniranno per il XXXIII Vertice della Lega Araba, dove probabilmente verrà lanciato un altro appello per la pace e la stabilità.

Il modo per porre fine alla guerra e normalizzare le relazioni in Medio Oriente è chiaro. Ammettere lo Stato di Palestina all’ONU, secondo i confini del 1967, con la sua capitale a Gerusalemme Est e con il controllo dei luoghi sacri musulmani. A quel punto, saranno stabilite relazioni diplomatiche e sarà garantita la sicurezza reciproca di Israele e della Palestina. La stragrande maggioranza del mondo è certamente d’accordo sulla soluzione dei due Stati, come sancito dal diritto internazionale e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite.

Leggi tutto

comidad: Il militarismo non riesce a essere serio

comidad

Il militarismo non riesce a essere serio

di comidad

I refusi hanno spesso un’intelligenza rivelatoria. Il 3 marzo dell’anno scorso sul sito web “Forze Italiane” un articolo illustrava i termini dell’esercitazione militare denominata Orion2023, affermando testualmente: “Domenica scorsa 700 soldati e 150 mezzi sono sbracati (sic!) sulle coste dell’Hérault, in Occitania: è questo lo scenario che fa da sfondo a Orion2023, la più grande esercitazione di guerra simulata degli ultimi decenni in Europa occidentale”.

L’articolo su “Forze Italiane” conteneva una domanda inquietante, cioè se queste esercitazioni di guerra simulata preparino alla guerra vera. Il problema è che il confine tra simulazione e verità, tra farsa e tragedia, non è affatto chiaro, tanto che viene da chiedersi se esista un militarismo che riesca a non sbracare. Affidiamoci alla parola di uno che ne capisce, il generale Paolo Capitini, che ha rilasciato un’ampia intervista a “Fanpage”, la testata giornalistica online che può essere considerata la Radio Maria della religione del politicamente corretto. Alla richiesta di un parere sulle dichiarazioni del presidente Macron sulla eventuale spedizione di truppe francesi in Ucraina, il generale Capitini non esita a definirle un “bluff”, poiché l’esercito francese nel suo complesso sarebbe di centocinquantamila uomini, per di più con mera esperienza di guerra coloniale, mentre nel solo Donbass sono schierati trecentomila militari russi, ormai resi esperti alla guerra simmetrica.

Leggi tutto

 

Sharing - Condividi