Rassegna 18/05/2024
Raffaele Sciortino: L’Europa morirà americana?
L’Europa morirà americana?*
di Raffaele Sciortino
Qual è oggi lo stato dei rapporti transatlantici nel quadro del conflitto ucraino e sullo sfondo del montante scontro Usa/Cina? Non è facile anche solo delinearne contorni e possibili evoluzioni sia per la complessità dei fattori in gioco sia a maggior ragione perché uno dei due poli della relazione non rappresenta un soggetto unitario. Qualunque cosa possa rappresentare oggi l’Europa sul piano politico e simbolico, l’Unione Europea (UE) non è uno Stato, non può dunque surrogare la semi-sovranità politica e militare – a far data dalla II Guerra Mondiale – della Germania, suo pilastro economico. Piuttosto, essa si configura come un terreno di scontro transatlantico e intra-europeo se non, sul medio-lungo periodo, come una delle poste in palio nella più generale crisi dell’ordine internazionale apertasi con il tonfo finanziario del 2008.
Comunque sia, nell’affrontare questo intricato nodo vanno tenuti presenti due elementi, che qui non è possibile approfondire. Gli Stati Uniti sono riusciti finora a evitare una recessione economica, dopo lo scontato rimbalzo post covid, grazie sia a forti sovvenzionamenti pubblici alle imprese (Bidenomics) sia alle esportazioni energetiche verso i paesi europei (uno dei dividendi della guerra in Ucraina). È assai dubbio se in prospettiva questa politica industriale possa portare ad una effettiva reindustrializzazione degli States e al ritorno di un compromesso sociale accettabile (la cui disgregazione è la vera causa del trumpismo). È plausibile, invece, che incrociandosi con la guerra economico-tecnologica alla Cina essa prefiguri un nuovo tipo di “economia di guerra”.1 In secondo luogo, e di conseguenza, il conflitto con Mosca non potrà che avere un effetto trascinamento sulla UE essendo plausibile che un’”Europa senza Russia porta a un’Europa senza Cina”.2
Rossella Latempa: Coreografi, dati e intelligenza artificiale a scuola
Coreografi, dati e intelligenza artificiale a scuola
di Rossella Latempa
“Immaginiamo un’aula dove alcuni studenti stanno lavorando alla progettazione delle piramidi con difficili calcoli che vengono dati in pasto a un’intelligenza artificiale per generare il progetto perfetto, altri dialogano con Dante al fine di farsi spiegare cosa c’è dietro agli aneddoti che vengono raccontanti nell’Inferno mentre un altro gruppo scrive un racconto collaborando con una chat intelligente. Sono scenari di utilizzo di strumenti di Intelligenza Artificiale Generativa (GenAI) che molti oggi stanno iniziando a immaginare, e, alcuni, a sperimentare.”
Le parole, tratte da un’intervista al sole 24 ore sul futuro dell’istruzione, sono di Cristina Pozzi, oggi Ceo & Co-Founder Edulia dal Sapere Treccani, qualche anno fa membro della task force per la scuola della ministra Azzolina: una manager visionaria, che ricordiamo già da allora per le sue ambiziose fantasie educative (vedi qui). L’immagine che le accompagna ritrae un’ideale scuola del futuro: aula dalle ampie vetrate, studenti di diverse età e nazionalità seduti attorno a tavoli di legno chiaro, tra tablet e artefatti digitali. Il blu è il colore dominante: sono vestiti di blu i due studenti al centro della scena, che danno le spalle a chi osserva, assorti su schermi bianchi e azzurri; blu sono i piccoli robot che camminano tra i gruppi di lavoro e blu è il grande robot-guida che campeggia sullo schermo alla parete. La scena è quasi evanescente: non c’è traccia di disordine, distrazioni, conflitti. Non c’è nemmeno traccia di insegnanti. L’immagine è quella di una comunità aperta, operosa e orizzontale, in cui le macchine collaborano con gli studenti in maniera quasi spontanea. Dunque, è questa la scuola del futuro? Sposteremo le risorse dai salari dei docenti alle Big Tech?
Redazione Contropiano: L’agguato sionista a Chef Rubio, un “salto di qualità” in una storia immonda
L’agguato sionista a Chef Rubio, un “salto di qualità” in una storia immonda
di Redazione Contropiano
A ottobre era toccato all’attivista italo-palestinese Karem Rohana, aggredito al suo ritorno all’aeroporto di Fiumicino.
Poi c’era stata la “parata in piazza” a Porta San Paolo alla manifestazione del 25 aprile con lanci di petardi e oggetti contro i manifestanti, intimidazioni ai giornalisti, minacce verbali contro le donne che manifestavano per la Palestina.
Poi c’era stato il raid di un commando all’università La Sapienza, a volto coperto, che ha vandalizzato in pieno pomeriggio la targa dedicata al professore Tayeh alla facoltà di Fisica e imbrattato con scritte “Israel” e stelle di Davide il muro all’entrata.
Giovedì mattina a uno studente di un liceo romano attivo sulla causa palestinese è stata fatta trovare una banconota israeliana davanti la porta dell’abitazione.
Adesso il pestaggio a sangue di Chef Rubio, sotto casa e dopo aver sabotato il cancello d’ingresso per avere la certezza di trovarlo fermo. Una tecnica da terrorismo urbano…
Difficile non prendere in considerazione la creazione di squadre d’azione, appositamente selezionate in base al tasso di fanatismo sionista, tra le comunità ebraiche della diaspora. Proprio quelle pianificate dal ministro della Sicurezza israeliano, Itamar BenGvir, contro gli attivisti palestinesi e filopalestinesi nei paesi dove sono in corso le mobilitazioni.
Antonio Castronovi: Contro l’Occidente
Contro l’Occidente
di Antonio Castronovi
A che punto della Storia, a quale incrocio esistenziale si trova oggi la civiltà europea e occidentale? Cosa è rimasto del grande sogno di emancipazione del lavoro e di una nuova civiltà che aveva animato il movimento operaio e socialista nel novecento? Cosa invece sta emergendo in alternativa? In sostanza, in che mondo oggi viviamo? Sono domande, queste, che ritornano e assillano le menti e le coscienze di tutti quelli che hanno vissuto una fase storica piena di promesse e che hanno visto svanire ed evaporare inesorabilmente le attese di una palingenesi che avrebbe indirizzato il destino dell’umanità verso l’approdo all’umanesimo socialista. Ma la storia ha marciato nella direzione opposta e contraria e oggi in Europa, la patria degli ideali socialisti, dominano una ideologia e una antropologia umana ai suoi antipodi, in cui si è persa perfino la memoria delle grandi lotte sociali che hanno reso grandioso e terribile il Novecento, che ha fatto tremare le classi possidenti di fronte all’assalto al cielo tentato dal movimento operaio col suo grido di rivolta. Tutto è finito, quel grido è rimasto soffocato nella gola dei vinti in attesa di essere riaccolto e rilanciato dai suoi eredi, di cui non si intravedono le sembianze. A noi sopravvissuti spetta il compito di coltivare la memoria di quelle lotte e di quei sacrifici e di comprendere gramscianamente le lezioni della storia.
Emiliano Brancaccio: La precarietà non crea lavoro
La precarietà non crea lavoro
Roberta Lisi intervista Emiliano Brancaccio
La flessibilità fa aumentare i profitti e riduce i salari, non aumenta l’occupazione. Lo spiega l’economista
Negli ultimi venticinque anni sono state molte le leggi che hanno favorito la precarizzazione del lavoro in Italia. L’ultima, forse la più crudele, è il Jobs Act. Tutto questo è stato contrabbandato come strumento per favorire l’occupazione, in realtà determina un calo delle retribuzioni reali e della quota salari sul prodotto interno lordo e, contemporaneamente, un aumento della quota profitti e della quota rendite sul prodotto interno lordo.
E per di più, forse soprattutto, ha indebolito fortemente il sistema produttivo italiano. Emiliano Brancaccio, docente di politica economica presso l’Università del Sannio, autore di ricerche sugli effetti della precarietà del lavoro pubblicate da varie riviste accademiche internazionali, illustra come sia la ricerca scientifica a certificare che i fautori della precarietà avevano e hanno obiettivi diversi dal creare lavoro di qualità. E i referendum della Cgil sono un utile strumento per cominciare a cambiare modello sociale ed economico.
* * * *
È vero, come dicono i sostenitori del Jobs Act, che la libertà di licenziamento crea lavoro?
Paolo Ferrero: Georgia, la legge anti-ong non è così strampalata: perché la ritengo legittima
Georgia, la legge anti-ong non è così strampalata: perché la ritengo legittima
di Paolo Ferrero
In questi giorni il parlamento georgiano ha approvato 84 voti a 30 – in terza lettura – una legge che obbliga le organizzazioni non governative e i media che ricevono più del 20% dei loro finanziamenti dall’estero a registrarsi come organizzazione che promuove gli interessi di una potenza straniera. Si prevede una multa per aver evaso la registrazione.
Questa legge serve a rendere evidente un fenomeno inaccettabile per qualunque democrazia e cioè che associazioni lautamente finanziate dall’estero possano presentarci come espressione della società civile e nel contempo operare per conto terzi a modificare o sovvertire la situazione del paese. Non si tratta quindi a mio parere di una legge così strampalata, soprattutto in un paese come la Georgia che su poco più di 3 milioni di abitanti vede la presenza di ben 25.000 Organizzazioni Non Governative (ong) di cui il 90% riceve finanziamenti dall’estero… Eppure l’Unione Europea ha preso posizione attraverso numerosi suoi esponenti contro questa legge che viene bollata come “russa”.
Ad esempio, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue Josep Borrell in una dichiarazione co-firmata con la Commissione europea, ha affermato che la legislazione è contraria alle ambizioni di adesione della Georgia all’Ue e dovrebbe essere eliminata nella sua interezza.
Patrizio Paolinelli: Narrazioni digitali. Diagnosi di un’immagine mentale
Narrazioni digitali. Diagnosi di un’immagine mentale
di Patrizio Paolinelli
ABSTRACT. Narrazioni digitali. Diagnosi di un’immagine mentale. In questo paper mettiamo in discussione il racconto ufficiale della rivoluzione digitale. Allo scopo analizziamo i significati contenuti nella sequenza visiva maggiormente utilizzata per interpretare il passaggio da una rivoluzione industriale all’altra. Tale sequenza istruisce il pubblico dei vecchi e nuovi media a un modo di pensare la tecnologia, i suoi effetti sociali e le sue tendenze future. Abbiamo smontato questo modo di pensare per separare la narrazione dalla realtà
Due svolte per una rivoluzione. Le comunità di pensiero (scientifica, letteraria, mediatica) affrontano l’urto dell’innovazione tecnologica sul presente rispondendo alla domanda: cosa sta accadendo oggi? E strutturano il futuro rispondendo a una seconda, inevitabile domanda: cosa accadrà domani? Dagli anni ’50 del secolo scorso i mondi della cultura, dell’impresa e dei media hanno progressivamente riempito biblioteche e archivi on-line di testi (orali, scritti, visivi) finalizzati a capire gli effetti sociali dell’automazione e a prevederne le tendenze future. Un impegno che aveva e ha ancora oggi ottimi motivi. Eccone due: 1) l’avvento della tecnologia elettronica di tipo digitale ha sconvolto i processi produttivi, contribuito a domare la forza-lavoro e affermato una nuova forma di accumulazione del capitale basata sull’informazione; 2) a partire dagli anni ’90 del XX secolo i proprietari dei vecchi e nuovi mezzi di produzione si sono impossessati dell’idea di rivoluzione spodestando nell’immaginario collettivo i rivoluzionari anticapitalisti ormai politicamente sconfitti. La due svolte, una economica e l’altra comunicativa, hanno avuto un successo travolgente e da alcuni decenni l’etichetta rivoluzione digitale è stata incollata all’insieme dei mutamenti innescati dalla tecnologia. Rivoluzione digitale: ecco la risposta alle angoscianti domande sul presente e sul futuro hi-tech.1
Storytelling globale. Corrono gli anni ’70 del ‘900 e il governo statunitense crea de facto la Silicon Valley.2 Se nella patria del profitto privato l’intervento dello Stato nell’economia fosse diventato di dominio pubblico per i tecno-imprenditori à la Steve Jobs si sarebbe trattato di un catastrofico danno d’immagine. A salvargli la faccia ha contribuito lo storytelling globale3 che accompagna i processi di automazione da un’ottantina danni a questa parte in un crescendo impressionate.
Paolo Persichetti: Manipolare i testimoni per deformare la storia
Manipolare i testimoni per deformare la storia
di Paolo Persichetti
Ancora una domenica bestiale su Rai tre, stavolta Report si inventa l’infiltrato della Cia nelle Brigate rosse. In azione il “metodo Mondani”: manipolare i testimoni per deformare la storia
Nella puntata di Report di oggi, domenica 12 maggio 2024, Paolo Mondani intervista lo storico Giovanni Mario Ceci che ha studiato tutti i documenti desecretati delle amministrazioni Usa degli anni 70 e dei primi 80: Dipartimento di Stato, Cia, Security Concil, rapporti dell’Ambasciata americana a Roma. Ricerca poi raccolta in un volume, La Cia e il terrorismo italiano, uscito per Carocci nel 2019.
Nei report desecretati si può leggere che «Nessuno è stato in grado di trovare nemmeno uno straccio di prova convincente del fatto che le Brigate rosse ricevevano ordini dall’estero». L’affermazione era giustificata dal fatto che solo la prova di una interferenza straniera che avesse messo a rischio la sicurezza e gli interessi statunitensi avrebbe legalmente giustificato l’intervento diretto della Cia negli affari interni italiani, più volte richiesto dal governo di Roma a cominciare dallo stesso Aldo Moro pochi mesi prima di essere rapito dalle Brigate rosse.
Nonostante il libro di Ceci, documenti alla mano, sostenga questa tesi, Mondani riesce a censurare l’intero contenuto del volume, ben 162 pagine, capovolgendone il senso.
I documenti raccolti da Ceci dimostrano come la Cia intervenne per reprimere le Brigate rosse, non certo per sostenerle o manipolarle, alla fine del 1981 quando queste rapirono il generale americano James Lee Dozier. L’intervento degli uomini di Langley fu tale che il governo Spadolini non esitò ad autorizzare le forze dii polizia all’impiego sistematico della tortura durante le indagini.
Importanti testimonianze di esponenti delle sezioni speciali antiterrorismo dei carabinieri emersi recentemente hanno dimostrato (leggi qui) che a cercare di avvicinare le Brigate rosse non fu la Cia ma il Partito comunista italiano con l’accordo del generale Dalla Chiesa dopo il gennaio 1979.
Federico Rucco: I sionisti negli Usa schedano e minacciano i manifestanti per la Palestina
I sionisti negli Usa schedano e minacciano i manifestanti per la Palestina
di Federico Rucco
Gli apparati israeliani, nel paese e all’estero, sono ormai all’isteria. Dopo aver praticato per mesi il vittimismo aggressivo che li contraddistingue – ma avendo verificato che non funziona più come prima – sono diventati solo aggressivi.
Il fatto che gran parte del mondo stia protestando in tutte le sedi – dalle Nazioni Unite alle università – contro il genocidio del popolo palestinese da parte di Israele, ha fatto letteralmente saltare i nervi e le vecchie rendite di potere di chi era abituato a vedere la propria visione della storia, dei fatti e del mondo mai contrastati e i propri crimini mai puniti.
È emblematico quanto racconta una inchiesta dell’agenzia Reuters su come un sito sionista – che agisce negli Usa ma è basato in Israele – sta cercando di intimidire i partecipanti alle crescenti proteste nelle università statunitensi.
Il sito si chiama Canary Mission e praticamente scheda e rende pubbliche foto, indirizzi etc, di studenti, professori, lavoratori, organizzazioni impegnate nella solidarietà con la Palestina. Una vera e propria istigazione all’aggressione personale. Questo spiega perché in molte occasioni i manifestanti filo.palestinesi indossino mascherine che rendono difficile le identificazioni.
Andrea Zhok: Tema del “riscaldamento climatico ad origine antropica”
Tema del “riscaldamento climatico ad origine antropica”
di Andrea Zhok
Ieri, salgo in treno a Milano alle 6 di mattina, è l’8 maggio e sono bardato come in gennaio. Sono 15 gradi e ha smesso di piovere da poco.
A memoria personale non ricordo una primavera più fredda. Fino a venti giorni fa accendevamo la stufa. Degli anni scorsi porto le foto di grigliate pasquali in canottiera. Mi risulta che questa sia stata esperienza comune in tutta Europa.
Ecco, come salgo sul treno, sullo schermo nel corridoio campeggia il titolo: “Dati Copernicus: E’ stato l’aprile più caldo della storia.”
Ecco, lo so che farò arrabbiare alcuni amici ecosensibili (lo sono io stesso), ma non posso fare a meno di notare che delle due l’una:
o mentre l’Europa andava in giro con il piumino, simultaneamente in Australia friggevano le uova sulla testa dei canguri, oppure questi dati sono affidabili quanto i dati sui vaccini, i debunking di Open, o la pubblicità dei dentifrici che sbiancano più bianco del bianco (lo assicura il 93,7% dei dentisti).
E qui sotto c’è naturalmente un problema serissimo, che metto giù schematicamente.
Piccole Note: Come gli Usa hanno favorito il messianismo della Grande Israele
Come gli Usa hanno favorito il messianismo della Grande Israele
di Piccole Note
L’attuale legame indissolubile USA-Israele è “il prodotto di condizioni uniche: il momento unipolare dell’America post-Guerra Fredda, il successo economico degli Stati Uniti degli anni ’90 e la Guerra Globale al Terrore”
L’intemerata di Biden contro l’attacco a Rafah finora non ha avuto esito. Netanyahu ha ribadito che proseguirà la campagna, cosa che sta accadendo, con i carri armati dell’esercito israeliano che hanno circondato la parte orientale di Rafah, i soldati che ne presidiano la strada principale, le bombe che continuano a cadere e a falciare vite.
Netanyahu isolato? Lo è anche Biden…
D’altronde, Netanyahu ha buon gioco: la durissima presa di posizione del presidente americano e la sospensione dei rifornimenti bellici a Israele ha suscitato forti contrasti in patria.
Anzitutto, il Segretario di Stato Tony Blinken, chiamato a riferire al Congresso se Israele viola i diritti umani, cosa che renderebbe più duratura la sospensione della consegna delle armi, dovrebbe fare un rapporto aspro, ma evitando di condannare Tel Aviv, dopo di che le pressioni per riprendere le consegne avranno campo più libero.
Nicole Janigro: Fachinelli e Pontalis. Cordialità per il reale
Fachinelli e Pontalis. Cordialità per il reale
di Nicole Janigro
Un giorno l’avvocato Guido Guerrieri decide che non ne può più. Quando è in tribunale non riesce a rintracciare il senso della professione, quando è a casa passa il tempo a riferire ad alta voce i suoi stati d’animo a Sacco, il suo pungiball. Inizia un’analisi e così conosce il dottor Carnelutti, un terapeuta junghiano appassionato di scienza quanto di tarocchi. Le loro conversazioni speciali occupano molte pagine di L’orizzonte della notte, l’ultimo bestseller di Gianrico Carofiglio dove le vicende di un processo per omicidio si intrecciano al racconto, verosimile, delle trasformazioni psichiche del protagonista. Carnelutti non sfoggia interpretazioni e sapere, la sua postura è molto vicina a quella cordialità per il reale di cui parla Pontalis in Finestre: “Voler bene ai propri pazienti: condizione perché in loro torni il gusto di vivere e le cose trovino il proprio sapore, perché sull’ostilità, sul rifiuto predomini almeno ciò che un pittore innamorato dei colori chiamava ‘cordialità per il reale’”.
A Jean-Bertrand Lefèvre Pontalis, noto come J.-B. Pontalis – per distinguere lui dal fratello la madre li chiamava con le iniziali –, e a un’altra personalità libera e originale come Elvio Fachinelli è dedicato La psicoanalisi come esperienza di libertà: Fachinelli-Pontalis, ultimo numero di «Frontiere della psicoanalisi» (Vol. 1-2, 2023, il Mulino).
I più letti degli ultimi tre mesi
Carlo Formenti: Libere di vendere il proprio corpo a pezzi
Piero Pagliani: Raddoppiare gli errori fatali
Daniele Luttazzi: Al NYT hanno scoperto che gli “stupri di massa” erano solo propaganda
Luciano Bertolotto: Credito, finanza, denaro … fiducia
Fabio Mini: Il pantano dell’ultimo azzardo e i trent’anni contro la Russia
Piero Bevilacqua: Gli Usa e il “metodo Giacarta”: il massacro delle popolazioni come politica estera
Giulia Bertotto: Terza Guerra Mondiale? Attenzione al fattore “disperazione”
Clicca qui se vuoi cancellarti