[SinistraInRete] Nico Maccentelli: I fronti popolari che servono alla guerra della NATO

Rassegna 19/06/2024

Nico Maccentelli: I fronti popolari che servono alla guerra della NATO

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I fronti popolari che servono alla guerra della NATO

di Nico Maccentelli

nouveau front populaire 2048x1365.jpgCi ho pensato molto a pubblicare questo mio contributo, perché so che quanto sta per accadere in Italia, in Francia, un po’ in tutta Europa, come conseguenza delle elezioni europee, vedrà coinvolti il fior fiore di compagni, antifascisti sinceri, che a causa di gruppi dirigenti miopi se non peggio, finiranno nella tonnara preparata ad arte da chi lavora ormai da decenni su “rivoluzioni colorate”, sussunzione di tematiche storicamente proprie di una sinistra dei diritti, con il tridente fondazioni, ong e servizi di intelligence. Non è dietrologia: certe operazioni politiche non nascono per caso. Ma procediamo con ordine.

C’è un articolo su Contropiano di Giacomo Marchetti che è stato ripreso su Sinistra in Rete qui e che rivela gli errori di analisi e quindi di azione politica di buona parte della sinistra di classe a partire proprio dall’area di Potere al Popolo – USB – Rete dei Comunisti.

Il Marchetti fa due operazioni: licenzia come positiva la nascita di un fronte popolare in Francia contro la “peste nera”, sviscerando tutta la panoplia di riforme di questa coalizione: dal salario minimo all’abolizione della legge sulle pensioni e quella sui carburanti fatte da Macron. La seconda operazione è quella di accostare anacronisticamente questo FP ai fronti popolari degli anni ’30.

La mia risposta fatta a commento su di questo articolo del Marchetti è questa:

«È un’analisi completamente scazzata. Il programma sociale è un fuffa, soprattutto agli albori della guerra continentale che è il vero obiettivo delle élite atlantiste e dell’imperialismo che lo vanificherebbe automaticamente.

Questo è il programma di questo “fronte popolare”.

Il vero passaggio politico di questo programma e che interessa e va nella direzione dei poteri atlantisti è questo:

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Pompeo Della Posta: La Nuova via della seta e la narrazione sulla trappola del debito che la circonda

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La Nuova via della seta e la narrazione sulla trappola del debito che la circonda

di Pompeo Della Posta

nuova via della seta tempi.jpgPompeo Della Posta, dopo avere ricordato che la Nuova Via della Seta (NVS) trova origine in primo luogo nella necessità di collegare le aree occidentali della Cina con l’Europa attraverso l’Asia Centrale, illustra le ragioni per le quali ritiene infondata la narrazione della NVS secondo cui la Cina creerebbe trappole del debito per acquisire gli asset strutturali finanziati e mette in guardia dal bias che le tensioni geopolitiche fra Stati Uniti e Cina possono introdurre nella valutazione della NVS

La Nuova Via della Seta (NVS), lanciata nel 2013, vede la partecipazione di 154 dei 193 paesi membri delle Nazioni Unite e ha comportato nei suoi primi 10 anni di vita investimenti complessivi per circa 1.000 miliardi di dollari.

Per comprendere le ragioni che hanno condotto alla sua creazione, dobbiamo considerare innanzitutto la politica del ‘Go West, avviata nel 2000 per favorire lo sviluppo delle province occidentali della Cina. Tale sviluppo è possibile solo collegando queste ultime alle regioni landlocked dell’Asia centrale, che separano la Cina dall’Europa. In questo modo, le regioni landlocked diventerebbero land linked.

Peraltro, il fabbisogno di infrastrutture per i Paesi meno sviluppati e in via di sviluppo è certificato dalle banche regionali dei continenti asiatico, africano e latino-americano. La Banca asiatica di sviluppo stima per gli anni 2016-2030 un fabbisogno di 260 miliardi di dollari per colmare il suo gap infrastrutturale, quella africana stima un fabbisogno infrastrutturale compreso tra 130 e 170 miliardi di dollari all’anno (e un gap di finanziamento di 67,6-107,5 miliardi di dollari all’anno) e la Banca interamericana di sviluppo stima un deficit infrastrutturale di 150 miliardi di dollari per anno.

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Donato Caporalini: La Palestina in testa

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La Palestina in testa

di Donato Caporalini

La Palestina è una Storia che ritorna, un passato che non passa. L’ultimo esempio di colonialismo di insediamento, pulizia etnica e apartheid su vasta scala. Nessuno di noi sarà davvero libero finché non faremo davvero i conti con il colonialismo e il razzismo

Gaza
senza aiuti.jpgC’è rabbia. C’è dolore. Chi legge Ernesto Galli della Loggia sulla prima del Corriere lo capisce subito che l’uomo ci soffre. Poveretto! Ancora una volta i suoi occhi vedono una masnada di barbari, venuti chissà da dove, deturpare il volto bello della civiltà liberale. Gente orribile. Ignoranti. Al cui confronto i contestatori del 68 meritano un sentimento di nostalgico rimpianto: quelli almeno avevano letto Marcuse! E anche se si ispiravano a Lenin, e perfino a Stalin, con loro ci si poteva intendere. Oggi invece… Eh, che tempi!

Ma la colpa è di chi le alleva queste capre ignoranti. Che osano rinfacciare a Israele e all’Occidente liberale la giusta punizione che stanno infliggendo ai palestinesi. Che mordono la mano che li cresce. Ingrati. E suicidi. Perché quello che in realtà cercano con le manifestazioni e le occupazioni dei campus universitari è nientemeno che la distruzione dell’Origine. La rimozione del Padre. La negazione dell’ascendenza su cui si fonda tutto l’Occidente. Altro che protestare per i crimini di guerra e la violazione dei diritti umani! Tutte scuse. Questi sono i nostri Nemici peggiori. I Nemici dei nostri Valori, delle nostre Radici. Quelli che rinnegano la nostra Tradizione, la nostra Storia!

 

La Storia del vincitore

Diciamolo: come sono patetici e noiosi i conservatori. Sempre lì a fare le vittime. Sempre a lamentarsi della corruzione dei costumi, della mancanza di Autorità. Sempre a pronosticare sfracelli. E a costruire Nemici interni, alleati del Nemico esterno di turno. Lo fanno ogni volta che la società si divide. Ogni volta che sorge un conflitto. Un conflitto vero. Uno di quelli che possono davvero cambiare la realtà. In meglio o in peggio, certo. Ma cambiarla.

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Roberto Iannuzzi: Scontro Russia-Occidente: scenari di escalation

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Scontro Russia-Occidente: scenari di escalation

di Roberto Iannuzzi

Una “exit strategy” dallo scacchiere ucraino sarebbe preferibile all’attuale conflitto potenzialmente in grado di sfociare in uno scontro nucleare. E poi c’è l’incognita mediorientale

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2048x1319Il mondo si sta avvicinando a un bivio molto pericoloso. L’Occidente continua a violare le cosiddette “linee rosse” del conflitto ucraino, che si era in parte autoimposto per scongiurare la possibilità di scivolare in uno scontro diretto con Mosca.

Kiev sta lentamente ma inesorabilmente perdendo la guerra, ed è proprio questa improvvisa presa di coscienza che sta spingendo i paesi occidentali a ignorare i limiti di sicurezza che in precedenza ritenevano di dover rispettare per impedire un allargamento del conflitto.

L’assunto occidentale di partenza era che una guerra Russia-NATO sarebbe rapidamente sfociata in un confronto nucleare. Di fronte all’ineluttabile declino delle capacità di difesa ucraine, i vertici militari e politici, in Europa e oltreoceano, sembrano aver smarrito questa consapevolezza.

 

Ucraina: le ragioni della sconfitta

Kiev manca di uomini e armi. La nuova campagna di mobilitazione sta registrando scarsi risultati. Gli ucraini non vogliono più combattere, e fanno di tutto per sottrarsi alla coscrizione.

I pochi che vengono arruolati spesso sono inadatti al servizio militare per ragioni di età o di salute, e vengono sommariamente addestrati prima di essere mandati al fronte, spesso semplicemente a morire.

Più in generale, l’Occidente ha perso la sfida della produzione bellica. Si prevede che le fabbriche russe sforneranno quest’anno circa 4,5 milioni di proiettili d’artiglieria, a fronte di una produzione complessiva di USA ed Europa pari a circa 1,3 milioni.

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Pierluigi Fagan: G7: commedia col morto

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G7: commedia col morto

di Pierluigi Fagan

Volevo titolare il pezzo“La realtà non è come ci appare” bel titolo di un libro tra quelli iniziali di Carlo Rovelli, vale in fisica come in politica, anzi forse in politica vale anche di più. Ma il fatto ci sia un morto reclama la nostra attenzione. Vi consiglio di arrivare fino in fondo, anche il pezzo non è così come vi apparirà all’inizio.

E così siamo passati in una settimana dalla Terza guerra mondiale EU vs Russia, alla Meloni che rassicura Mosca sulla questione degli asset finanziari dicendo rincuorante: “non si tratta di una confisca ma di profitti che maturano”. Spieghiamo.

All’indomani dell’inizio del conflitto ucraino, l’Occidente ha congelato tutti i depositi russi presso le proprie banche, circa 300 mld US$. Biden annuncia più volte che saranno sequestrati e dati a Kiev per ripagare i costi della guerra. Fisicamente stanno per lo più in banche europee, in Belgio per lo più. Mosca spiega che ne ha altrettanti di imprese europee a casa propria e farà pan per focaccia. Gli europei, quindi, dicono a Biden di darsi una regolata. Biden abbozza ma poi torna alla carica dicendo di usare almeno gli interessi che i depositi hanno creato, già perché hanno lavorato i depositi russi come fossero di un normale correntista, li hanno investiti e quindi hanno generato profitti finanziari, interessi.

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Fulvio Grimaldi: UE: cosa cambia? Cambia qualcosa?

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UE: cosa cambia? Cambia qualcosa?

Sistema: Meloni e Le Pen di qua, Antisistema: AFD e BSW di là

di Fulvio Grimaldi

AFD, Alternative fuer Deutschland; BSW, Buendnis Sahra Wagenknecht)

Per “L’Identitario-Metapolitica” Francesco Capo conduce il programma sulle elezioni europee con la partecipazione di Paolo Borgognone, Fulvio Grimaldi, Mario Improta e Gigi Lista

https://www.youtube.com/live/XK7GeNjaLeU?si=0ZVdS0DUhaMJ5aTI

Dato per prevedibile, scontata e fisiologica l’irrilevanza delle microformazioni sorte sul parassitismo, vuoi cinico, vuoi velleitario, delle reazioni popolari a certe strategie antipopolari (pandemia, manipolazione climatica, guerra, de-identificazione biologica, sociale e culturale), non resta che da registrare, al di là della sclerotizzazione di un assetto europeo dettato da Washington, dal Pentagono e da Blackrock, se in queste elezioni europee si sia espresso qualcosa di rilevantemente nuovo.

L’accanito, ma affannoso tentativo di esorcizzare quanto i tempi fanno uscire dal perenne e rassicurante seminato del 1945 (da noi stabilizzato a forza di stragi e criminalità organizzata di Stato e parastato), dipingendogli i baffi di Hitler e chiamandolo neonazista, ultradestra, estremismo, non ha impedito l’affermarsi, in Germania, di una forza politica classificatasi al secondo posto nazionale e al primo in tutti i Laender del deprivato, depredato, “meridione” tedesco, l’ex-DDR.

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Giacomo Gabellini: La “vittoria di Pirro” di Uniper, la potenziale rappresaglia russa e il mercato europeo del gas

 lantidiplomatico

La “vittoria di Pirro” di Uniper, la potenziale rappresaglia russa e il mercato europeo del gas

di Giacomo Gabellini

Lo scorso 7 giugno, un tribunale arbitrale di Stoccolma ha accolto la richiesta di risarcimento per 13 miliardi di euro presentata dalla compagnia energetica tedesca Uniper contro Gazprom, in relazione agli ingenti danni economici prodotti dall’interruzione delle forniture disposta dal colosso russo in risposta alle sanzioni imposte dallo schieramento occidentale sulla scia del conflitto russo-ucraino. Il taglio delle forniture russe aveva costretto Uniper a reperire approvvigionamenti sostitutivi sul mercato spot, nella fase calda in cui i prezzi del gas avevano raggiunto livelli assolutamente stratosferici.

Salvata dalla bancarotta grazie all’intervento diretto del Ministero delle Finanze tedesco, a tutt’oggi titolare del 99% delle quote, Uniper si è quindi basata sul verdetto favorevole emesso dall’arbitrato svedese per rescindere i contratti di fornitura ancora in essere, che sotto il profilo strettamente legale vincolerebbero Gazprom a esportare gas in Germania quantomeno fino alla metà del prossimo decennio.

La risoluzione dei contratti segna il dissolvimento di un rischio di indubbio rilievo in vista del ritorno di Uniper in Borsa, previsto per il 2025. Michael Lewis, amministratore delegato della società, ha spiegato che «la nostra risoluzione dei contratti con Gazprom Export è l’ultima di una serie di decisioni coerenti degli ultimi tre anni.

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Algamica: La questione palestinese oggi e la crisi della sinistra occidentale

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La questione palestinese oggi e la crisi della sinistra occidentale

Presentazione dell’articolo di Abdaljawad Omar “la questione di Hamas e la sinistra”

di Algamica*

iweubvj.pngLa sinistra deve affrontare questo fatto fondamentale. Non si può rivendicare solidarietà con la Palestina e respingere, trascurare o escludere Hamas.” – Adbaljawad Omar, 31 maggio 2024 – Mondoweiss.net

Presentiamo un articolo di Abdaljawad Omar, giovane dottorando e docente part-time presso il Dipartimento di Filosofia e studi culturali dell’Università di Birzeit in Cisgiordania, pubblicato da Mondoweiss il 31 maggio scorso.

Non ci nascondiamo che l’argomento chiama in causa l’intero movimento storico della sinistra occidentale in quanto riflesso agente delle necessità di una classe sociale – il proletariato – determinato dalle leggi impersonali dell’accumulazione. Il giovane intellettuale palestinese di West Bank prende spunto da un acceso dibattito che sta avvenendo in maniera sempre più articolata proprio nei paesi dove la mobilitazione a sostegno della Palestina ha dimensioni di massa. Intellettuali della sinistra e organizzazioni della sinistra, chi più e chi meno, rimproverano alle mobilitazioni in occidente di sostenere sì giustamente la resistenza palestinese ma di fatto celebrando il 7 ottobre e l’azione politica di un movimento “socialmente regressivo”, Hamas. In sostanza abbiamo a che fare con una variegata impostazione della sinistra occidentale le cui posizioni possono essere sintetizzate con “la resistenza palestinese, senza se e senza… Hamas”.

Non ci nascondiamo che in questo articolo Omar, così come quelli cui egli riferisce di Jodi Dean e di Andreas Malm e che hanno dato scandalo tra componenti della sinistra radicale occidentale il tema non è limitato a una impostazione politica pratica dell’oggi palestinese, ma ci costringe a prendere il toro per le corna, ossia la relazione della produzione del valore e del colonialismo degli occidentali che ha determinato il movimento di una classe sociale e della sua rappresentazione politica all’interno del moto determinato della storia.

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Il Pungolo Rosso: Due note sulle elezioni europee

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Due note sulle elezioni europee

di Il Pungolo Rosso

Von der Leyen e ZelenskyI risultati delle elezioni europee hanno fatto esplodere in Francia una crisi politica latente da lungo tempo, data l’enorme impopolarità di Macron e della sua élite di ricchi tecnocrati repressori e guerraioli, e hanno portato in un vicolo cieco in Germania l’altrettanto impopolare governo Scholz, ma non si può certo sostenere che insieme con l’accoppiata Macron-Scholz è stato battuto “il partito della guerra” alla Russia. Questa tesi, fatta propria anche da alcuni compagni, è stata avanzata per primo, a botta calda, dal presidente della Duma russa Volodin; ed è stata poi ripresa, tra gli altri, da Orban, dal “pacifista” Travaglio e da altri ancora, delusi tuttavia perché in Italia è andata diversamente (vedi i flop del M5S, “pacifista” a tempo scaduto, e del circo-Santoro).

In realtà, proprio in base al responso delle urne, si profila la conferma tanto della von der Leyen, assatanata esponente di punta del cosiddetto “partito della guerra”, quanto della sua maggioranza composta da popolari-socialdemocratici-liberali (eventualmente estesa a FdI e/o ai verdi) che sfidiamo chiunque a considerare contraria alla corsa alla guerra, sia nella formazione ristretta che in quella allargata. Purtroppo va registrato che la “questione guerra”, nonostante l’accelerazione avvenuta negli ultimi mesi, risulta tuttora piuttosto lontana dalla massa degli elettori, perché le sue conseguenze pratiche, a cominciare dall’inflazione e dall’inasprimento delle misure repressive, non sono ancora avvertite per tali, almeno nei paesi più lontani dal fronte ucraino.

Ma procediamo con ordine, partendo dal dato della partecipazione al voto, sospinto sullo sfondo, quasi cancellato, dai partiti vincitori delle elezioni perché ridimensionerebbe di molto la loro vittoria – un dato che va invece considerato nella sua importanza e analizzato.

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Caterina Orsenigo: Un’altra economia

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Un’altra economia

È proprio vero che non esistono alternative al capitalismo?

di Caterina Orsenigo

Borsa di San Paolo.jpgLa scorsa primavera è uscita una serie televisiva di Scott Z. Burns intitolata Extrapolations. Il titolo rimanda al fatto che in ogni puntata si estrapolavano gli effetti del riscaldamento globale nel prossimo futuro: la prima puntata era ambientata nel 2037, la seconda nel 2046, e così via fino all’ultima, l’ottava, nel 2070. Extrapolations racconta vite, vittime e protagonisti dell’inasprirsi della crisi climatica. Tutto quello che si perde, i sempre meno che si salvano, e che si salvano sempre peggio. Ciò che non cambia mai, nemmeno di fronte ai disastri più disarmanti, è l’approccio ottuso dei gruppi dominanti: accumulo, guadagno e sviluppo perdono senso in maniera via via più plateale, eppure sembra che le loro menti non riescano a uscire da questa prigione ideologica, anche quando è quella stessa mentalità a spingere loro stessi e il mondo intero verso l’autodistruzione.

Del resto proprio l’economia è fra le poche scienze sociali (forse l’unica?) che non sembra più di tanto mettere in discussione i propri assunti. Lo diceva bene Mark Fisher: la necessità dello sviluppo viene percepita come postulato fondamentale e autoevidente, il sistema capitalistico come insostituibile. Ma ora che la fine del (nostro) mondo sembra un’ipotesi meno strampalata rispetto a qualche anno fa, da più parti comincia ad affiorare la necessità di immaginare la fine di questo apparentemente insostituibile capitalismo.

Cominciamo ricordandoci che il capitalismo non è sempre esistito: ancora oggi permangono anfratti del mondo che la sua luce abbagliante non arriva a illuminare. E ci sono idee, o almeno germi di idee, che ogni giorno cercano di farsi strada tra le sue maglie.

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Domenico Moro e Fabio Nobile: Elezioni europee, cosa cambia?

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Elezioni europee, cosa cambia?

di Domenico Moro e Fabio Nobile

Elezioni Europee Fanpage 1200x675.jpgPer fare una valutazione del risultato della competizione elettorale per il Parlamento europeo, è necessario precisare quali sono le attribuzioni di questo organismo. Il Parlamento europeo ha tre funzioni principali: a) condivide con il Consiglio dell’Unione la funzione legislativa; b) approva o respinge i candidati a componenti della Commissione europea (il governo della Ue); c) Condivide con il Consiglio dell’Unione il potere di bilancio della Ue e può pertanto modificare le spese dell’Ue.

Il problema, quindi, è che il potere è condiviso con altri organismi, che contano di più, come Il Consiglio europeo, il consiglio dell’Unione europea, e soprattutto la Banca centrale europea, che ha una notevole influenza sui governi nazionali, come prova la lettera inviata da Trichet e da Draghi nel 2011 a Berlusconi, che fu costretto a dare le dimissioni da capo dell’esecutivo. Il Consiglio europeo, composto dai capi di governo e di stato della Ue a 27, ha pure molto potere, potendo nominare il Presidente della Commissione, che deve essere approvato dal Parlamento europeo, e definisce gli orientamenti generali dell’Ue. Il Consiglio dell’Unione europea, composto dai ministri dei 27 Paesi Ue competenti per ciascun settore, detiene parecchie competenze, tra cui quelle sulla legislazione, sul bilancio Ue, sulle politiche economiche generali degli Stati membri, sugli accordi internazionali tra la Ue e altri Stati, ecc. Di fatto il potere del Parlamento europeo è inferiore a quello dei normali parlamenti nazionali anche se non può definirsi totalmente ininfluente.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è il quadro generale della fase storica che vede la Ue in grave difficoltà economica. La crisi è tutt’altro che passata e da molti anni l’economia continentale perde posizioni a livello internazionale, in termini di quota detenuta sul Pil mondiale, e si trova in difficoltà a competere con le altre due più importanti aree economiche mondiali, la Cina e gli Usa.

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Piccole Note: Il G7 dei nani e delle guerre infinite

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Il G7 dei nani e delle guerre infinite

di Piccole Note

Il deficit di autorevolezza dei leader convenuti al G7 va scritto alle guerre infinite, che tale summit ha deciso di perpetuare…

Lo stanco rito del G7 di scena in Puglia ha prodotto il prolungamento ad libitum della mattanza del popolo ucraino, per la cui prosecuzione saranno investiti 50 miliardi annui per i prossimi dieci anni, nella forma di prestiti garantiti dal lucro dei beni russi congelati dalle banche occidentali all’inizio delle ostilità.

Non una decisione collettiva, nata dal consenso di leader di libere nazioni, ma una banale adesione delle colonie ai diktat dell’Impero, dal momento che i Paesi europei avevano a lungo nicchiato sul tema a causa dei rischi connessi (paventati, peraltro, dalle banche, vedi Reuters).

Un diktat condensato nell’articolo del Segretario del Tesoro Usa Janet Yellen pubblicato sul New York Times alla vigilia del summit con il titolo: “Un nuovo modo per far sì che le risorse della Russia paghino la difesa e la ricostruzione dell’Ucraina”. I leader convenuti al G7 dovevano solo ratificare e l’hanno fatto con l’entusiasmo dei servi ossequiosi.

Resta da capire come gli assets russi possano offrire agli Stati che devono aprire i cordoni della borsa garanzie per 50 miliardi di dollari l’anno, dal momento che nel 2023 gli assets congelati nell’Unione europea hanno fruttato solo 4.4 miliardi di euro, come si leggeva sul Financial Times, e che proprio la Ue detiene la quasi totalità di tali risorse, dal momento che nelle banche degli States sono bloccati solo 6 dei 300 miliardi di dollari sequestrati (Nbc news).

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Sergio Cararo: Per il vertice del G7 la festa è finita

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Per il vertice del G7 la festa è finita

di Sergio Cararo

Sono passati quasi quaranta anni dal primo vertice dei paesi più industrializzati che si tenne a Rambouillet nel 1975 e ispirato sostanzialmente dalle ambizioni di restaurazione globale del capitalismo della Commissione Trilaterale (per l’Italia c’era Aldo Moro).

Solo l’anno dopo, con l’ammissione del Canada, il vertice dei G7 ha assunto la conformazione attuale dopo la parentesi del 1997, in cui venne ammessa la Russia, dando così vita al G8. La Russia ne fu espulsa nel 2014 per l’annessione della Crimea e il G8 tornò un “club a sette”.

Ma in questi ultimi tre anni il mondo è cambiato molto e anche la pretesa di supremazia delle maggiori potenze capitaliste su tutti gli altri appare ormai una pretesa che viene contrastata punto su punto dai paesi emergenti.

n realtà già la nascita nel 2008 del vertice del G20 – esteso quindi alle economie dei paesi emergenti – era stato il segnale che qualcosa stava cambiando nei rapporti di forza mondiali. Inoltre quel vertice avveniva dentro la pesante crisi finanziaria dell’Occidente apertasi nel 2007. In quegli anni in cui grande banche statunitensi ed europee facevano crack e la crisi terrorizzava le economie occidentali, non era affatto raro sentirsi dire nel resto del mondo “la crisi è da voi, qui non c’è alcuna crisi, anzi stiamo crescendo”.

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Pierluigi Fagan: Istruzioni per guardare avanti

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Istruzioni per guardare avanti

di Pierluigi Fagan

Come molti sapranno, Sahra Wagenknecht ex Linke, assieme a molti quadri sempre ex-Linke, ha fatto un nuovo partito per conto suo. Si è presentato alle europee ed ha preso subito un notevole 6,2%, un punto in più dei Liberali, il doppio de la Linke. Ma il nuovo partito ha preso anche il 16.4% in Meckleburgo, il 15% in Turingia, il 13.8% in Brandeburgo, e il 15% in Sassonia-Anhalt più il 12,6% in Sassonia.

Sul piano programmatico: l’Europa dovrebbe “diventare un attore indipendente sulla scena mondiale”. Nella politica estera e di sicurezza dell’UE, l’Europa dovrebbe assumere un ruolo indipendente dagli Stati Uniti, sostiene la diplomazia, la distensione e la cooperazione internazionale. Le soluzioni militari ai conflitti vengono respinte, mentre sono sostenuti il disarmo nucleare e una ridotta presenza militare. Si chiede esplicitamente lo scioglimento della NATO. È necessario un nuovo ordine paneuropeo di pace e sicurezza, che includa anche la Russia.

No all’allargamento UE a Repubblica di Moldova, la Georgia e l’Ucraina. Il lobbismo e la corruzione dovrebbero essere frenati.

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