Rassegna 21/06/2024
Enrico Tomaselli: La guerra inevitabile
La guerra inevitabile
di Enrico Tomaselli
A volte, non c’è davvero alcuna ragionevolezza, nelle scelte fatte dai leader. Ovviamente molto dipende dal contesto, e dal pensiero politico-ideologico cui fanno riferimento; un caso di scuola è quello di Adolf Hitler, che dagli anni del putsch di Monaco alla vigilia dell’Operazione Barbarossa mostrò sempre una grande lucidità politica e strategica, per poi finire via via preda di un vero e proprio delirio psicotico.
Qualcosa del genere sta purtroppo accadendo ancora una volta e, paradossalmente, stavolta il ruolo è ricoperto dal leader israeliano Netanyahu.
Quantomeno a partire dal 7 ottobre 2023, le sue capacità di leadership – da politico di lungo corso – si sono progressivamente affievolite, e appare sempre più governato dagli eventi, piuttosto che colui che li governa.
In questo continuo avvitamento, nel quale ovviamente trascina con sé un paese che – peraltro – al di là dei suoi errori, largamente si identifica col suo pensiero di fondo, ogni giorno viene fatto un passo in più verso una nuova guerra, forse più rapida di quella ucraina, ma di sicuro molto più feroce, e molto più destabilizzante.
In un certo senso, Israele sembra condannato alla coazione a ripetere.
Ovviamente, al di là della personalità di Netanyahu, c’è un problema di fondo, che va ben oltre lui e il suo governo, ed è l’ideologia sionista. Non è questa la sede per analizzarla, e sviscerarne le enormi contraddizioni che la caratterizzano, ma non si può non farne menzione poiché è su di essa che si fonda – letteralmente e in ogni senso – lo stato israeliano. Questo imprinting fondativo non può pertanto essere rimosso, e si riflette nelle scelte operate dalle varie leadership israeliane, dal ‘48 a oggi. Israele, semplicemente, non può cessare di essere ciò che è, non può diventare altro da sé.
Leonardo Mazzei: Cacciare Macron!
Cacciare Macron!
di Leonardo Mazzei
Verso un “Libano senza sole”?
A una settimana dalle elezioni europee le onde sismiche del tracollo macroniano continuano a propagarsi nella politica francese. Sarà così almeno fino al 7 luglio, data del ballottaggio. Ma forse anche dopo, se si realizzerà lo scenario previsto dall’ex ministro del lavoro Olivier Dussopt (quello della controriforma delle pensioni), che ha descritto la futura situazione istituzionale in Francia come “un Libano senza sole”. Un quadro un po’ desolante per l’improbabile Napoleone del XXI secolo. Ed è interessante che colui che da mesi scalpita per lanciare le sue truppe verso il fronte ucraino, debba adesso combattere una battaglia interna che potrebbe vederlo alla fine cadere di sella. Potenza della guerra e della vertigine del potere!
Questa cartolina che ci arriva da Parigi, oltretutto se affiancata a quella proveniente da Berlino, ci parla in effetti di una cosa sola. Il vero vincitore delle elezioni europee è un signore che risiede a Mosca e che non era candidato per alcun seggio a Strasburgo: Vladimir Putin. I capoccioni dell’escalation euroatlantica sono usciti scornati dalle urne, questo è il fatto. Nulla di definitivo, ovviamente, riguardo al futuro ruolo dei paesi Ue nella guerra. Ma di certo una sberla dalle conseguenze imprevedibili. E gli sviluppi da seguire maggiormente nelle prossime settimane saranno proprio quelli francesi.
Tre le questioni fondamentali: chi vincerà le elezioni legislative del 30 giugno – 7 luglio? Potrà uscirne un governo stabile? Macron potrà restare davvero all’Eliseo dopo le elezioni? Per provare a rispondere a queste tre domande è necessario comprendere come si sta ridisegnando il quadro delle alleanze e dei programmi elettorali in questa brevissima campagna elettorale. Tutto questo alla luce del particolare sistema elettorale del Paese transalpino.
Salvatore Minolfi: Il martello di Maslow
Il martello di Maslow
di Salvatore Minolfi
Qual è il bilancio dell’unipolarismo USA? Per il Watson Institute oltre novecentomila vittime, costi finanziari in trilioni e neanche l’apparenza di un ordine politico. A mancare non è stata la forza, ma la politica: una visione, un progetto
Con la guerra in Ucraina, il conflitto in Palestina e l’allerta su Taiwan, i tre più importanti tra i comandi strategici americani, attraverso i quali si dispiega operativamente il globalismo a stelle e strisce (Eucom, Centcom, Indopacom), risultano, per la prima volta, simultaneamente ingaggiati. Basterebbe questa osservazione a riconoscere il carattere generale e sistemico della crisi, la sua potenziale radicalità e la sua apparente refrattarietà a qualsiasi trattamento politico.
Introducendo un fascicolo di “Limes” interamente dedicato all’assenza di “fine” (il fine-la fine) delle guerre e delle crisi in cui sono coinvolti oggi gli Stati Uniti, direttamente o indirettamente, Lucio Caracciolo spaziava tra una spiegazione antropologica (la guerra, clausewitzianamente, non ha in se stessa un limite), una culturale (il limite è un elemento costitutivamente estraneo all’american way of life) e una di natura storico-politica (al declino dell’egemonia americana non si associa l’emergere di una tangibile alternativa). A questi spunti di analisi, sicuramente stimolanti, sarebbe utile associarne uno che indaghi più direttamente i caratteri distintivi dell’ordine americano ora in discussione. Da questa prospettiva si potrebbe valutare in che misura la moltiplicazione dei conflitti, il divorzio tra mezzi e fini, l’apparente eclissi della politica e, in ultimo, il ritorno dell’immagine di un nemico a tutto tondo, siano un portato della qualità stessa, della speciale conformazione che l’ordine americano ha assunto da più di un trentennio, con la sua agenda, le sue formule, la sua prassi, le sue istituzioni.
Alessandro Visalli: Si intravede
Si intravede
di Alessandro Visalli
Comincia ad affacciarsi uno schema[1]. Il lungo ciclo, più che trentennale, nel quale in modo sostanzialmente sincrono con l’accelerazione del mondo unipolare negli anni Novanta e poi zero, intorno ad eventi altamente spettacolarizzati come il Protocollo di Kyoto (1997) e le successive COP, nel contesto delle denunce sempre più forti del IPPC circa l’incipiente cambiamento climatico, l’insorgenza della portante emozionale della lotta per un mondo più pulito ed equilibrato sembra essere sempre più sfidata da quella per un mondo più ‘democratico’, ovvero controllato dai Giusti. Si tratta, ovviamente, di due mobilitazioni dell’ansia, nelle quali la struttura è la medesima: il normale corso del mondo è minacciato da una crisi, da un avversario, che mette a repentaglio tutto, bisogna produrre una mobilitazione straordinaria prima che sia troppo tardi. Nessuno può volere altrimenti. Sembra, insomma, quasi che sia necessario un asse di orientamento per tenere in piedi il mondo nell’epoca del tramonto di tutti valori. Che una trascendenza si debba ogni volta imporre per colmare il vuoto nel quale cade, e da tempo, l’Occidente.
Perché serve un nuovo schema? Cercandone le radici bisogna riferirsi al movimento di fondo del nostro tempo: il tramonto dell’egemonia tecnica, economica e politico-militare dell’Occidente[2]. Questo movimento, di portata storica, che arriva a conclusione di un ciclo di mezzo millennio, ha infatti conseguenze in ogni direzione, e talvolta inattese. Di una conseguenza inattesa vogliamo ora parlare, ma prima bisogna focalizzare qualche sfondo.
Una delle dimensioni della sconfitta (o del fallimento) è in direzione della pretesa, nutrita appunto da cinque secoli, di guidare la modernizzazione e le sue costanti transizioni.
Roberto Iannuzzi: Il libro che svela tutto quello che non ci hanno potuto dire sul 7 ottobre
Il libro che svela tutto quello che non ci hanno potuto dire sul 7 ottobre
Agata Iacono intervista Roberto Iannuzzi
Roberto Iannuzzi: Il 7 ottobre fra verità e propaganda. L’attacco di Hamas e i punti oscuri della narrazione israeliana, Fazi editore, 2024
Cos’è successo veramente il 7 ottobre del 2023?
Questa data segnerà nella Storia dell’umanità uno spartiacque imprescindibile.
Il 7 ottobre il mondo si è svegliato e ha riscoperto che c’è un popolo che da più di 75 anni subisce uno sterminio programmato, una eliminazione etnica, fisica e culturale, un’occupazione violenta in una prigione a cielo aperto?
Non è successo. Perché? Perché la pianificazione della propaganda lo ha impedito.
Una propaganda intrisa di falsità, di notizie atroci mai verificate e subito smentite, diffuse da un’organizzazione privata ingaggiata dal governo israeliano, che “stranamente” non ha utilizzato i reparti dedicati del proprio esercito, e da misteriosi personaggi come Shari Mendes, un’architetta americana, senza alcuna credenziale medica o forense, che serviva nell’unità rabbinica delle IDF.
Il ricercatore, esperto di politica internazionale Roberto Iannuzzi ha appena pubblicato l’esito di una sua approfondita inchiesta sul 7 ottobre, edito dalla Fazi Editore. Il libro si intitola “Il 7 ottobre tra verità e propaganda. L’attacco di Hamas e i punti oscuri della narrazione israeliana”.
Pierluigi Fagan: Tempi surrealisti
Tempi surrealisti
di Pierluigi Fagan
Fino pochi giorni fa, al culmine della guerra più di parole che di fatti in Ucraina, alcuni temevano l’inizio della Terza guerra mondiale con sacrificio nucleare allegato.
Sicuramente le opinioni pubbliche non sono cresciute in ambiente così rissoso quale quello degli ultimi mesi, sentir proferire aperte minacce, anche nucleari, colpisce. C’è poi una intera letteratura di complemento, soprattutto americana, che fa infondate analogie tipo G. Allison secondo il quale USA e Cina sarebbero destinate a ripetere la “Trappola di Tucidide” ovvero l’ineluttabilità del conflitto che costrinse Sparta contro Atene, ma anche le letture sull’avvicendarsi dell’egemone a capo delle varie versioni di sistema-mondo, ad esempio inglesi contro olandesi nel XVII secolo e poi americani contro inglesi nel XVIII, guerre di “successione” potremo chiamarle.
Ciò pensando che l’egemone sopravveniente gli americani sarà il cinese, cosa errata in quanto nel sistema multipolare non ci sarà alcun egemone totale. Fare analogie su così pochi casi, così distanti nel tempo e così diversi per composizione e contesto è senza senso.
Emiliano Brancaccio: Il capitalismo rovescia i dogmi della proprietà
Il capitalismo rovescia i dogmi della proprietà
di Emiliano Brancaccio
Se serviva una conferma, l’ultimo G7 l’ha data: il capitalismo è in piena mutazione e la metamorfosi è così violenta da mettere in discussione persino i dogmi assoluti del diritto proprietario.
Prendiamo il diritto alla libertà dei commerci. Da Biden a Meloni, i leader del G7 lo menzionano ormai con malcelato fastidio, come fosse un idolo vetusto indegno di venerazione. Gli stessi leader si entusiasmano, al contrario, nell’annunciare nuove misure protezionistiche contro la Cina e contro altri paesi non allineati agli interessi occidentali.
I sette grandi giustificano le restrizioni commerciali lamentando il sostegno della Cina alla Russia guerrafondaia. In realtà, i dati indicano che il protezionismo occidentale è iniziato ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina.
Soprattutto a opera degli Stati Uniti, che tra il 2010 e il 2022 hanno introdotto ben 7.790 nuovi vincoli agli scambi internazionali. Ma anche l’Europa, pur riluttante, ha alzato da tempo barriere contro l’oriente. La tesi cara ai sette grandi, del protezionismo come mera conseguenza della guerra, è dunque smentita dai fatti. Le barriere commerciali, piuttosto, sono state premessa dei conflitti.
Gianandrea Gaiani: Qualcosa di nuovo sul Fronte Occidentale
Qualcosa di nuovo sul Fronte Occidentale
di Gianandrea Gaiani
Tre eventi internazionali in pochi giorni – Il G7 in Puglia, la Conferenza di pace in Svizzera e il summit dei ministri della Difesa della NATO a Bruxelles – hanno messo in luce la debolezza dell’Occidente, le sue crescenti quanto malcelate divisioni, la dissociazione dalla realtà di parte dei suoi leader ma anche qualche sprazzo di concreto realismo.
Un contesto di debolezza generalizzata, forse senza precedenti, di quasi tutti i leader delle potenze euro-atlantiche (in scadenza o dimissionari o in profonda crisi di consensi) che ha visto emergere l’Italia, padrona di casa del G7, per la stabilità del suo esecutivo, l’unico tra quelli delle grandi nazioni europee a essere uscito rafforzato dal voto dell‘8 e 9 giugno anche in virtù della posizione moderata e realistica assunta nelle ultime vicende che hanno riguardato il conflitto ucraino.
Instabilità crescente
Nonostante il tentativo di alcuni di presentare l’Italia “isolata” dagli alleati per il no secco all’impiego delle nostre armi fornite a Kiev contro obiettivi in territorio russo, a uscire isolati (dal proprio elettorato) sono stati proprio i governi più “bellicosi”. Pochi giorni dopo aver promesso di inviare in Ucraina aerei Mirage e truppe francesi Emmanuel Macron ha subito una sconfitta senza appello che lo ha costretto a indire nuove elezioni in Francia a fine giugno mentre il governo tedesco ha raggiunto l’apice della sua debolezza, con la SPD del cancelliere Olaf Scholz scavalcata persino da AfD.
Fuori dalla UE anche la crisi del governo conservatore britannico sembra pagare il prezzo del conflitto in Ucraina e delle sue conseguenze economiche e sociali: il premier Rishi Sunak ha indetto elezioni per il 4 luglio e sembra voler fare di tutto per farle vincere al Partito Laburista considerato che ha promesso, in caso di vittoria, il ripristino della leva militare obbligatoria.
Afshin Kaveh: Tradurre o tradire?
Tradurre o tradire?
Il compito del traduttore secondo Walter Benjamin
di Afshin Kaveh
La recente edizione critica del breve testo di Walter Benjamin intitolato Die Aufgabe des Übersetzers, ovvero Il compito del traduttore (Mimesis, 2023, pp. 174, 14 euro) curato nella nuova traduzione italiana di Maria Teresa Costa con tanto di testo tedesco a fronte, permette di immergersi, con rinnovate possibilità rispetto alla vecchia edizione nella traduzione di Solmi, all’interno della ricchezza di uno degli scritti più stimolanti del filosofo tedesco. Composto ormai cent’anni fa, tra il 1921 e il 1923, fu pensato come introduzione alla traduzione che lo stesso Benjamin fece dal francese al tedesco dei Tableaux parisiens di Charles Baudelaire.
Il compito che Benjamin si diede, come da titolo, era quello di scandagliare il processo che permea la traduzione di un testo da una lingua a un’altra, mettendo però in discussione l’idea della traduzione come mero processo immobile che si limita al passaggio da un testo di partenza, privilegiandolo o meno rispetto alla diversa lingua in cui verrà poi tradotto, a uno di arrivo, arricchendolo o meno rispetto alla composizione della lingua originale. Contrapponendosi e anzi allontanandosi ferocemente dallo scontro dei diversi approcci tradizionali di traduzione, ovvero tra chi innalza la fedeltà contro la libertà e chi, viceversa, la libertà contro la fedeltà, le riflessioni di Benjamin si immettono da una parte sulla scia di quelle che saranno negli anni a seguire le sue teorizzazioni estetiche, in particolare de Il dramma barocco tedesco e di parte de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, così come del suo successivo confronto coi problemi filosofici hegelo-marxiani nelle Tesi di filosofia della storia, tanto da anteporre spesso il compito del «traduttore» a quello del «filosofo» e, come vedremo, ponendo quasi il problema della traduzione come fosse un problema della «filosofia della storia».
Collettivo Le Gauche: Sergio Bologna e il lavoro autonomo di seconda generazione
Sergio Bologna e il lavoro autonomo di seconda generazione
Una lente per indagare il postfordismo
di Collettivo Le Gauche
1. Introduzione
L’operaismo si sviluppa in un contesto in cui era credenza comune l’idea che non ci fossero alternative alla grande fabbrica fordista dove migliaia di lavoratori svolgevano le loro mansioni ripetitive mentre le macchine erano adibite a quelle più complesse. A ciò si affiancava il consumo di massa, altro elemento chiave di questa fase del capitalismo. Per gli operaisti la fabbrica era il terreno fertile della lotta di classe dove inchiodare i padroni e costruire uno spazio libero dall’oppressione capitalista. Lo stesso fordismo, con la sua organizzazione del lavoro, produceva il soggetto rivoluzionario, l’operaio-massa, che era un salariato con una parte fissa, di base, una variabile, fornita dall’aumento della produttività del lavoro e dal welfare. Il fordismo, inoltre, non era confinato alla fabbrica ma si era esteso a tutta la città, per esempio nella mobilità urbana o nella regolazione degli orari dei negozi. L’operaismo era l’immagine rovesciata del fordismo e con l’avvento del postfordismo doveva lentamente sparire. Invece gli intellettuali che si rifacevano all’operaismo hanno provato ad aggiornare la teoria a partire dalla nuova situazione, questo perché gli operaisti non hanno mai sottovalutato i padroni. Alla retorica populista hanno sempre preferito scandagliare in profondità la realtà. Questo è facilmente rilevabile nell’attenzione posta al tema della tecnologia. Essa è intesa da Panzieri, uno dei padri nobili di questa lettura del marxismo, come lavoro incorporato che libera il lavoratore dalla fatica ma allo stesso tempo impone un controllo ancora più rigido sulla forza lavoro. La tecnologia plasma la forza lavoro determinando la sua composizione tecnica che si traduce in una specifica mentalità, cultura o agire politico.
Aligi Taschera: Che cosa è successo?
Che cosa è successo?
di Aligi Taschera
Negli ultimi quattro anni, a partire dal gennaio del 2020, è successo di tutto.
A partire dalla città cinese di Wuhan (pare) si è diffusa una forma relativamente grave di influenza, dovuta a un coronavirus (poi denominato Sars-Cov2); tale forma influenzale aveva in Italia un grado di letalità (rapporto tra il numero delle infezioni e il numero dei morti) non trascurabile, pur se concentrata soprattutto nella fascia di età maggiore di sessant’anni, con una media di 79 anni, e una mediana di 81 (il che significa che la maggioranza dei casi letali si addensava attorno agli 81 anni, cioè non molto al di sotto della speranza di vita media).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, in seguito a 4.129 decessi nel mondo intero, dichiarava all’inizio di marzo 2020 la pandemia.
La Cina, prima ancora che fossero chiariti i meccanismi di trasmissione e l’eziopatogenesi dei casi mortali, pensava bene di chiudere in casa gli abitanti della città di Wuhan, per impedire il diffondersi della cosiddetta pandemia, che, però, giungeva nel frattempo in Italia.
Qui il governo Conte II (alleanza 5Stelle – PD), con il suo ministro della salute Roberto Speranza, agli inizi di marzo pensava bene superare di gran lunga la Cina (normalmente esecrata come esempio inaccettabile di dittatura totalitaria) e, invece di chiudere in casa un’intera città (per quanto abitata da 11.000.000 di abitanti) ha chiuso in casa un’intera nazione di circa 60.000.000. di abitanti (l’Italia).
Gli altri paesi europei, e quasi tutti i paesi del mondo, finivano per imitare l’Italia, anche se spesso con provvedimenti un pochettino meno drastici.
Federico Giusti: Il ruolo del FMI e le strategie imperialiste
Il ruolo del FMI e le strategie imperialiste
di Federico Giusti
Una strategia globale contro il FMI è ormai indispensabile come cogliere il legame tra le politiche liberiste e il controllo esercitato dagli organismi finanziari sui popoli
Quale sarà il ruolo del FMI nell’economia globale? Una possibile risposta dovrebbe essere ben articolata e non soggetta a posizioni ideologiche, per farlo occorre guardare al rapporto tra FMI e stati nazionali, agli interventi del Fondo Monetario sulle politiche sociali ed economiche dei singoli paesi, sui prestiti accordati e sulle contropartite imposte, un lavoro certosino attorno al quale costruire una analisi aggiornata e indispensabile per la ripresa della lotta di classe.
Le ricette del FMI non solo indeboliscono la sovranità dei paesi ma sono finalizzate a controllare e dirigere ogni loro decisione in materia di economia, welfare, lavoro, sovente dietro ai prestiti capestro accordati si celano obiettivi ambiziosi come il controllo delle risorse del sottosuolo o atti di indirizzo finalizzati alle privatizzazioni. Gli interventi del FMI sono andati di pari passo con le decisioni assunte dagli Usa, con le strategie militari e imperialiste, in linea per altro con i dettami delle oligarchie finanziarie dominanti.
coniarerivolta: La ricetta del governo Meloni sulla sanità: fare regali ai privati
La ricetta del governo Meloni sulla sanità: fare regali ai privati
di coniarerivolta
A una settimana dalle elezioni europee il Governo Meloni ha presentato il “decreto Schillaci”, ovvero la promessa populista di Fratelli d’Italia di risolvere definitivamente l’annoso problema delle infinite liste d’attesa per l’accesso alle cure all’interno del sistema sanitario italiano (SSN). Il decreto, che prende il nome dal ministro della salute ed è accompagnato da un disegno di legge, strizza l’occhiolino ai privati convenzionati e mira a centralizzare la gestione delle prenotazioni. Prima di spiegare in dettaglio il contenuto della misura, è utile fare un quadro complessivo della situazione del SSN italiano, ribadendo per l’ennesima volta la situazione disastrosa della sanità nazionale e le cause strutturali alle radici del problema. Alcuni dati parlano da sé: nel 2023, 4,5 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi sia per ragioni economiche, sia per effetto delle liste d’attesa, che dopo la pandemia sono esplose e rendono impossibile accedere a visite ed esami nel Servizio sanitario. Altro dato impressionante, quello sui posti letto ospedalieri per 1000 abitanti, che oggi si attesta a meno di un terzo di quello che era 40 anni fa.
Ethan Huff: L’UE si accinge a rendere “l’incitamento all’odio” un crimine grave in Europa
L’UE si accinge a rendere “l’incitamento all’odio” un crimine grave in Europa
di Ethan Huff per Natural News
Gli europei stanno per perdere il diritto alla libertà di parola [1] dopo che la Commissione Europea (CE) dell’UE ha dichiarato che i “discorsi d’odio” saranno probabilmente inclusi tra i reati più gravi in tutta la Comunità. Con le elezioni europee a poche settimane di distanza, i poteri forti in Europa si stanno affrettando a eliminare il diritto degli europei alla libertà di parola con il pretesto di fermare “l’odio” in tutto il Paese. Il Gruppo dei Cittadini Europei (ECP) per la lotta all’odio nella società è uno dei numerosi gruppi che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha creato per reprimere la libertà di parola, facendone uno dei pilastri della sua campagna, anche se gli elettori europei non possono votare per scegliere il presidente della Commissione Europea che, a quanto pare, viene invece nominato da dei globalisti. Anche se è così, la von der Leyen parla di un grande sforzo per attuare una “democrazia” completamente nuova in tutta Europa affinché sia “adatta al futuro”. Nella sua mente, questo vuol dire mettere a tacere tutti i discorsi in grado di turbare i gruppi di “interesse particolare”, come gli LGBT, che odiano le persone [loro possono, ndt] che dicono cose che li sconvolgono.