Rassegna 27/06/2024
Roberto Iannuzzi: Picconate sulla globalizzazione
Picconate sulla globalizzazione
di Roberto Iannuzzi
Colpendo economicamente Russia e Cina, gli USA sembrano determinati a smantellare l’attuale ordine globalizzato pur di preservare la propria residua egemonia
La persuasione che la competizione fra grandi potenze sia un gioco a somma zero ispira le scelte dell’élite politica americana e della componente atlantista di quella europea.
In base a questa visione, gli Stati Uniti e i loro alleati nel vecchio continente (in posizione molto subordinata, a dir la verità) devono compiere ogni sforzo per preservare l’egemonia americana e occidentale su un mondo sempre più insofferente ai diktat di Washington.
Questa sfida, vista come esistenziale, giustifica agli occhi della classe politica occidentale il ricorso a ogni mezzo, dall’ambito militare a quello economico.
Se nel campo militare abbiamo visto che USA e alleati europei sono disposti a rischiare una pericolosa escalation con Mosca pur di “dissanguare” la Russia in Ucraina, la guerra senza quartiere contro gli “avversari designati” dell’Occidente (Russia e Cina, in primo luogo) non può non coinvolgere anche la sfera economica.
La globalizzazione è un sistema ingiusto, fondato sullo sfruttamento della manodopera e delle materie prime dei paesi più poveri, che però ha anche minimizzato i costi di produzione, e dato lavoro a milioni di persone sollevandole dalla povertà assoluta.
Semplificando, essa è stata storicamente fondata su due poli: la Cina, la cosiddetta “fabbrica del mondo”, e gli Stati Uniti, il centro del sistema finanziario globale e il mercato di consumo di ultima istanza.
Ritrovandosi incapaci di competere in questo sistema da essi stessi creato, gli USA hanno deciso di smantellarlo, invece di correggerne gli squilibri. Unico obiettivo dell’élite americana è preservare l’egemonia di Washington. A qualunque costo.
Jeffrey Sachs: Perché gli USA non aiutano a negoziare una fine pacifica della guerra in Ucraina?
Perché gli USA non aiutano a negoziare una fine pacifica della guerra in Ucraina?
di Jeffrey Sachs – Common Dreams
Per l’amor di Dio, negoziate!
Per la quinta volta dal 2008, la Russia ha proposto di negoziare con gli Stati Uniti su accordi di sicurezza, questa volta attraverso le proposte avanzate dal presidente Vladimir Putin il 14 giugno 2024. Le quattro volte precedenti, gli Stati Uniti hanno respinto l’offerta di negoziazione preferendo una strategia neoconservatrice volta a indebolire o smembrare la Russia attraverso la guerra e operazioni segrete. Le tattiche neocon degli Stati Uniti hanno fallito disastrosamente, devastando l’Ucraina e mettendo in pericolo il mondo intero. Dopo tutto questo bellicismo, è tempo che Biden avvii negoziati di pace con la Russia.
Dalla fine della Guerra Fredda, la grande strategia degli Stati Uniti è stata quella di indebolire la Russia. Già nel 1992, l’allora Segretario della Difesa Richard Cheney teorizzava che, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, anche la Russia avrebbe dovuto essere smembrata. Zbigniew Brzezinski suggerì nel 1997 che la Russia dovesse essere divisa in tre entità confederate: la Russia europea, la Siberia e l’Estremo Oriente. Nel 1999, l’alleanza NATO guidata dagli Stati Uniti bombardò l’alleato della Russia, la Serbia, per 78 giorni, allo scopo di frammentarla e installare una grande base militare NATO nel Kosovo secessionista. I leader del complesso militare-industriale statunitense sostennero vigorosamente la guerra cecena contro la Russia nei primi anni 2000.
Per garantire questi progressi contro la Russia, Washington ha spinto aggressivamente per l’espansione della NATO, nonostante le promesse fatte a Mikhail Gorbaciov e Boris Yeltsin che la NATO non si sarebbe mossa nemmeno di un centimetro verso est dalla Germania.
Paolo Ferrero: L’Occidente è un accidente
L’Occidente è un accidente
di Paolo Ferrero
Cosa sta succedendo? Questa domanda è sempre più diffusa perché l’insicurezza e il disorientamento hanno oramai raggiunto un livello impressionante: alla precarizzazione della vita che ci ha imposto per decenni il liberismo si è infatti aggiunta la possibilità concreta della guerra. L’insicurezza sociale, la precarietà, la distruzione del welfare, uniti alla vicenda della pandemia del Covid e oggi al clima di guerra determinano un vero e proprio spaesamento, uno diffuso stato di choc.
L’insicurezza si nutre anche di una forte di perdita di credibilità delle narrazioni pubbliche: com’è del tutto evidente buona parte della comunicazione non è finalizzata a informare i cittadini ma a manipolare l’opinione pubblica. Pensate solo a come viene rappresentato dai media il genocidio del popolo palestinese a Gaza. Nell’insicurezza matura la sfiducia ma anche la ricerca spasmodica di certezze a cui aggrapparsi come a un salvagente.
Nel difficile compito di evitare sia le bugie di regime che quelle complottiste, abbiamo realizzato questo numero di “Su la Testa”, cercando di capire cosa c’è dentro e dietro questa situazione nebulosa connotata dal clima di guerra. Lo facciamo puntando l’attenzione sull’Occidente. Non solo perché ci viviamo ma perché è l’Occidente che più di ogni altro aggregato mondiale sta puntando sulla guerra. Giova ricordare, per sottolineare un solo elemento, che l’Occidente ha l’unica alleanza militare a largo raggio oggi esistente al mondo – la NATO – e nel 2023 ha speso 1.341 miliardi di dollari, pari al 55% della spesa militare mondiale pur avendo meno del 23% della popolazione.
Attorno ai nodi della guerra e dell’Occidente ruota questo numero della rivista che confido vi aiuterà a inquadrare il problema e spero venga letto e discusso collettivamente: perché la rifondazione del comunismo e il rilancio dell’alternativa si fondano necessariamente su una corretta analisi di fase.
Ilan Pappé: Il collasso del sionismo
Il collasso del sionismo
di Ilan Pappé*
L’assalto di Hamas del 7 ottobre può essere paragonato a un terremoto che colpisce un vecchio edificio. Le crepe cominciavano già a manifestarsi, ma ora sono visibili nelle sue stesse fondamenta.
A più di 120 anni dal suo inizio, il progetto sionista in Palestina – l’idea di imporre uno Stato ebraico in un Paese arabo, musulmano e mediorientale – potrebbe trovarsi di fronte alla prospettiva di un crollo?
Storicamente una pletora di fattori può causare il crollo di uno Stato. Può derivare da attacchi costanti da parte dei Paesi vicini o da una guerra civile cronica. Può seguire il crollo delle istituzioni pubbliche, che diventano incapaci di fornire servizi ai cittadini.
Spesso inizia come un lento processo di disintegrazione che prende slancio e poi, in breve tempo, fa crollare strutture che un tempo sembravano stabili e consolidate.
La difficoltà sta nell’individuare i primi indicatori. In questa sede sosterrò che questi sono più chiari che mai nel caso di Israele. Stiamo assistendo a un processo storico – o, più precisamente, al suo inizio – che probabilmente culminerà nella caduta del sionismo.
E, se la mia diagnosi è corretta, stiamo anche entrando in una congiuntura particolarmente pericolosa.
Giorgio Bona: Addio Russia!
Addio Russia!
di Giorgio Bona
Florence Macleod Harper, Addio Russia! Una testimone della rivoluzione del 1917, trad. di Mariana Tudorache, pp. 208, € 15, Lorenzo de’ Medici Press, Firenze 2024
Florence Macleod Harper (1886-1946) era una giornalista canadese appena ventisettenne al momento del suo viaggio in Russia, inviata speciale dal quotidiano statunitense “Frank Leslie’s Illustrated Newspaper” (più tardi “Leslie’s Weekly”, di proprietà dell’incisore, illustratore ed editore Frank Leslie), con l’incarico di coprire la Prima guerra mondiale sul fronte orientale.
Florence fu una delle prime corrispondenti di guerra e una delle poche giornaliste occidentali a lasciare un resoconto immediato delle prime fasi della Rivoluzione.
Arrivò a San Pietroburgo attraverso la Siberia su un treno lungo e sporco, dividendo il suo tempo nella città della Rivoluzione, tra gli ospedali del personale in prima linea. Fu testimone degli eventi che andavano da febbraio a luglio del 1917.
Nei suoi reportage da giovanissima inviata c’è tutto l’ardore dell’età dentro un evento di così grande portata, visto con entusiasmo e anche con una ferma e curiosa capacità analitica che appare entro una scrittura sempre fresca e ironica, capace di raccontare la realtà e mostrare ai suoi lettori la verità con un’appassionata partecipazione.
Piccole Note: Israele e la Zona di interesse
Israele e la Zona di interesse
di Piccole Note
A Gaza 50mila morti e dispersi. 7 ottobre, gli avvertimenti ignorati e la “direttiva Annibale”
Entro alcune settimane “le forze di difesa israeliane completeranno la loro azione offensiva a Rafah, in linea con le restrizioni americane [sic] e lungi dall’infliggere una sconfitta totale ad Hamas, e vorranno dichiarare la fine” della guerra, almeno nella forma attuale, così da “ritirarsi da Gaza”.
Così inizia un articolo di Amos Harel su Haaretz, che aggiunge, però, che “Netanyahu ha altre idee”, dovendo alimentare la sua “guerra infinita” nella speranza di prolungarla almeno fino a novembre, cioè alle elezioni americane, dalle quali spera che esca vincente un candidato a lui più favorevole.
Zona di interesse
La frizione tra esercito e governo è ormai palese, come da annotazioni di Harel, ma solo il tempo dirà se porterà nuove. A oggi, anche l’ultimo tentativo di riportare alla ragione Netanyahu, esperito dalla Casa Bianca, è acqua passata. Biden e i pochi che l’hanno aiutato hanno ormai ammainato bandiera.
Così la macelleria continua, nulla importando dei circa 50mila palestinesi presumibilmente uccisi (sommatoria degli oltre 37mila morti ufficiali e dei 10mila che si stima siano ancora sotto le macerie) di cui almeno 15mila sono bambini.
Francesco Cori: Il rimosso della guerra nell’informazione durante le elezioni europee
Il rimosso della guerra nell’informazione durante le elezioni europee
di Francesco Cori
Le classi dominanti e i media da esse controllati riescono ancora una volta a manovrare le coscienze dei subalterni, scoraggiati da una concreta prospettiva alternativa di riscatto. In questa stretta tra disaffezione e impotenza bisogna elaborare una via d’uscita credibile e concreta
Le elezioni europee del 7 e dell’8 Giugno 2024 si sono svolte in tutta Europa in un clima surreale, con i massimi esponenti della Commissione Europea che, attraverso dichiarazioni pubbliche, invitavano a un’ulteriore escalation militare nei confronti della Russia. A ridosso delle elezioni Macron, Scholz e la Von Der Leyen dichiaravano esplicitamente un cambiamento di passo verso la guerra alla Russia: non è più sufficiente l’invio delle armi in Ucraina ma bisogna cominciare a pensare all’invio di soldati, si deve riproporre la leva obbligatoria, bisogna investire nell’economia di guerra, inviare armi a lunga gittata per attaccare direttamente il territorio russo, coinvolgendosi in forma sempre più diretta.
Di fronte a questa follia il dato che colpisce è che, se si escludono alcuni casi isolati, il voto popolare, in tutta Europa, e in particolare in Italia, non si è contraddistinto per un secco “no” alle politiche belliciste in chiave progressista, ma ha prodotto un mantenimento relativo delle forze governative (il PPE in primis) e, dove questo non è avvenuto – come in Francia – ha prodotto un deciso spostamento a destra dell’elettorato (il partito ultra-nazionalista della Le Pen).
Carla Filosa – Francesco Schettino: L’imperialismo e il conflitto tra aree valutarie
L’imperialismo e il conflitto tra aree valutarie
di Carla Filosa – Francesco Schettino
Imperialismo transnazionale e aree valutarie
La concatenazione transnazionale che ha cambiato la configurazione della lotta interimperialistica, ormai da molto non più rigidamente suddivisa per prevalente appartenenza statuale, appare nella richiesta di un’accresciuta capacità di penetrazione del capitale nel mercato mondiale. Perciò la predeterminazione di aree valutarie di riferimento supera in importanza la mera collocazione storica geografica dell’investimento.
Sarebbe perciò un grave errore ritenere, com’è diffuso costume, che gli elementi monetari e valutari siano soltanto una questione separata dalle strategie industriali produttive.
Da un lato, si pongono in risalto i caratteri di una rincorsa dell’“economia reale”, disperata perché in crisi, nell’attuale nuova divisione internazionale del lavoro – ovverosia, filiere di produzione, dislocazioni, esternalizzazioni, subfornitura a scala mondiale, “corridoi” energetici e altro, “vantaggio competitivo”, centralizzazione e trasformazione degli assetti proprietari internazionali, con rovesciamento del ruolo tra organismi sovrastatuali e stati nazionali, privatizzazioni se reputate efficaci, ecc.
D’altro lato, si evidenziano quelli di un’“economia monetaria” che cerca di procedere alla ridefinizione egemonica delle suddette aree valutarie di riferimento significativo per il mercato mondiale “unificato”.
La tematica delle aree valutarie si pone per individuare nel dettaglio quali elementi di costo siano espressi in dollari, in euro o nelle valute asiatiche, rublo, yuan e yen, e in quale valuta quindi si presentino in divenire anche i prezzi di vendita. Da quanto precede si possono dedurre alcuni argomenti chiave.
Andrea Muni: Cittadini ucraini “russi”, “russofoni” e “filo-russi”: un po’ di chiarezza
Cittadini ucraini “russi”, “russofoni” e “filo-russi”: un po’ di chiarezza
di Andrea Muni
Prima puntata di un trittico di approfondimento sulla guerra civile ucraina e sul conflitto russo-ucraino (qui il link alla presentazione)
Riavvolgere il filo
Dopo il golpe/rivolta di Maidan del 2014 la fazione politica filo-occidentale e nazionalista che ha preso il potere nel Paese ha cercato di far passare in Occidente, con l’avvallo dei media, l’idea che non esista una parte considerevole di ucraini che è russo-ucraina, russofona e, in certi casi, filorussa. In questo approfondimento chiariremo come questi tre termini indichino tre cose diverse, da non confondere e sovrapporre necessariamente. Per la narrazione ultra-nazionalista filo-occidentale sposata dai nostri media, questi ucraini (russi, russofoni e/o filorussi) sarebbero una sorta di serpe in seno, un corpo estraneo, uno sparuto nemico interno eterodiretto dai russi da scacciare o rieducare. Eppure questi ucraini popolano buona parte del Sud e dell’Est del Paese, dove è condensata la minoranza etnica russa, dove gli ucraini sono maggioritariamente russofoni e dove è più frequente incontrare persone di orientamento geopolitico filo-russo. I cittadini ucraini che la nostra propaganda definisce genericamente filorussi: 1) raramente sono a favore o entusiasti della guerra, che infuria soprattutto nella loro parte di Ucraina e di cui patiscono nella carne e negli affetti come ogni altro ucraino, 2) non sono affatto tutti ideologicamente putiniani o ultra-nazionalisti, spesso sono anzi nostalgici dell’Urss, 3) non desiderano necessariamente l’annessione alla Federazione Russa, né tanto meno la desideravano dieci anni fa allo scoppio della guerra civile, 4) non si trovano solo nel Donetsk e nel Luhansk, ma sono diffusi in tutto l’Est e il Sud.
I cosiddetti filorussi sono quindi una parte dei cittadini ucraini dell’Est e del Sud del Paese, che è accomunata da alcune posizioni:
Gaetano Colonna: Netanyahu e i militari israeliani
Netanyahu e i militari israeliani
di Gaetano Colonna
Mentre soffiano venti di guerra tra Israele e il Libano, dopo i numerosi scontri tra soldati con la stella di David ed Hezbollah, la polemica tra il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu e i vertici delle forze armate israeliane (IDF) sta raggiungendo toni mai visti, almeno fino a questo momento. Toni che tuttavia promettono di fornire molte interessanti notizie su cosa è realmente accaduto in Palestina prima e dopo il 7 ottobre 2023.
Un obiettivo irraggiungibile
Il 19 giugno il contrammiraglio israeliano Daniel Hagari, parlando come portavoce dell’IDF, in un’intervista a Channel 13 News dichiara senza mezzi termini:
«Questa faccenda di distruggere Hamas, di far sparire Hamas, è semplicemente un modo per gettare sabbia negli occhi del pubblico».
«Hamas è un’idea, Hamas è un partito. – ha poi aggiunto – È radicato nel cuore della gente: chiunque pensi che possiamo eliminare Hamas sbaglia».
Gigi Sartorelli: Accordo sul petrodollaro Usa-Sauditi. Rettifiche necessarie e chiarimenti utili
Accordo sul petrodollaro Usa-Sauditi. Rettifiche necessarie e chiarimenti utili
di Gigi Sartorelli
Il 17 giugno è stato pubblicato un mio articolo sul giornale Contropiano, dal titolo L’accordo USA-Arabia Saudita sui petrodollari non è stato rinnovato. Lo stesso giorno è uscito un articolo di Claudio Paudice su Huffington Post, in cui veniva spiegato perché questa informazione, rimbalzata su diversi siti, fosse una fake news.
A essere precisi, già nelle prime righe l’autore specifica che la notizia “è fortemente esagerata, quindi fake”. Ci troviamo già a una riformulazione per cui, con una consequenzialità logica data per scontata, i fatti presentati con forme “esagerate” diventano automaticamente “inventati”.
Affinché qualcosa sia esagerata, un fondo di verità da esagerare ci deve pur essere. E allora è doveroso che faccia le dovute rettifiche al pezzo pubblicato il 17 giugno, perché l’accordo a cui si fa riferimento è in realtà scaduto più di venti anni fa.
Ma è anche utile che ricostruisca nei dettagli la vicenda, apparsa persino sul sito del Nasdaq, la borsa valori statunitense che dovrebbe ben informare i suoi operatori. I nodi che solleva, anche non “esagerati”, rispondono al senso originario dell’articolo di qualche giorno fa.
Mauro Armanino: Lettere dal Sahel XIV
Lettere dal Sahel XIV
di Mauro Armanino
Voci dal sottosuolo
Niamey, maggio 2024. Parla poco o nulla l’inglese ed è nullo in francese. Mohammed si presenta una mattina col foglio plastificato dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati rilasciatogli dall’ufficio di Niamey. Da allora passa ogni due settimane per salutare e ottenere di che sopravvivere qualche giorno in più. Invece di continuare ad alloggiarsi in strada, presso l’ufficio delle Nazioni Unite, tra polvere, vento e pioggia quando sarà la stagione, ha trovato un posto presso la ‘Casa del Togo’. I responsabili della Casa accolgono anche migranti o rifugiati originari di altre nazionalità e offrono l’alloggio, i servizi igienici e un minimo di decenza per il riposo. Per ragioni comprensibili non sono in grado di nutrire gli ospiti che, in qualche modo, devono darsi da fare in un contesto complicato per tutti e in particolare per uno straniero che incapace di comunicare.
Le segnalazioni all’Ufficio, per vari motivi, non hanno prodotto nessun risultato apprezzabile. Mohammed possiede un documento delle Nazioni Unite e un altro dell’Ufficio Nazionale di Eleggibilità che lo riconosce, per ora, come richiedente asilo.
Mario Lombardo: Putin e Kim, patto contro l’Impero
Putin e Kim, patto contro l’Impero
di Mario Lombardo
La prima visita in 24 anni in Corea del Nord del presidente russo Putin ha scatenato una valanga di commenti altamente critici sulla stampa e tra i governi “democratici” occidentali. Dai pericoli legati al consolidamento dell’alleanza tra due potenze nucleari al rischio di un definitivo aggiramento delle sanzioni imposte a Pyongyang, le ragioni alla base di questa isteria collettiva sono state esposte con tutti i dettagli del caso. Inutilmente si cercherebbe invece un’analisi oggettiva delle implicazioni del vertice, da inserire nel quadro del rafforzamento di un sistema di governance globale alternativo, anche perché ciò comporterebbe la presa d’atto dell’ennesimo colossale fallimento della politica estera di Washington.
Il clou del faccia a faccia tra Putin e Kim Jong-un è stata la firma di un accordo che porta le relazioni tra i due paesi al livello di “partnership strategica globale”. Alcuni analisti russi hanno spiegato che l’iniziativa è per lo più di carattere simbolico, ma implica comunque la predisposizione di un’architettura legale all’interno della quale saranno promossi i rapporti bilaterali in vari ambiti.
La nuova partnership è stata formalmente ratificata dalla firma di Putin, prima di lasciare Mosca, su un apposito decreto basato su una proposta sottoposta al Cremlino dal ministero degli Esteri russo.