[SinistraInRete] Sahra Wagenknecht: Le condizioni della Germania

Rassegna 29/06/2024

Sahra Wagenknecht: Le condizioni della Germania

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Le condizioni della Germania

Thomas Meaney e Joshua Rahtz intervistano Sahra Wagenknecht

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2c4a07c89955.jpgL’economia tedesca deve affrontare molteplici crisi convergenti, sia strutturali che congiunturali. L’impennata dei costi energetici dovuta alla guerra con la Russia; lo shock del costo della vita, con un’inflazione elevata, alti tassi d’interesse e salari reali in calo; l’austerità imposta dal freno costituzionale al debito, mentre i concorrenti americani puntano all’espansione fiscale; la transizione verde che colpirà settori chiave come l’industria automobilistica, l’acciaio e la chimica; e la trasformazione della Cina, uno dei più importanti partner commerciali della Germania, in un concorrente in settori come i veicoli elettrici. Può dirci innanzitutto quali sono le regioni più colpite dalla crisi?

C’è in corso una crisi generale, la più grave degli ultimi decenni, e la Germania si trova in una situazione peggiore di qualsiasi altra grande economia. Le più colpite sono le regioni industriali, finora spina dorsale del modello tedesco: la Grande Monaco, il Baden-Württemberg, il Reno-Neckar, la Ruhr. Durante la pandemia, il commercio al dettaglio e i servizi sono stati i più colpiti. Ma ora le nostre imprese del Mittelstand sono sottoposte a una forte pressione. Nel 2022 e 2023, le imprese industriali ad alta intensità energetica hanno subito un calo della produzione del 25%. È un dato senza precedenti. Hanno appena iniziato ad annunciare licenziamenti di massa. Queste piccole e medie imprese a conduzione familiare – molte delle quali specializzate in ingegneria o produttrici di macchine utensili, ricambi auto, apparecchiature elettriche – sono davvero importanti per la Germania. Sono perlopiù gestite dai proprietari o a conduzione familiare, quindi non sono quotate in borsa e spesso hanno un carattere piuttosto robusto.

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Ascanio Bernardeschi: “La guerra e l’oligarchia finanziaria”

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“La guerra e l’oligarchia finanziaria”

Recensione del saggio di Federico Fioranelli

di Ascanio Bernardeschi

Le contraddizioni del modo di produzione capitalistico rendono necessario l’intervento dello Stato, ma le classi dominanti preferiscono la spesa pubblica per la guerra a quella sociale. Nella fase monopolistica del capitalismo si ha l’intreccio fra industria e finanza e la trasformazione delle economie dei paesi occidentali in parassitari e usurai, sorretti dalla potenza militare

9788869247033.jpgFederico Fioranelli è un giovane docente di economia politica, autore di diversi articoli e saggi sia di teoria economica che di analisi delle concrete economie, facente parte del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”.

A fine 2023 ha pubblicato per le edizioni Simple di Macerata il libro La guerra e l’oligarchia finanziaria, che è un’analisi dell’economia di guerra nell’attuale fase di finanziarizzazione dell’economia, un agile volumetto di 94 pagine, inclusa la ricca bibliografia, dalla lettura molto scorrevole.

La tesi da cui parte questo lavoro è che non è stata tanto la spesa civile ma quella militare, in particolare quella degli Usa, che ha consentito di sostenere, tramite il moltiplicatore keynesiano, la domanda e quindi di scongiurare per alcuni decenni la recessione. Questa tesi è sostenuta dopo un excursus essenziale ma illuminante della storia economica degli Usa, mettendo in fila una serie di dati statistici assai utili, che evidenziano la stretta correlazione fra spesa militare e crescita economica.

Fioranelli ci fornisce anche una spiegazione della preferenza per la spesa militare su quella civile, che pure sarebbe ugualmente in grado di attivare il moltiplicatore. Tale preferenza non sta solo nelle ragioni geostrategiche e nella natura imperialistica degli States, ma esiste anche una spiegazione più strettamente economica: mentre la spesa civile sottrae spazio al settore privato, quindi ai profitti, quella militare, attivando le imprese private del comparto, non presenta questo inconveniente. Inoltre la militarizzazione produce “un rispetto cieco per l’autorità” e “una condotta di conformismo e di sottomissione” che rassicura l’oligarchia finanziaria riguardo alla “sua autorità morale” e alla “sua posizione materiale” (p. 50). Ciò spiega perché, dopo la grande crisi del ’29-30, il new deal di Roosevelt abbia incontrato forti resistenze da parte delle classi dominanti e in ragione di ciò sia stato attuato in forma timida e contraddittoria, non producendo i risultati sperati, risultati ottenuti pienamente invece con la corsa agli armamenti a partire dal 1940.

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Chris Hedges: L’imminente crollo dell’impero americano

comedonchisciotte.org 

L’imminente crollo dell’impero americano

di Chris Hedges – declassifieduk.org

Il mondo come lo conosciamo è gestito da una classe esclusiva di gangsters americani che hanno a loro disposizione armi e denaro virtualmente illimitati

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750x430.jpgLa percezione pubblica dell’Impero Americano, almeno per coloro che negli Stati Uniti non hanno mai visto l’impero dominare e sfruttare i “miserabili della terra”, è radicalmente diversa dalla realtà.

Queste illusioni artificiali, di cui Joseph Conrad aveva scritto in modo così preveggente, presuppongono che l’impero sia una forza per il bene. L’impero, ci viene detto, promuove la democrazia e la libertà. Diffonde i benefici della “civiltà occidentale”.

Si tratta di inganni ripetuti ad nauseam da media compiacenti e sciorinati da politici, accademici e potenti. Ma sono bugie, come sanno tutti coloro che hanno trascorso anni a fare reportage all’estero.

Matt Kennard nel suo libro The Racket – in cui racconta di Haiti, Bolivia, Turchia, Palestina, Egitto, Tunisia, Messico, Colombia e molti altri Paesi – squarcia il velo. Espone i meccanismi nascosti dell’impero. Ne descrive la brutalità, la mendacità, la crudeltà e le pericolose auto-illusioni.

Nell’ultima fase dell’impero, l’immagine venduta a un pubblico credulone inizia a incantare gli stessi mandarini dell’impero. Essi prendono decisioni basate non sulla realtà, ma sulle loro visioni distorte della realtà, colorate dalla loro stessa propaganda.

Matt lo definisce “il racket”. Accecati dall’arroganza e dal potere, arrivano a credere ai loro stessi inganni, spingendo l’impero verso il suicidio collettivo. Si ritirano in una fantasia in cui i fatti, duri e spiacevoli, non si intromettono più.

Sostituiscono la diplomazia, il pluralismo e la politica con minacce unilaterali e con lo strumento contundente della guerra. Diventano i ciechi architetti della loro stessa distruzione.

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Fulvio Grimaldi: Ce lo chiedono mafia e impero. Tre schiforme per il fascismo del terzo millennio

mondocane

Ce lo chiedono mafia e impero. Tre schiforme per il fascismo del terzo millennio

Giustizia-Premierato-Autonomia differenziata

di Fulvio Grimaldi

Metapolitica-Il fuoriscena del Potere, condotto da Francesco Capo

https://www.youtube.com/live/GdhcE_jsl2I

https://www.youtube.com/live/GdhcE_jsl2I?si=sp62xAJyt_Lr6FgW

Quello che in questa trasmissione di Francesco Capo provo a sottolineare è il fenomeno della quasi totale passività con la quale la società italiana, colpita al cuore nella sua identità politica, storica, culturale, sociale, ha reagito, NON reagito, a una trasformazione più radicale addirittura di quella realizzata dal primo fascismo negli anni Venti. Passivizzazione indotta e subita dalla popolazione in generale, ma con accentuazione di particolare gravità nelle classi subalterne, proprio quelle contro le quali l’operazione è concepita e diretta e che ne hanno di più da perdere.

Dal 21 al 23 giugno ero a Gambassi Terme, un borgo straordinario di quella Toscana che nell’immaginario è collocata a custodia della più incorrotta identità storica e culturale del paese. Una terra in cui da bambino ascoltavo il pastore nelle campagne di Fiesole recitare per suo diletto i versi della Commedia. Definirei Gambassi, dove ha appeno vinto una bella civica, il ventricolo sinistro del cuore d’Italia.

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Piccole Note: Secolo americano vs Secolo asiatico

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Secolo americano vs Secolo asiatico

di Piccole Note

La mossa del cavallo di Putin apre prospettive imprevedibili anche per la Cina

“Putin è andato in Asia per sconvolgere la situazione e ci è riuscito”. Questo il titolo, azzeccato, di un articolo del New York Times per il resto non indimenticabile. In sostanza, Washington ha accusato il colpo perché Putin, con il suo viaggio in Corea del Nord e Vietnam, ha fatto una vera e propria mossa del cavallo, che rovina anni e anni di programmazione degli strateghi statunitensi.

Anzitutto, è d’obbligo una premessa. La visita di Putin, che sapeva perfettamente che sarebbe suonata come una sfida agli occhi dei suoi antagonisti, è in reazione alla continua escalation della Nato in Ucraina, che ha toccato il fondo con il placet dato a Kiev di attaccare il suolo russo con armi americane.

Lo zar aveva ammonito che la mossa avrebbe avuto una risposta e così è avvenuto. Ma come si è concretizzata tale risposta? Tante le criticità poste agli Usa dagli accordi raggiunti con Corea del Nord e Vietnam, ad esempio la possibilità di fornire a Pyongyang armi in grado di colpire le basi Usa nel Pacifico.

Ma l’essenza della questione è un’altra. Da anni gli strateghi statunitensi fanno piani secondo uno schema predefinito: alle colonie europee la mission suicida di confrontarsi con la Russia attraverso l’ampliamento della guerra ucraina – fino a farla diventare una guerra europea su larga scala – così che gli Stati Uniti possano dedicarsi al confronto più decisivo, quello contro la Cina, considerato il nemico più insidioso.

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Luigi Ambrosi: Una linea rossa per la sinistra radicale in Occidente

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Una linea rossa per la sinistra radicale in Occidente

di Luigi Ambrosi

Esiste una linea rossa nella sinistra in Occidente superata la quale si diventa complici o contigui del capitalismo globalista occidentale e del suo braccio armato? Per me SI, ed è quella, in ultima analisi, che ci porterebbe sulle stesse posizioni della NATO. Essere favorevoli, con tanti si e tanti ma, alle politiche della Nato significa aver già superato quella linea rossa.

I primi a superare quella linea rossa furono gli eredi del PCI con la partecipazione attiva del governo D’Alema che aderì alle politiche USA/NATO di guerra alla Jugoslavia /Serbia negli anni ’90; PCI che pur negli anni ’50 e ’60 aveva chiesto l’uscita dell’ Italia dalla NATO.

La sinistra radicale, almeno in Italia, riusci a conservare la propria identità anti-imperialista almeno fino alla guerra alla Libia del 2011, e riusci a fare opposizione alle due guerre all’Iraq e in parte a quella all’Afghanistan, pur con tentativi opportunistici di neutralismo: “né con Saddam né con Bush”.

È con la guerra alla Libia che avviene il patatrac, e una considerevole parte della sinistra radicale scopre le virtù della Nato contro la Libia di Gheddafi. E supera la linea rossa.

Non importa poi scoprire che il pretesto dell’attacco alla Libia fosse una delle solite menzogne dell’impero, come il mai avvenuto bombardamento da parte del governo di Gheddafi di una manifestazione popolare con decine di migliaia di morti.

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Emiliano Brancaccio: La camicia di forza dell’austerity si può allentare. Ma il governo tace

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La camicia di forza dell’austerity si può allentare. Ma il governo tace

di Emiliano Brancaccio

Economia. Bisognerà pescare una trentina di miliardi entro fine anno. In teoria il boom dei profitti causato dall’inflazione aprirebbe praterie per un prelievo sui redditi da capitale. Meloni preferisce radere altri campi. Corre voce che alla fine deciderà di tagliare su investimenti al sud, sanità pubblica e contratti pubblici. Sempre la stessa musica di classe

Come temuto, la minaccia dell’austerity riaffiora all’orizzonte della politica economica comunitaria. Il cartellino giallo della Commissione europea è infatti giunto: assieme ad altri sei paesi, l’Italia sarà sottoposta a una procedura d’infrazione per deficit pubblico eccessivo.

L’ammonizione di Bruxelles è in parte mitigata da un giudizio sostanzialmente positivo sul quadro macroeconomico italiano. In particolare, la Commissione nota con soddisfazione che «le condizioni del mercato del lavoro sono migliorate negli ultimi anni e non si sono tradotte in pressioni salariali». Gentiloni e colleghi, in altre parole, si rallegrano che la crescita dell’occupazione non abbia favorito lo sviluppo delle lotte sindacali. Anche per questo motivo, quando a settembre si faranno tutti i conti la Commissione sarà un po’ più indulgente col governo. Meloni e Giorgetti ringraziano, e poco importa che nell’ultimo decennio il potere d’acquisto di lavoratrici e lavoratori sia caduto di oltre 3 punti percentuali e che l’inflazione abbia pure vanificato i bonus fiscali e le minori aliquote. Il minuetto tra autorità nazionali ed europee va dunque avanti sereno, sulle spalle della classe subalterna.

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Stefano Baudino: Bruxelles mette l’Italia nel mirino: dopo l’avviso sui conti torna all’attacco sul MES

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Bruxelles mette l’Italia nel mirino: dopo l’avviso sui conti torna all’attacco sul MES

di Stefano Baudino

Il fuoco di fila da parte delle istituzioni europee all’indirizzo del governo italiano si fa sempre più serrato. In seguito all’ufficializzazione dell’apertura di una procedura d’infrazione per eccessivo deficit da parte della Commissione Europea e la bocciatura da parte di Bruxelles della riforma fiscale e dell’autonomia differenziata promosse dal governo Meloni, sono infatti improvvisamente tornati gli attacchi sulla mancata ratifica italiana del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). L’impressione è che Bruxelles stia attuando una manovra a tenaglia attraverso una strategia che si gioca su molteplici piani, tra cui sembra avere un peso significativo la decisiva partita per le nomine dei ruoli apicali nelle istituzioni europee. La premier Meloni sta infatti cercando di piazzare almeno un esponente italiano nella rosa, ma – almeno per ora e a queste condizioni – il nostro Paese sembra destinato a non spuntarla.

Che l’offensiva europea sul MES e la trattativa per le nomine europee possano effettivamente essere collegate ce lo racconta la cronaca politica degli ultimi giorni. Sei mesi dopo la bocciatura del “Fondo salvastati” da parte del Parlamento italiano, nella cornice del Consiglio dei governatori del MES a Lussemburgo, i ministri dei Paesi dell’Eurozona sono tornati alla carica, chiedendo al ministro dell’Economia italiano Giorgetti come l’Italia (unico Stato a non avere ancora provveduto) intenda muoversi rispetto alla ratifica del Fondo.

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Salvatore Bravo: Produrre e lobotomizzare

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Produrre e lobotomizzare

di Salvatore Bravo 

58bb5f85 ae7d 4e57 ad4a aa308c1c46c9.jpgIl ciclo del capitale con i suoi processi di valorizzazione è trattato da Marx nel II Libro de Il Capitale. Nell’esposizione marxiana vi è la condanna etica ai processi di monetarizzazione del lavoro umano. La condanna assiologica è il fondamento della critica marxiana. Il capitale è ciclo improntato all’accrescimento illimitato del plusvalore nel quale gli esseri umani (i sussunti) sono cannibalizzati da tale processo e incorporati nel sistema produttivo. Il capitalismo è, quindi, una visione del mondo in cui si converte la vita in morte, è “antiumanesimo militante”.

Il lavoro vivo è trasformato in lavoro morto, ovvero in accrescimento del profitto e in allargamento delle spire del mercato. Su tutto campeggia la sola categoria di quantità: il totalitarismo della quantità condanna ogni essere umano a vendersi al capitalista; è il rapporto di forza a determinare le relazioni di dominio legalizzate dai diritti astratti che li “definiscono”ed eguali. La logica di dominio è inoculata nel sistema sociale fino alla naturalizzazione della stessa mediante l’addestramento al’astratto. Si educa a pensare senza valutare le condizioni materiali in cui il soggetto opera. La quantità è il fine che muove il capitalismo, esso deve spogliare ogni esperienza del suo contenuto soggettivo, creativo e assiologico per immetterla nel mercato e per convertirla in strumento-azione che sostiene il capitalismo. Le macchine con cui i capitalisti si pongono in competizione incorporano il lavoro muscolare e intellettuale, esse “non sono solo macchine”, perché sono l’effetto dell’incorporamento nell’acciaio dei subalterni. Sono vampiri animati dal sacrificio dei popoli. La schiavitù salariata dell’operaio come dei tecnici non è solo nel prodotto finale ma in tutto il sistema produttivo.

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Enzo Traverso: Il laboratorio Israele

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Il laboratorio Israele

Chiara Cruciati intervista Enzo Traverso

Dialogando con Chiara Cruciati, Enzo Traverso spiega perché la posta in gioco della guerra a Gaza ha una portata che va ben al di là del Medio Oriente

israele palestina traverso
jacobin italia 1536x560.jpgQuesta intervista di Chiara Cruciati, vicedirettrice del manifesto, a Enzo Traverso è avvenuta il 16 giugno nell’ambito del festival Contrattacco organizzato da Edizioni Alegre. All’iniziativa, durata due ore, hanno assistito quasi 200 persone. Qui la trascrizione del colloquio, rivista dagli autori.

* * * *

L’8 giugno 2024, un’operazione israeliana per la liberazione di 4 ostaggi ha ucciso 276 palestinesi. Nei giorni successivi sono usciti dettagli sul modo in cui l’operazione è stata compiuta, nel cuore del campo profughi di Nuseirat. Eppure sui media occidentali e nelle dichiarazioni pubbliche dei leader politici si è parlato di «successo». La narrazione dell’offensiva israeliana passa da mesi per la sotto-rappresentazione se non l’occultamento dei crimini di guerra israeliani, eppure stavolta si è raggiunto un nuovo apice: definire una carneficina «un successo». Un massacro ampiamente anticipato dalle leadership europee che all’indomani del 7 ottobre dichiararono il sostegno «incondizionato» a Israele, dando di fatto la benedizione a qualsiasi forma di reazione.

In Gaza davanti alla storia dedichi un capitolo prezioso all’Orientalismo, più forte scrivi dell’eredità dell’Illuminismo. Dare valore diverso a una vita e a una comunità sulla base della presunta superiorità morale e culturale del mondo bianco occidentale è un tratto essenziale dell’Orientalismo. Possiamo leggere dentro a questo però anche una deriva necropolitica e, di rimando, fascista?

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Alessandro Visalli: Vincenzo Costa, La società dell’ansia

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Vincenzo Costa, La società dell’ansia

di Alessandro Visalli

712I6Oa7bCL. SL1376 .jpgIl libro di Vincenzo Costa, La società dell’ansia[1], è del 2024 e si inserisce nel filone dei suoi testi politici di cui fanno parte Elites e populismo[2], del 2019, L’assoluto e la storia[3], del 2023, e Categorie della politica[4], del 2023. Nel blog Nella fertilità cresce il tempo (un verso di Pablo Neruda dal Canto General[5]), questi libri sono stati letti in altrettanti post[6]. Rispetto a questi, tuttavia, il testo sembra aprire un altro e nuovo filone di ricerca che si collega probabilmente con alcuni altri del medesimo autore, inseriti nella tradizione fenomenologica di cui Costa è uno dei principali cultori[7]. Si tratta comunque di un testo ambizioso: il tentativo, per ora abbozzato di creare una sorta di economia politica delle emozioni.

Ci sono alcuni bersagli polemici, più che altro rilevabili dai termini e dalle formule a volte tranchant adoperate: il primo è la cosiddetta “svolta linguistica”[8] e la successiva “svolta argomentativa”[9], quindi Habermas che le traduce entrambe in prescrizioni politiche e sociali negli anni Novanta; il secondo è il materialismo marxiano. E c’è un oggetto centrale: l’emergenza del legame sociale, ovvero dell’ordine sociale.

Dei due bersagli polemici principali (Habermas e Marx) il primo è più evidente, in particolare è criticata la centralità del suo concetto di “razionalità” come criticabilità di azioni ed affermazioni, e quello di “argomentazione” come relazione tra azioni linguistiche le quali si ancorano alla “costrizione non coatta” dell’argomento migliore universalisticamente ancorato[10].

Il problema che Costa sente è la disgregazione del senso nella società contemporanea, ovvero del senso socialmente costituito e condiviso (non già attraverso una discussione razionale). Quindi il problema che sente è quello dell’anomia e delle sue conseguenze sociali e psicologiche.

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Giacomo Gabellini:I risvolti militari e geopolitici del Trattato siglato da Mosca e Pyongyang

lantidiplomatico

I risvolti militari e geopolitici del Trattato siglato da Mosca e Pyongyang

di Giacomo Gabellini

Le recenti visite del presidente russo Vladimir Putin a Pyongyang e Hanoi hanno scatenato una serie di “smottamenti” geopolitici di forte rilievo. Nella notte fonda di mercoledì 19 giugno, il leader del Cremlino è stato accolto in pompa magna dall’omologo nordcoreano Kim Jong-un, che lo ha abbracciato e gli ha concesso in dono due cani di razza coreana Pungsan – un cane della stessa razza era stato regalato da Kim al presidente sudcoreano Moon Jae-in nell’ambito della distensione promossa nel 2018 da Donald Trump. Dopo una serie di negoziazioni, le parti hanno sottoscritto un trattato di alleanza politica e militare che consolida la precedente intesa in materia di cooperazione tecnologica (balistica e aerospaziale) siglata verso la fine del 2022, estendendola ai settori economici e culturali.

L’accordo, pubblicato dalla «Korean Central News Agency», sostituisce pl preesistente Trattato di amicizia, buon vicinato e cooperazione del 2000 e si articola in 23 punti configurando una sorta di partenariato strategico affine sotto diversi aspetti a quello raggiunto tra Russia e Cina. Impegna infatti i contraenti sia a mobilitare tutti i mezzi a disposizione per fornire immediata assistenza militare a fronte di un attacco esterno contro la controparte, sia a non sottoscrivere alcuna intesa con soggetti terzi che confligga con gli interessi reciproci.

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Franco Berardi Bifo: La disfatta di Israele

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La disfatta di Israele

di Franco Berardi Bifo

Con l’arrivo del caldo a Gaza, il problema della penuria di acqua assume contorni catastrofici. A Jebalia sono stati registrati i primi morti per sete tra i bambini e anziani. Intanto il Jerusalem Post pubblica un articolo in cui si dice che la guerra di Netanyahu è persa perché non è possibile eliminare Hamas. Del resto, cresce l’angoscia pensando al fatto che le truppe di Hezbollah finora sono rimaste a guardare… A un prezzo spaventoso la vendetta di Hamas sembra consumarsi. Ma è forte il rischio di scoprire che in quel piccolo luogo del mondo, scrive Bifo, si sta svolgendo l’anteprima di una guerra ancora più orribile che ovunque si prepara.

* * * *

Moshe Feiglin, del partito di Netanjahu, ha detto che non si deve fermare il genocidio fin quando un solo palestinese rimarrà in vita (Middle Est Eye). Qualcuno potrà obiettare che costui è uno squilibrato e non rappresenta il popolo israeliano. Che si tratti di uno squilibrato non c’è dubbio, ma purtroppo la maggioranza degli israeliani sono squilibrati come lui, e pensano quello che dice lui, anche se non tutti lo dicono. La condizione di colonizzatori, l’abitudine a discriminare milioni di donne e di uomini che vivono a pochi passi da casa tua, il cinismo da zona di interesse in cui gli israeliani hanno vissuto per decenni sono le cause di questo squilibrio mentale.

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Fronte del Dissenso: Dopo le elezioni europee. Dove stiamo andando

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Dopo le elezioni europee. Dove stiamo andando

di Fronte del Dissenso

Allacciate le cinture, nuove turbolenze in arrivo.

Altro che Stati Uniti d’Europa! L’Unione vacilla e le élite dominanti tremano. Meglio così! Che il loro crollo sia imminente? È presto ancora per dirlo, altre scosse dovranno arrivare e arriveranno. Di sicuro le recenti elezioni europee sono state uno smacco per i poteri forti euro-atlantisti. Pensavano di averla sfangata avendo superato le scosse populiste che venivano dalla faglia tettonica a Sud, ma quelli non erano che i segnali premonitori del terremoto che avrebbe raggiunto il Nord. L’infarto ha infatti colpito il cuore stesso dell’Unione, il cosiddetto “Asse Carolingio” Berlino-Parigi. Proveranno a puntellare il traballante edificio dell’Unione. Ma un conto è rabberciare un emergenziale blocco maggioritario a Strasburgo, quindi dare parvenza di legittimità a una nuova Commissione, tutt’altra musica è invertire il corso della storia. I leader più importanti, convenuti a Bruxelles, stanno tentando di metterci una pezza. Da quel che si vede sarà peggiore del buco.

Le cause del tracollo elettorale dei governi di Berlino e Parigi sono molteplici: di natura sociale, istituzionale, geopolitica, culturale e spirituale.

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Stefano Sylos Labini: Fiscal Money Works: the Italian case

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Fiscal Money Works: the Italian case

Stefano Sylos Labini*

 

The proposal of Fiscal Money, which consists of transferable tax credits freely tradeable on the market, has been published by Project Syndicate on September 19, 2017, by Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa and myself “Making Fiscal Money Work” and has been massively applied in the construction sector in Italy since the second half of 2020.

 

Transferable tax credits in the construction sector

Transferable tax credits issued for the construction sector are spaced out along several years – mainly 5 or 10 years. This means that every year it is possible reduce taxes for the 20% or the 10% of the total amount received from the State to finance restructuring works.

These transferable tax credits can be immediately given to the firm that is carrying out the restructuring works, so the client will pay less euro because a part is paid by tax credits.

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