Rassegna 09/07/2024
Norberto Fragiacomo: Il “fascismo” contemporaneo non veste l’orbace
Il “fascismo” contemporaneo non veste l’orbace
di Norberto Fragiacomo
Una compagnia di spettri si aggira per l’Europa odierna, ma a capitanarla non è di certo una larva in fez e camicia nera, anche se qualche politicante e schiere di imbonitori mediatici sostengono allarmati (rectius: allarmisti) il contrario.
Vediamo di essere più precisi: un nuovo autoritarismo si sta per davvero affermando, e anzi a livello continentale è già dominante, ma non si identifica con i gruppuscoli di giovinastri nostalgici che marciano nerovestiti nelle vie di un borgo laziale e nemmeno con i quadri intermedi di un partito che è la versione 2.0 del MSI di Almirante. Che i meno accorti, cresciuti con quei miti, si lascino ogni tanto sfuggire un saluto romano o un Sieg Heil! è abbastanza scontato, così come non deve sorprendere che questo o quel “federale” di lungo corso sia restio a pronunciare un’abiura che striderebbe peraltro con lo spirito dei tempi. Ma come? – potrebbe ribattere il caporione di turno all’intervistatore beneducato e democratico – non siamo tutti d’accordo nel sostenere l’eroica battaglia del reggimento Azov, che la sua “fede” la esibisce con fierezza, e nel condannare il mostruoso comunismo sovietico che ha prodotto l’aggressore Putin? Non concordiamo sul fatto che il nemico sono i barbari orientali, che la NATO è un presidio di libertà e che Israele va difeso, costi quel che costi? Non abbiamo gioito insieme per la liberazione di quei quattro ostaggi, scrollando le spalle di fronte alle duecento vittime collaterali palestinesi? Noi stiamo dalla stessa parte, amico democratico: è questo ciò che conta, tutto il resto è folklore.
Ecco: se il post-missino medio muovesse oggidì una siffatta obiezione a chi, da alfiere del mainstream neoliberale, ostenta raccapriccio per certi riti e atteggiamenti, dovremmo a malincuore riconoscere che il ragionamento non fa una piega: oggetto di quotidiane reprimende retoriche, che sono a loro volta folklore, il fascismo lato sensu inteso risulta ormai nei fatti sdoganato da un sistema che tutt’al più gli chiede un minimo di compostezza e buone maniere in società.
Carlo Di Mascio: Attualità di Evald Ilyenkov
Attualità di Evald Ilyenkov
di Carlo Di Mascio
Tratto da Carlo Di Mascio, Ilyenkov e la filosofia marxista-leninista. Introduzione a Dialettica leninista e metafisica del positivismo di Evald Ilyenkov, Phasar Edizioni, Firenze, 2024, pp. 176.
I.
Tuttavia – ci dicono i nostri avversari – anche l’opera di Lenin è invecchiata. Oggi la scienza ha raggiunto nuove vette e non è più possibile impostare i problemi alla maniera di Lenin. No, affatto,«la questione resta ancora valida proprio come Lenin la pose nel 1908» [Evald Ilyenkov, Dialettica leninista e metafisica del positivismo. Riflessioni sul libro di Lenin ‘Materialismo ed empiriocriticismo’].
Ilyenkov è morto suicida nel 1979, circa dodici anni prima della dissoluzione dell’URSS, una dissoluzione che in realtà aveva già in gran parte anticipato con tutta la sua variegata produzione filosofica. I vertici accademici e istituzionali, intenti a vigilare dogmaticamente sull’ideologia ufficiale, accolsero con singolare ostilità la sua concezione marxista-leninista. Ilyenkov rappresentava difatti un avversario molto pericoloso, perché, diversamente da quanto inizialmente ritenuto dall’intellighenzia occidentale, egli in realtà non mirava affatto a ridimensionare il marxismo-leninismo, bensì a riattivarlo criticamente, mostrando proprio come il «marxismo ufficiale sovietico» si fosse invece incredibilmente allontanato dall’autentica eredità di Marx, Engels e Lenin, mediata peraltro anche da una accurata lettura hegeliana.
Ora, questo allontanamento per Ilyenkov era innanzitutto da ascrivere all’abbandono di fatto del materialismo dialettico, quale «portato naturale e necessario di tutto il più recente sviluppo della filosofia e della scienza sociale»1 – vale a dire di quel metodo scientifico che non solo tende a considerare una società, storicamente determinata, come un organismo vivente e non come un semplice ingranaggio da gestire meccanicisticamente dall’alto, ma soprattutto che si oppone a qualsivoglia forma di idealismo soggettivistico, essendo, come ancora sottolineava Lenin, «un processo di storia naturale retto da leggi che non solo non dipendono dalla volontà, dalla coscienza e dalle intenzioni degli uomini, ma che, anzi, determinano la loro volontà, la loro coscienza e le loro intenzioni»2.
Ascanio Celestini: L’Italia s’è destra…., destrissima, anzi fascista
L’Italia s’è destra…., destrissima, anzi fascista
Alba Vastano intervista Ascanio Celestini, artista antifascista
“… la celebrazione che di più si presenta come identitaria (parola che piace tanto ai fascisti in democrazia) per l’estrema destra è il giorno del ricordo istituito con una legge del 2003 quando è presidente del Consiglio proprio Silvio Berlusconi, quello che dichiarava di aver costituzionalizzato i fascisti. Primi firmatari sono due cresciuti nel partito di Almirante, cioè Roberto Menia e Ignazio La Russa. Quest’ultimo protagonista della politica di estrema destra da molti anni anche per le sue dichiarazioni contro l’azione partigiana di via Rasella e per la bizzarra collezione di cimeli fascisti.” (Ascanio Celestini)
“Se non si può parlare di “ritorno del fascismo”, è solo perché dall’Italia il fascismo non se n’è mai andato, ma ha continuato a scorrere sotterraneo, come un fiume carsico, riemergendo di tanto in tanto. Le sue riemersioni, da una trentina d’anni a questa parte, sono diventate sempre più frequenti, e il revisionismo storico, nella sua forma estrema, il rovescismo, ha svolto un ruolo determinante”. (Angelo D’Orsi, storico, saggista, studioso del pensiero gramsciano).
E’ evidente che la subcultura di estrema destra è dominante nel nostro Paese e non solo perché oggi vige un governo marcatamente di matrice fascista, ma perché quel modo di vedere la società e la teoria del capo che tutto può e a cui tutti devono essere subalterni prevale da sempre nella storia del nostro Paese. C’è l’uomo solo al comando dalla notte dei tempi a oggi: il principe, il re, il papa, il dittatore. E poi ci sono i sudditi, il popolo ‘bue’, quella porzione di maggioranza del popolo che necessità di essere comandata, sottomessa, svilita per sentirsi protetta.
Necessita di non pensare se non con un pensiero omologato, unico. Una sorta di sindrome psicotica e masochista.
Andrea Zhok: Spigolature
Spigolature
di Andrea Zhok
Oggi, sfogliando un po’ di siti di informazione online sono incappato in due notizie, nessuna delle due del tutto nuova.
La prima è la notizia della cessione del governo italiano delle infrastrutture di telecomunicazione nazionali, prima TIM, al KKR Global Institute, fondo americano presieduto dall’ex generale David H. Petraeus, ex direttore della CIA.
Niente di anomalo, niente che non rientri nella fisiologia di questo paese.
Il governo “sovranista”, quello che si imporpora d’orgoglio nazionale quando deve fare gli spottoni pre-elettorali, cede serenamente e sistematicamente ogni residuo di autonomia al capobastone americano.
Per l’occasione, allarmi antifascisti non pervenuti.
I nostri sovranisti à la carte del “fascismo” hanno recepito più o meno solo il principio di cieca obbedienza gerarchica e un po’ di darwinismo sociale.
La cieca obbedienza al capobranco oggi si esercita in direzione di un padrone con passaporto americano e il darwinismo sociale si traduce in mercatismo (il mercato ha sempre ragione, il mercato è efficiente, il mercato è buono, in particolare se a comprare è un padrone a stelle e strisce.)
Raffaele D’Agata: Il Fronte, il popolo, l’offensiva
Il Fronte, il popolo, l’offensiva
di Raffaele D’Agata
In due successivi articoli pubblicati la settimana scorsa su “Analyse Opinion Critique” e ripubblicati in italiano dal “Manifesto”, Etienne Balibar indica come necessario rendere l’alleanza rapidamente formata in Francia con il nome di Nuovo Fronte Popolare, per tentare di arginare la marea di estrema destra, veramente degna di un tale nome.
Precisamente, cioè, essa dovrebbe somigliare (egli argomenta) davvero al Fronte Popolare del 1936, e dovrebbe invece differire radicalmente da forme di “unità della sinistra” di cui Balibar indica l’esempio specialmente in quella che favorì e seguì la presidenza di François Mitterrand negli anni Ottanta del secolo scorso.
Per quanto riguarda strettamente la Francia, ciò vale tanto se in un certo senso il Fronte “vincerà” nell’imminente secondo turno delle elezioni legislative, quanto nella resistenza a questa o quella combinazione aperta, in stile meloniano, di neofascismo e neoliberalismo, che ne dovesse uscire.
In sé, questa è sicuramente una buona idea, specialmente pensando all’impeto iniziale del Fronte popolare storico, e tralasciando le sue successive traversie, dovute a gravi dissensi su questioni di politica internazionale. E la difficoltà, oggi, sta appunto nel fatto che dissensi su questo terreno, per quanto verbalmente ammorbiditi nel testo dell’accordo, sono presenti proprio all’inizio.
comidad: Per l’establishment l’antisemitismo è il nemico ideale
Per l’establishment l’antisemitismo è il nemico ideale
di comidad
Non c’è nulla di strano nel fatto che oggi la gran parte della gioventù preferisca radicalizzarsi politicamente a destra invece che a sinistra. L’essere di destra consente infatti di recitare tutte le parti in commedia, di dichiararsi anti-establishment e di agire a difesa dell’establishment, di dire tutto e il suo contrario. In questa ebbrezza di libertà illimitata, le destre si sono messe a cavalcare anche il politicamente corretto e a processare Ilaria Salis dall’alto del pulpito della moralità e della legalità. Ma, come si è visto già in Ungheria, alla destra il prendersela con la Salis non porta fortuna, poiché, a furia di atteggiarti a campione del politicamente corretto, poi rischi di ritrovarti in casa gli esattori del politicamente corretto, cioè gli infiltrati di Fanpage, che si precipitano a scoprire l’acqua calda, cioè che sei fascio-nostalgico e antisemita. Comunque niente di grave.
La sinistra infatti se la passa molto peggio, poiché gli esattori del politicamente corretto vi si infiltrano senza alcun bisogno di avere mandanti; sono infiltrati autoprodotti e autogestiti, agenti di una colonizzazione ideologica che si investono da soli della missione di scrutarti per capire se, sotto sotto, sei un cospirazionista, o un rossobrunista, o un dogmatico, o un sessista, o uno specista, o, meglio ancora, un antisemita. In questi mesi le destre si sono schierate senza esitazioni con Israele e si sono messe a caccia di antisemiti nella sinistra; cosa che ha consentito a Fanpage di rilevare la presunta contraddizione tra i proclami sionisti di Fratelli d’Italia e l’acrimonia antiebraica dei suoi militanti.
Paolo Ferrero: Crisi dell’industria tedesca, la conclusione per me è una: sono gli Usa a fare la guerra all’Europa
Crisi dell’industria tedesca, la conclusione per me è una: sono gli Usa a fare la guerra all’Europa
di Paolo Ferrero
I dati usciti in questi giorni ci dicono che la produzione industriale tedesca, con i dati del maggio 2024, è diminuita del 2,5% su base mensile e ben del 6,7% su base annua… Si tratta di un crollo assai pesante e non previsto che si colloca in un contesto in cui l’economia tedesca ha chiuso il 2023 in recessione e il 2024 pare seguire lo stesso destino. Ci troviamo quindi in una situazione di crisi dell’apparato produttivo tedesco, una crisi destinata a essere seguita dall’Italia che dell’apparato industriale tedesco è un subfornitore. Che cosa sta succedendo?
La mia opinione è che questa situazione è il frutto diretto delle scelte di guerra assunte in questi due anni dall’Unione Europea. Proviamo a vedere nel merito.
La guerra è stata in una prima fase, per parte occidentale, finanziata soprattutto dagli Usa e nell’ambito della guerra l’Occidente ha deciso varie sanzioni nei confronti della Russia, sanzioni prontamente adottate e implementate dall’Unione Europea. Parimenti l’Ue ha deciso che da oggi 5 luglio verranno applicati maggiori dazi sulle auto elettriche cinesi (fino al 48% di dazi in totale) e negli Usa vi è un dibattito per arrivare al 100% di dazi su una serie di prodotti cinesi.
Roberto Iannuzzi: Assange, un viaggio nel Pacifico, e le maschere dell’Occidente
Assange, un viaggio nel Pacifico, e le maschere dell’Occidente
di Roberto Iannuzzi
Washington e i suoi alleati europei continuano a minare quella patina di democrazia e promozione dei diritti umani che Assange ha il merito di aver smascherato con il suo lavoro di giornalista
Dopo una battaglia durata 14 anni, 5 dei quali trascorsi a Belmarsh, famigerato carcere di massima sicurezza alla periferia di Londra, il fondatore di Wikileaks Julian Assange ha dunque inaspettatamente ottenuto la libertà.
Il giornalista australiano rischiava 175 anni di carcere per ben 18 capi d’accusa presentati dall’amministrazione Trump, poi presi in carico dal successore Biden.
Per 5 anni, il Dipartimento di Giustizia americano aveva ignorato gli appelli di tutto il mondo a far cadere le accuse dell’Espionage Act rivolte contro Assange.
Un patteggiamento improvviso
Tutto è cambiato a maggio, dopo che l’Alta Corte di Giustizia britannica aveva concesso al fondatore di Wikileaks un’udienza di appello sulla richiesta di estradizione negli Stati Uniti.
L’Alta Corte aveva ritenuto che il governo statunitense non avesse fornito garanzie soddisfacenti sul fatto che Assange potesse contare su una difesa in base al Primo Emendamento, se fosse stato estradato e processato negli USA.
Il Dipartimento di Giustizia, forse temendo di perdere la causa, si è affrettato a giungere a un patteggiamento con il team legale di Assange.
I procuratori statunitensi hanno accettato una dichiarazione di colpevolezza per una singola accusa di cospirazione ai sensi della legge sullo spionaggio, senza ulteriori pene detentive rispetto al periodo da lui già scontato in prigione.
Andrea Pannone: Una teoria da ripensare?
Una teoria da ripensare?
Sul rapporto tra ricchezza finanziaria e ricchezza reale nell’epoca della speculazione
di Andrea Pannone
Ricchezza reale e ricchezza finanziaria nelle teorie economiche
La distinzione tra ricchezza reale e diritti finanziari sulla ricchezza reale (ricchezza finanziaria) è una premessa fondamentale dell’economia politica, riconosciuta sia dalle scuole di pensiero neoclassiche che da quelle di ispirazione marxista. Nonostante la radicale differenza con cui i due approcci teorici vedono la relazione tra le due forme di ricchezza nell’economia[1], entrambi sono accomunati dal riconoscimento del fatto che i diritti finanziari dipendono dalla ricchezza reale sottostante, poiché rappresentano pretese legali su beni e servizi tangibili o sui flussi di reddito generati da essi. Questa relazione di dipendenza, però, diventa molto meno chiara in contesti di inflazione finanziaria – ossia di crescita continua dei prezzi degli asset finanziari (titoli, azioni, ecc.) – e speculazione eccessiva, allorché le due forme di ricchezza mostrano andamenti progressivamente divergenti a partire dagli anni ʼ90[2]. Questo impedisce a entrambe le scuole di pensiero di spiegare adeguatamente le cause e le implicazioni del processo di finanziarizzazione dell’economia che ha luogo nel XXI secolo e che ha portato quella divergenza a livelli parossistici, accrescendo enormemente le diseguaglianze distributive (vedi Piketty 2014)[3]. Osserviamo infatti che i guadagni derivabili da questi asset non hanno propriamente la natura di redditi, almeno non come il concetto di reddito è sempre stato considerato nella letteratura economica ossia la controparte esatte del valore dei flussi di produzione. Per questo motivo la loro consistente e non temporanea espansione, che implica un trasferimento puro di moneta dai redditi dei fattori produttivi alle rendite, non sembra immediatamente riconducibile né al concetto di legittima ricompensa della produttività dei fattori di produzione – come vorrebbe la scuola neoclassica – ma nemmeno al concetto di sfruttamento dei lavoratori e al conflitto capitale/lavoro – come vorrebbero le più classiche scuole di ispirazione marxista[4].
Gianandrea Gaiani: Orban va da Zelensky e Putin per presentare il piano di pace di Trump
Orban va da Zelensky e Putin per presentare il piano di pace di Trump
di Gianandrea Gaiani
Per i vertici della UE l’iniziativa di Viktor Orban di recarsi a Mosca a incontrare Vladimir Putin è uno strappo, una provocazione che mette in imbarazzo l’Unione nel momento in cui l’Ungheria ne ha assunto la presidenza semestrale.
La visita di Orban a Mosca, trapelata ieri sui media e confermata oggi dall’arrivo del premier magiaro nella capitale russa, incassa dure critiche in Europa. Per Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, “la presidenza di turno dell’Ue non ha il mandato di impegnarsi con la Russia per conto dell’Ue. Il Consiglio europeo è chiaro: la Russia è l’aggressore, l’Ucraina è la vittima. Nessuna discussione sull’Ucraina può aver luogo senza l’Ucraina”.
L’affermazione di Michel è curiosa (poche settimane or sono si è tenuta in Svizzera una conferenza di pace internazionale, conclusasi con un flop totale, in cui si discusse di pace nel conflitto ucraino senza la Russia) ma non tiene neppure conto che Orban si è recato, sempre a sorpresa, a Kiev il 2 luglio incontrando il presidente Volodymyr Zelensky.
Elena Basile: Se avanzano i neofascismi l’Europa si chieda perché
Se avanzano i neofascismi l’Europa si chieda perché
di Elena Basile
La Francia profonda, la Francia provinciale e piccolo borghese, la Francia razzista dei No-where insorge e conquista il primo posto. L’ascesa dei cosiddetti populismi di destra non è una novità. È una tendenza consolidata delle democrazie affluenti. In Scandinavia, Germania, Olanda, ma anche nei Paesi mediterranei, dal fenomeno Meloni ad Alba Dorata in Grecia a Vox in Spagna, si assiste alla ribalta di movimenti che ripropongono miti razzisti, il valore particolaristico contro l’umanesimo universalista.
I partiti della destra radicale tuttavia danno rappresentanza ai ceti penalizzati dalla globalizzazione, alle classi svantaggiate e ineducate, quelle che non prendono l’aereo per essere every-where , appunto i “no where“.
Gli emarginati che un tempo votavano a sinistra insieme a una classe ormai scomparsa, il proletariato, come è scomparsa la manifattura, ora votano per un nuovo fascismo. Il blocco sociale della sinistra è scomparso. Prevale nella società del terziario il lavoro precario e dequalificato, cangiante anche geograficamente nella società globale e incline a votare contro contro l’Europa neoliberista e illiberale – rispolverando antichi miti antisemiti.
Gaetano Colonna: Si aggrava il confronto nucleare Est-Ovest
Si aggrava il confronto nucleare Est-Ovest
di Gaetano Colonna
Il 28 giugno scorso, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha ordinato la produzione e il dispiegamento di missili a corto e medio raggio con capacità nucleare, facendo seguito al ritiro americano dal trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF), avvenuto il 2 agosto 2019, dopo una sospensione della partecipazione Usa all’INF decisa il 1° febbraio dello stesso anno.
Putin ha partecipato a una riunione del Consiglio di sicurezza russo in cui ha affermato che la Russia aveva promesso di sostenere le disposizioni dell’INF, che vietano appunto la produzione e/o lo schieramento di missili terrestri a raggio intermedio, fino a quando gli Stati Uniti non avessero violato tali disposizioni.
Ora, a suo avviso, la Russia si vede obbligata a produrre e schierare tali sistemi a seguito di due esercitazioni militari bilaterali statunitensi avvenute nel corso del 2024: la prima, con le Filippine, a Luzon settentrionale, l’11 aprile scorso; la seconda, con la Danimarca, presso l’isola di Bornholm, dal 3 al 5 maggio.
Carlos X. Blanco: La guerra di Putin
La guerra di Putin
di Carlos X. Blanco
Recensione di: La guerra di Putin. La construcción mediática del relato otanista, di Manuel Rodríguez Illana. El Viejo Topo, Barcellona, 2024
Da tempo ormai la guerra non si combatte solo sul campo di battaglia, ma anche nelle menti. Non scopriamo nulla di nuovo se diciamo che è necessario vincere non solo con i fatti, ma anche con la storia. Di ogni guerra passata c’è una storia o, come la chiamiamo oggi, una “narrazione”, che è quella del vincitore. I vinti possono solo alimentare il risentimento per future ostilità di vendetta o, come nel caso della Spagna, comprare anche la narrazione dalla potenza vincitrice, venendo così sconfitti due volte: sul fronte e sul fronte. Sulla fronte il vinto porta poi il segno del colonizzato. Non solo si è arreso con le armi, ma ha anche accettato la narrazione e si è arreso masochisticamente alla schiavitù più opprimente.
In Spagna, quella Spagna in cui il popolo fino al 1898 mandava i propri figli a morire, nei “tritacarne” d’oltreoceano dell’epoca, abbiamo completamente dimenticato cosa sono gli Stati Uniti, qual è la loro vera natura e il loro inesorabile atteggiamento verso chi non si piega.