Rassegna 13/07/2024
Fosco Giannini: La crisi sistemica dell’Ue e la necessità della rivoluzione
La crisi sistemica dell’Ue e la necessità della rivoluzione
di Fosco Giannini
La verità è quella che appare? Si può essere rivoluzionari senza la teoria e la pratica della “preveggenza”? I comunisti debbono essere rivoluzionari e lavorare per la rivoluzione? Tre domande preliminari per un più vasto dibattito.
Tre domande preliminari: la verità è quella che appare? Si può essere rivoluzionari senza la teoria e la pratica della “preveggenza” e, cioè, senza “navigare” nei flussi carsici delle fasi storiche in cui i comunisti lottano? I comunisti debbono pensare alla rivoluzione e per essa attrezzarsi?
Sono tre domande, con le conseguenti risposte, attorno alle quali intenderemmo organizzare una prima riflessione volta esplicitamente all’apertura di una più vasta discussione sullo “stato delle cose” nell’area dell’Ue e sulla verosimiglianza o meno, in questa stessa area, di condizioni in divenire potenzialmente rivoluzionarie.
Che la verità non sia quella epidermica, quella che appare, è una costatazione ovvia e persino stucchevole, nella sua ovvietà. Ma è ovvia e stucchevole solo se la si formula da una postazione di razionalità. Poiché se formulata da una postazione di “superstizione” (che è quella della stragrande maggioranza, del senso comune di massa, “superstizione”, tanto per acuminare la precisione, che può avere come sinonimo la credenza popolare vana) la verità torna a essere esattamente quella fenomenica interpretata dai sensi e non quella profonda indagata dalla scienza e auscultata dagli esploratori dei moti carsici: i rivoluzionari, in questo senso “preveggenti”. Come il Lenin de «Lo sviluppo del capitalismo in Russia», una delle sue prime opere, iniziata nel 1896 nel carcere di Pietroburgo e terminata, in cattività, in Siberia, nel villaggio di Sciuscenkoie, un’opera che attraverso l’analisi della realtà prepotentemente in divenire, ma non percettibile dagli “avatar” della “superstizione”, evoca i moti carsici sui quali fondare, dando a esso plausibilità, il processo di violenta trasformazione sociale e ideologica che avrebbe portato, solo 21 anni dopo, all’assalto al cielo, all’Ottobre rivoluzionario.
Paolo Missiroli: “Capitale, egemonia, sistema. Studio su Giovanni Arrighi” di Giulio Azzolini
“Capitale, egemonia, sistema. Studio su Giovanni Arrighi” di Giulio Azzolini
di Paolo Missiroli
Recensione a: Giulio Azzolini, Capitale, egemonia, sistema. Studio su Giovanni Arrighi, Quodlibet, Macerata 2018, pp. 176, euro 18 (scheda libro)
Giovanni Arrighi non è un pensatore sufficientemente valorizzato nel panorama italiano e sono pochi i luoghi che dedicano un qualche spazio a riflessioni su questo storico ed economista. Eppure Arrighi è importante nel dibattito internazionale a proposito del capitalismo e della sua storia; esempio ne sia il suo ruolo nella discussione seguita alla pubblicazione di Impero di Toni Negri e Michael Hardt. Dai post-operaisti Arrighi era considerato, pur nel forte disaccordo, un interlocutore di prim’ordine.
Per questo la pubblicazione di una monografia su Arrighi è una buona notizia. Capitale, egemonia, sistema di Giulio Azzolini, oltre a essere una novità per il solo fatto di trattare di Arrighi, ha il pregio di affrontare la sua opera dall’inizio alla fine, cogliendone i punti salienti in un numero di pagine ammirevolmente ridotto; pone con chiarezza gli elementi di contatto con altri autori, scuole e correnti di pensiero; colloca Arrighi nel suo tempo storico e anche nella sua dimensione di militante politico all’altezza degli anni Settanta. Fare una recensione di un testo simile significa quindi porsi, non senza un qualche grado di arbitrarietà, l’obbiettivo di riportare alcuni fra questi tanti elementi. L’arbitrio sta, appunto, nel fatto che non tutti potranno essere qui trattati. Il testo che discutiamo, peraltro, si presta con facilità, data anche la buona scorrevolezza che lo contraddistingue, a essere sfogliato e letto da chiunque lo voglia. Non ci concentreremo eccessivamente sugli esiti più noti del pensiero dell’Arrighi maturo, che sono già stati trattati, su Pandora, in recensioni apposite. Qui è possibile trovare la recensione a Il lungo XX secolo e qui e qui quelle ad Adam Smith a Pechino.
Può facilitarci il compito il fatto che in effetti si potrebbe dire che il senso della riflessione arrighiana è quello di dare ragione della crisi all’interno del sistema capitalistico.
Piccole Note: La strage di Kiev, il vertice Nato e il viaggio di Modi
La strage di Kiev, il vertice Nato e il viaggio di Modi
di Piccole Note
Alla vigilia del vertice NATO Il premier indiano va dall’amico Putin ma il missile “conteso”, che colpisce l’ospedale di Kiev, oscura la notizia.
Le notizie di un bombardamento sull’Ucraina, 19 i morti e oltre 80 i feriti (bilancio provvisorio), ha fatto il giro del mondo, soprattutto per il missile caduto sull’ospedale pediatrico, notizia alla quale si è dato più spazio che non a tutti gli ospedali di Gaza bombardati messi assieme. La strage è stata attribuita ai russi, i quali a loro volta hanno dichiarato che non bombardano obiettivi civili e che quanto avvenuto si deve ai sistemi di intercettazione ucraini.
A confermare la versione russa potrebbe essere quanto si è registrato in oltre due anni di guerra, nei quali i target degli loro ordigni sono stati di natura militare o infrastrutturale. Quanto agli ucraini, la loro propensione ad attribuire ai russi più del dovuto è notoria, dal missile “russo” caduto in Polonia che poi si è scoperto essere ucraino, all’abbattimento dell’Il 76 che trasportava prigionieri ucraini, attribuito mendacemente alla contraerea di Mosca, a tanto altro.
Sergio Cararo: La paura della destra può produrre altri mostri
La paura della destra può produrre altri mostri
di Sergio Cararo
Si è votato in Europa ma sotto sotto tutti sono consapevoli che le elezioni che contano saranno quelle di novembre negli Stati Uniti. Le imprevedibili variabili che arriveranno da oltre oceano condizioneranno pesantemente gli assetti e i posizionamenti delle classi dirigenti europee già da tempo alle prese con seri problemi di “governabilità”.
I risultati delle elezioni europee prima e di quelle francesi poi, hanno perimetrato gli allarmi – spesso più che strumentali – di una valanga della destra sugli equilibri politici in Europa.
Sullo sfondo di una guerra dentro l’Europa e contro la Russia che le attuali classi dirigenti intendono continuare ad alimentare, le rendite di posizione delle rappresentanze politiche tradizionali del bipolarismo (conservatori e socialdemocratici, entrambi allineati al liberismo) hanno subìto forti sollecitazioni ma hanno – per ora – sostanzialmente tenuto. Il risultato delle elezioni francesi e quelli delle europee ci dicono sostanzialmente questo.
Dopo aver portato l’intera politica economica e internazionale a destra, aumentando enormemente le disuguaglianze sociali e le ambizioni guerrafondaie, le classi dirigenti bipartisan europee hanno scoperto che qualcuno poteva attuare una politica di destra attingendo all’originale invece che alla sua mutuazione liberale.
Fulvio Grimaldi: 11 settembre 2001, 7 ottobre 2023
11 settembre 2001, 7 ottobre 2023
Quando il crimine organizzato si rilascia il nulla osta
di Fulvio Grimaldi
Video di Leonardo Rosi: “Fulvio Grimaldi sul 7 ottobre di Hamas”
https://www.youtube.com/watch?v=9_0ROY_Hx1k&t=2s
https://www.youtube.com/watch?v=9_0ROY_Hx1k
Mancava solo l’ennesima inchiesta del più autorevole giornale israeliano, Haaretz, i cui coraggiosi cronisti e analisti, capeggiati da un ormai mitico Gideon Levy, hanno saputo sottrarsi alla sequenza di avvertimenti, intimidazioni e minacce di cui sono fatti oggetto dal regime fascistoide di Netaniahu. Si tratta della conferma di una misura adottata dall’esercito israeliano, già denunciata da suoi stessi ufficiali: l’applicazione, a reazione dell’attacco di Hamas il 7 ottobre, della Dottrina Hannibal. Ma prima una premessa.
Non sono certo il primo che, in questo video girato da Leonardo Rosi, avvicina gli eventi dell’11 settembre, attentato attribuito ad Al Qaida, e i loro effetti, a quelli del 7 ottobre nella Palestina occupata, attribuiti a Hamas. Ciò che ha indotto diversi osservatori, non condizionati da prebende o timori, a compiere questo parallelo sono alcuni dati ineludibili: la contraddittorietà tra fatti e narrazione, l’utilizzo dell’accadimento a evidentissimo vantaggio della parte che si presenta come vittima, testimonianze e prove a demolizione della vulgata ufficiale e, last but not least, una successione storica di atti di provocazione che sono serviti solo a consentire abusi e aggressioni a chi se ne diceva vittima.
Pierluigi Fagan: Sistemi fragili perturbati
Sistemi fragili perturbati
di Pierluigi Fagan
L’indomani delle elezioni europee dello scorso 6-9 giugno, mi sono ritrovato da solo a sentire il segnale di un possibile cataclisma. Molti amici pensavano non fosse successo nulla di rilevante, l’ordine morbido della consuetudine liberale avrebbe presto digerito quel piccolo sussulto, tutto sarebbe andato come sempre va. Tuttavia, a me sembrava che a molti mancasse forse una conoscenza un po’ più completa della fase storica e del soggetto prevalente ovvero Europa.
Europa, lo sappiamo, è un progetto astorico, una sorta di ennesima ibernazione delle linee profonde della storia europea, congelate nella dimensione di un mercato in comune, con una moneta in comune. Una tipica oasi liberale.
Ma da qualche anno, il mondo non è più avviato a diventare solo un unico mercato globalizzato, anzi sembra retrocedere da questa linea almeno nei desideri americani, di minoranza certo, ma che pur valgono ancora molto. Quello che invece s’è ripresentato è uno scenario profondamente storico con tanto di eserciti, guerre, morti, strategie. Scenario e gioco a cui Europa non può giocare per difetto strutturale.
A questo primo punto di crisi s’è aggiunta la disgrazia ucraina. Europa s’è dovuta inventare improvvisamente produttore e fornitore d’armi, senza aver alcun know how né dell’uno, né dell’altro.
Redazione: “L’ultima guerra contro l’Europa”
“L’ultima guerra contro l’Europa”
di Redazione
Gianandrea Gaiani: L’Ultima guerra contro l’Europa. Come e perché fra Russia, Ucraina e NATO le vittime designate siamo noi, Il Cerchio ed., Febbraio 2023
La guerra in Ucraina sta modificando radicalmente gli assetti e gli equilibri del Vecchio Continente. L’Ucraina è devastata dal conflitto e comunque vada sul campo di battaglia la Russia ne uscirà indebolita mentre l’Europa perderà il suo primato economico e ha cessato di esistere come soggetto geopolitico con aspirazioni di autonomia strategica, relegata al ruolo di vassallo sempre più debole degli Stati Uniti.
In attesa di sviluppi militari o diplomatici che definiscano il possibile esito del conflitto tra russi e ucraini, è già possibile valutare chi siano gli sconfitti e i vincitori nella guerra iniziata nel 2014 ma allargatasi a uno scontro convenzionale su vasta scala a partire dal 24 febbraio 2022.
Comunque vada a finire sui campi di battaglia tra gli sconfitti vi sarà l’Ucraina che uscirà in ogni caso devastata in termini economici, occupazionali, di distruzioni belliche, di impatto sociale dei tanti morti e feriti e forse anche di perdite territoriali.
Alessandro Volpe: Sul ritorno alle “crisi” nella teoria critica contemporanea
Sul ritorno alle “crisi” nella teoria critica contemporanea
di Alessandro Volpe
1. Un ritorno alle crisi?
Nell’ambito della critica sociale, il concetto di “crisi” è per certi aspetti originario. L’intera ricerca sociale delle prime generazioni della Scuola di Francoforte può essere ricondotta a una vera e propria “teorizzazione della crisi europea”[1]. Le indagini anche empiriche della prima fase della teoria critica della società erano incentrate sulle forme di crisi che investivano le società dell’epoca: dagli studi sull’autorità e la famiglia, sino a quelli sulla personalità autoritaria e sull’antisemitismo. I frammenti filosofici che compongono Dialektik der Aufklärung (1947) possono essere considerati nel loro insieme un grande manifesto della crisi della ragione occidentale, concepito per spiegare l’avvento dell’autoritarismo in virtù delle stesse premesse della modernità illuministica. Si può dire, tuttavia, che quella radicalmente messa in stato d’accusa da Adorno e Horkheimer era una “meta-crisi”, incentrata su una critica più o meno totalizzante della ragione strumentale.
Dal punto di vista del loro allievo e prosecutore Jürgen Habermas, l’accusa nei confronti della ragione occidentale operata dai suoi maestri aveva tuttavia il limite di far implodere la critica stessa nella crisi, perché incapace di individuare una razionalità pratica alternativa a quella strumentale. [2] A riabilitare il nesso tra crisi e critica fu d’altra parte lo stesso Habermas – in uno scenario radicalmente mutato – nello studio intintolato Legitimationsprobleme im Spätkapitalismus (1973), tradotto in italiano come “La crisi della razionalità nel capitalismo maturo”[3] e in inglese “Legitimation Crisis”. In questo libro, Habermas faceva notare come nel capitalismo regolato dal welfare (tipico della stagione 1945-1975), a differenza del capitalismo liberale classico, le crisi economiche erano assorbite dallo Stato, generando tuttavia a sua volta una crisi politica di legittimazione delle istituzioni, nonché di partecipazione democratica.
Leo Essen: Breve storia (teologica) del lavoro
Breve storia (teologica) del lavoro
di Leo Essen
I
Il tempo, per i cristiani come per gli ebrei, ha un fine, un telos. L’avvenire – la fine – dà un senso a tutta la storia. Per i cristiani questa fine (della storia) è già cominciata. L’avvento di Cristo rappresenta una certezza, la certezza che la fine è già cominciata. Ma deve essere compiuta con il concorso della Chiesa. Il dovere missionario della Chiesa, la predicazione del Vangelo, dà al tempo compreso tra la resurrezione e la parusia il suo significato nella storia della salvezza. Cristo ha apportato la certezza dell’avvento della salvezza, ma resta compito della storia collettiva e della storia individuale compierla. Di qui il fatto, dice Le Goff (Nel medioevo: tempo della Chiesa e tempo del mercante, 1960), che il cristiano deve rinunciare al mondo, che è soltanto la sua dimora transitoria, e in pari tempo optare per esso, accettarlo e trasformarlo perché è il cantiere della storia presente della salvezza.
È l’esperienza del mondo come redenzione, come ritorno all’unità con Dio, via verso la pienezza, via della verità – Hegel. È l’esperienza del mondo come dislocazione o delocalizzazione, cacciata dal paradiso, scissione, differenza. Il corpo che diventa lo scrigno o l’arca di questo fine, di questo ritorno, di questo recupero di una condizione perduta, passata e che ci attende nel futuro, quando il percorso sarà compiuto e il corpo abbandonato, non prima di avere recuperato dall’esperienza il senso e la direzione della salvazione, il biglietto di ingresso.
II
Salvatore Bravo: Microfisica del capitale
Microfisica del capitale
di Salvatore Bravo
Macchine desideranti
Il capitale si svela nei dettagli della vita quotidiana. Non è solo profitto, ma produce un modo di vivere, si tratta di una pianificazione del quotidiano con valenze politiche ed economiche. La solitudine dell’individualismo è il sostegno più solido all’economia di profitto. Uomini e donne soli consumano non solo per consolarsi, ma anche per “sentire di esserci nella lotta quotidiana” tra le solitudini, e specialmente, le scelte improntate alla “singolarità radicale” sono valutate “libertà irrinunciabili”. Tutto è nel segno della individualità. Il modo di produzione capitalistico non produce solo sfruttamento e merci, quindi, è una visione del mondo tentacolare che penetra nelle vite delle soggettività assoggettandole alla forma mentis individualista. Si è addestrati alla singolarità e la si gratifica con l’ipertrofia dei desideri che coltivano un senso infantile di onnipotenza.
L’in-dividuum è il risultato finale della penetrazione lenta e inesorabile del nichilismo passivo fondamento del capitalismo. Tutti i desideri sono leciti, purché producano effetti economici. Il PIL è il silenzioso imperatore di ogni vita.
Non si nasce individui, lo si diventa mediante un processo di desocializzazione. Si nasce comunitari, il capitale ci trasforma in atomi vaganti-migranti. Si migra da un’area geografica a un’altra come da un desiderio al successivo. Il capitale separa, per cui l’individuo è ciò che resta dopo un lungo percorso di disintegrazione delle unità: popoli e comunità evaporano dinanzi alla forza distruttrice del liberismo individualista.
Comitato No Camp Derby: Il territorio pisano e livornese è zona di guerra
Il territorio pisano e livornese è zona di guerra
a cura di Comitato No Camp Derby
Dall’allerta Charlie a Camp Darby alla militarizzazione del territorio pisano fino alla nuova Base del Tuscania
Siamo in guerra anche senza saperlo, senza avere preso pienamente coscienza della situazione.
E basterebbe guardare alle decisioni del Pentagono in Europa, all’annuncio di un’allerta, nome in codice Charlie, per tutte le basi Usa e Nato in Italia annunciando il pericolo di imminenti attacchi terroristici. E questa allerta, la seconda in ordine di importanza, riguarda le basi sul nostro territorio ma anche di altri paesi europei, è facile immaginare, nel nome della sicurezza nazionale e internazionale, decisioni tali da mettere in discussione la cosiddetta sovranità nazionale. La guerra ci riguarda direttamente perché l’Italia ha continuato a inviare armi a Israele anche all’indomani del 7 ottobre, quando era del tutto evidente il genocidio del popolo palestinese.
Di questi argomenti il movimento contro la guerra non parla, eppure dovrebbe riguardarci da vicino; non basta chiedere la fine di ogni rapporto con le università israeliane, la militarizzazione delle scuole e delle università è iniziata da anni, numerose fondazioni e aziende di armi sono guidate da esponenti del centro-sinistra.
Giuseppe Masala: La decisione della NATO che rende inutili le elezioni in Francia, Regno Unito e Iran
La decisione della NATO che rende inutili le elezioni in Francia, Regno Unito e Iran
di Giuseppe Masala
In questo inizio estate certamente tutti attendono il risultato elettorale in Francia, Gran Bretagna e Iran per riuscire a trarre indicazioni sull’evolversi dell’enorme crisi internazionale in corso sia nel teatro europeo che in quello mediorientale. In Gran Bretagna e Iran abbiamo già incamerato un risultato di “cambiamento” con la vittoria del laburista Keir Starmer che scalza i conservatori dopo 14 anni di governo e in Iran abbiamo assistito alla vittoria del candidato cosiddetto riformista Masoud Pezeshkian: peccato si tratterà di un cambiamento che al massimo sarà rivolto verso questioni sociali ed economiche interne e che ben difficilmente invece potrà tradursi in un cambiamento di posizioni in politica estera.
La Gran Bretagna (così come la Francia) è afflitta da un enorme debito estero di circa 1900 miliardi di dollari che la pone su una posizione aggressiva in ossequio a quello che è il “principio di realtà”: bisogna evitare a tutti i costi che possa sorgere un blocco di potere alternativo a quello anglosassone, come quello formato da Cina e Russia, e ancor di più deve essere soffocato qualunque tentativo di creare una nuova moneta di conto internazionale che scalzi il dollaro e più in generale il sistema monetario occidentale (Dollaro + Euro + Sterlina + Yen + Franco Svizzero) e i suoi mercati finanziari di riferimento (tra i quali quello di Londra gioca un ruolo di primissimo piano, secondo solo a Wall Street).
Gioacchino Toni: Decenni smarriti. Gli anni Ottanta
Decenni smarriti. Gli anni Ottanta
di Gioacchino Toni
AA.VV., a cura della redazione di Machina, Nel sottosopra degli anni Ottanta. Le contraddizioni di un decennio, Machina libro – DeriveApprodi, Bologna, 2024, pp. 208, € 16,00
Che nell’ambito della messa in discussione dell’esistente vi siano decenni decisamente più rilevanti di altri è fuori di dubbio. Dell’importanza degli anni Sessanta e Settanta per l’assalto al cielo che hanno prodotto è stato detto e scritto in abbondanza e a volte anche in maniera acritica, autoreferenziale o con uno sguardo a ritroso segnato da omissioni e dimenticanze più o meno di comodo.
Se è vero che le ricostruzioni del passato parlano innanzitutto al/del presente, allora, forse, il limite maggiore, per quanto comprensibile possa essere, deriva da un tipo di sguardo a ritroso che, insieme alla sconfitta, ha introiettato l’idea della fine della storia. Si rischia di guardare ai decenni ribelli come se con la fine di essi fosse scomparsa ogni minima forma di conflittualità. Anche da ciò deriva la tendenza a leggere i decenni successivi in maniera non dissimile da quella propinata dai vincitori: seppure vissuti da una parte come trionfo e dall’altra come sconfitta, i decenni successivi al “lungo Sessantotto” tendono a essere narrati come periodi riappacificati e privi di contraddizioni.
Giorgio Agamben: Il toro di Pasifae e la tecnica
Il toro di Pasifae e la tecnica
di Giorgio Agamben
Nel mito di Pasifae, la donna che si fa costruire da Dedalo una vacca artificiale per potersi accoppiare con un toro, è lecito vedere un paradigma della tecnologia. La tecnica appare in questa prospettiva come il dispositivo attraverso cui l’uomo cerca di raggiungere – o di raggiungere nuovamente – l’animalità. Ma proprio questo è il rischio che l’umanità sta oggi correndo attraverso l’ipertrofia tecnologica. L’intelligenza artificiale, alla quale la tecnica sembra voler affidare il suo esito estremo, cerca di produrre un’intelligenza che, come l’istinto animale, funzioni per così dire da sola, senza l’intervento di un soggetto pensante. Essa è la vacca dedalica attraverso la quale l’intelligenza umana crede di potersi felicemente accoppiare all’istinto del toro, diventando o ridiventando animale. E non sorprende che da questa unione nasca un essere mostruoso, col corpo umano e il capo taurino, il Minotauro, che viene rinchiuso in un labirinto e nutrito di carne umana.
Nella tecnica – questa è la tesi che intendiamo suggerire – in questione è in realtà la relazione fra l’umano e l’animale. L’antropogenesi, il diventar umano del primate homo, non è, infatti, un evento compiuto un volta per tutte in un certo momento della cronologia: è un processo tuttora in corso, in cui l’uomo non cessa di diventare umano e, insieme, di restare animale.