[Rete Ambientalista] Orazio Schillaci e Roberto Speranza due cosiddetti ministri della salute

Rassegna 15/07/2024

C’è chi sbuffa, si lamenta che la mailinglist sovrabbonda di articoli sui Pfas. Sbuffa a torto. 1.000  articoli sul Sito non sono conseguenza di monomania. Né lo sono le già 900 pagine di articoli sul Dossier “Pfas. Basta!” (copertina del grande Quino): la prima è del lontano 1973. Ma quale monomania. Ma quale psicosi vendicativa contro l’azienda (Montedison, Solvay) che per decine di anni ha tentato di licenziarmi. Macchè, fanno semplicemente parte della campagna nazionale per il bando dei Pfas avviata in solitaria nel 2010 quando, per il referendum acqua pubblica, girovagavo l’Italia, quando la nostra mailinglist contava 4.000 e non 40.000 utenti. Una campagna, è pur vero, che oggi, a forza di battere sul chiodo, con la drammatica evidenza della scienza, per effetto moltiplicatore è penetrata finalmente sui media italiani (tra i nostri 2.500 giornalisti molti evidentemente non sbuffano più).  Ma che non è sufficiente, non basta. E’ infatti penetrata minimamente  nella coscienza dei politici – ci leggono abitualmente in 3.000- tant’è che gli amministratori non hanno chiuso le produzioni della Solvay di Spinetta Marengo né i parlamentari hanno varato l’auspicata legge di messa al bando dei Pfas in Italia.  C’è poco da sbuffare, dunque. Anzi. C’è molto da fare, e in fretta.  Ci si rende conto che, anche quando fosse chiusa la produzione e fatta la legge, e senza l’impossibile bonifica di acque suoli e materiali,  i morti si accumulerebbero ancora per decine di anni, come è per l’amianto? Allora sì che diventerà una psicosi, non mia ma collettiva.  

Lino Balza – Movimento di lotta per la salute Maccacaro.


Per queste certezze, il riferimento principale è International Agency for Research on Cancer (WHO IARC) di Lione, agenzia preposta sui tumori dalla Organizzazione Mondiale della Salute (WHO), e si basa sugli studi condotti sull’uomo, sugli animali e su cellule o materiale biologico. 
Lo Iarc considera solo articoli pubblicati nelle riviste scientifiche e non i rapporti o le relazioni dei produttori che chiedono l’autorizzazione all’uso di una nuova sostanza… con meno atomi di carbonio… saturi di fluoro: esempio il C6O4 della Solvay. 
 La procedura Iarc si basa sul metodo scientifico, dunque può essere riferita alla singola molecola, non è generica. Però il giudizio di pericolosità deve intendersi all’intera classe di molecole per-e polifuoroalchiliche (migliaia): solo pochi PFAS sono rilevabili e soprattutto misurabili quantitativamente con le tecniche di chimica analitica a disposizione dei laboratori di analisi e ricerca, e dunque vale il principio di precauzione, nuove molecole non possono essere sperimentate sull’organismo umano in attesa che la cancerogenità sia certificata.
Ovvero misurata a posteriori dagli studi epidemiologici, esempio: un  morto in più ogni tre giorni, 51.621 decessi contro 47.731 attesi, con un eccesso di 3.890 morti, secondo uno studio dell’Università di Padova sulla popolazione dell’area contaminata da Pfas in Veneto, tra il 1985 e il 2018 (province di Vicenza, Verona e Padova).
L’unica certezza è che sono nulle le possibilità di degradare ed eliminare i Pfas, gli stessi  inceneritori ad altissima temperatura rilasciano  le scorie. La soluzione è semplice, la storia dell’amianto ce lo ha già insegnato: l’unica via d’uscita è mettere al bando la produzione industriale dei composti PFAS. 
Per contro, la strategia  di Solvay resta sempre la stessa:  sostituire una molecola rivelatasi -con morti e ammalati-  pericolosa e bandita (Pfoa) con un’altra, simile, che però, in quanto  appartiene alla stessa classe, finirà per mostrare gli stessi danni per la salute. Fermare le produzioni inquinanti di Spinetta Marengo, dunque, è il passaggio fondamentale per la messa la bando dei Pfas in Italia.  
Clicca qui una scheda [fonte: Environmental Protection Agency USA]: dove si trovano i Pfas, quali effetti sulla salute, le popolazioni a rischio.


Compriamo più armi a spese degli italiani a favore dei capitali americani.

Leonardo, la maggiore impresa militare italiana con oltre il 70% del settore, è ormai una multinazionale integrata  e subalterna alle compagnie Usa, piuttosto che europee, dedita all’export (75% dei ricavi), al centro di complessi reticoli azionari. Fa affari d’oro, ma detiene una quota relativamente bassa dell’occupazione manifatturiera italiana.
Con queste caratteristiche di subalternità, l’attuale aumento della spesa per acquisto di armamenti per le nostre Forze armate sarà caratterizzato   – com’è avvenuto per i caccia F35 – da importazioni di prodotti finiti e/o componenti strategici dagli Usa. 
Insomma , alte quotazioni di Borsa e  maggiori dividendi per gli azionisti, fanno delle produzioni militari italiane un “cattivo affare” per l’economia e l’occupazione in Italia. Nel contempo non fanno che alimentare il riarmo e i rischi di estensione dei conflitti. 
Al contrario, lo sviluppo di produzioni civili, con strategie di diversificazione e riconversione, potrebbe consentire una maggior espansione delle capacità tecnologiche e dell’innovazione della nostra industria, con ricadute positive sia in termini di produttività e qualità sull’insieme del sistema economico e manifatturiero, sia con un aumento di investimenti destinati alla messa in sicurezza del territorio e del patrimonio artistico e culturale, al miglioramento del sistema sanitario ed educativo, alla transizione ecologica e digitale.
Clicca qui una analisi completa.

Sosteniamo Narges Mohammadi, Premio Nobel per la pace, detenuta in Iran per la sua lotta nonviolenta in difesa dei diritti umani e per l’abolizione della pena di morte.
Sosteniamo la lotta nonviolenta delle donne in Iran per la dignità umana di tutti gli esseri umani.
Sia liberata Narges Mohammadi e tutte le prigioniere e tutti i prigionieri di coscienza, tutte le detenute e tutti i detenuti politici, tutte le persone innocenti perseguitate e sequestrate, in Iran come ovunque.
Cessi l’oppressione delle donne in Iran come ovunque nel mondo, siano rispettati i diritti umani di tutti gli esseri umani.
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Chiediamo al Parlamento e al governo italiano, al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo e alla Commissione Europea, al Segretario Generale e all’Assemblea Generale dell’Onu, di premere sul governo iraniano affinchè a Narges Mohammadi sia restituita la libertà e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
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Donna, vita, libertà. 

 A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignità e i diritti di tutti gli esseri umani.
A cura del “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo.
Supplemento a “La nonviolenza e’ in cammino” (anno XXV).
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: Centropacevt@gmail.com

E se si creasse anche in Italia un movimento antiabilista? Si potrebbe sintetizzare così la proposta di Marta Migliosi, attivista con disabilità, che avverte «l’esigenza di provare a collegare le singole persone disabili e/o neurodivergenti che fanno attivismo, per cercare di creare anche in Italia un movimento antiabilista, un’iniziativa “dal basso” che si sviluppi in senso orizzontale, per riflettere su come uscire dalla “bolla della disabilità” e incidere sulla società. Qualcosa che ci aiuti a capire come organizzarci e conoscerci, anche come persone singole che portano avanti “un pezzetto”»

Le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario” approvate definitivamente alla Camera trasferiscono anche la competenza sulla tutela degli ecosistemi. La legge prevede che anche per la tutela degli ecosistemi dovranno essere fissati dei Livelli essenziali delle prestazioni. Un meccanismo fatale, denuncia il prof. Paolo Pileri…

Un’insegnante ipovedente prenota per trascorrere una settimana di vacanza a Pugnochiuso, nel Parco Nazionale del Gargano (Foggia), ma l’agenzia di viaggi decide al posto suo che quel viaggio non è adatto a lei, dicendole che «rallenterebbe il gruppo e potrebbero esserci delle lamentele».
E’ importante ricordare che l’Italia ha ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Legge 18/09), nella quale è previsto uno specifico articolo (l’articolo 30) in tema di Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport, ivi inclusi i servizi turistici.

Il ministero della Salute Oronzo Schillaci  ha fissato limiti per la presenza nelle acqua potabili di Pfoa e Pfos senza seguire le raccomandazioni dell’Istituto superiore di sanità ISS.
Già nel 2019, infatti, anni prima che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro IARC dichiarasse nel 2023 cancerogeno il Pfoa e possibile cancerogeno il Pfos, ISS raccomandava a Roberto Speranza l’adozione di parametri più stringenti rispetto a quelli che entreranno in vigore in Italia, solo a partire dal 2026.
Raccomandava  di adottare per queste due molecole “valori specifici più cautelativi” rispetto alla somma degli altri Pfas. Sottolineandone la pericolosità, l’Iss indicava parametri di 0,030 microgrammi (30 nanogrammi) per litro nel caso del Pfoa, l’acido perfluoroottanoico e di 0,065 microgrammi (65 nanogrammi) per litro per il Pfos, l’acido perfluoroottanosolfonico.
La direttiva europea 2184, invece, fissa il limite a 100 nanogrammi per litro per la somma di venti Pfas (24 in Italia) e cinquecento nanogrammi per tutti i Pfas (gli oltre 10mila). E mentre molti Paesi sono corsi ai ripari, fissando limiti a livello nazionale, l’Italia  ha fatto “orecchie da mercante”, non ha seguito le raccomandazioni dell’Iss, preferendo seguire le direttive europee più permissive con il Decreto 18 del 23 febbraio 2023.
A prescindere dalla direttiva, l’Italia avrebbe potuto correre ai ripari in autonomia, così come hanno fatto altri Paesi, anche fuori dall’Europa. Ma non l’ha fatto. Il ministero della Salute ha fissato come valore massimo nelle acque destinate al consumo umano cinquecento nanogrammi per litro per i Pfoa e trecento per i Pfos.
Insomma, in questi anni in molti comuni italiani è stata erogata acqua potabile che le indicazioni dell’Istituto superiore di sanità consideravano non sicura già dal 2019. Esempio di valori riscontrati: quelli di alcuni comuni piemontesi dell’Alessandrino (Alzano Scrivia, Castelnuovo Scrivia, Piovera).
Tanto per avere dei termini di paragone, l’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (Epa) ha   fissato limiti per la presenza nelle acque potabili di sei molecole del gruppo dei Pfas, in particolare, per Pfoa e Pfos, il limite fissato dall’Epa è pari allo zero tecnico.
A sua volta, l’Agenzia europea sulla sicurezza alimentare (Efsa) ha fissato nel 2020 una soglia massima settimanale di ingestione di Pfas (4,4 nanogrammi alla settimana per chilo di peso corporeo), per la somma di quattro sostanze (Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs).
E così, in Europa, alcuni Paesi hanno già imposto limiti anche cinquanta volte inferiori rispetto a quelli della direttiva, oltre al fatto che, a febbraio, 2023, Danimarca, Germania, Svezia, Paesi Bassi e Norvegia hanno presentato all’Echa, l’Agenzia europea che si occupa della regolamentazione delle sostanze chimiche prodotte e immesse in commercio, una proposta di revisione del Regolamento Reach del 2006 per la messa al bando.
La Danimarca ha comunque posto un limite per la somma delle quattro molecole indicate dall’Efsa (Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs) pari a due nanogrammi per litro e ne ha vietato l’utilizzo nei contenitori alimentari. Si muovono nella stessa direzione, per quanto riguarda la presenza di Pfas nelle acque, oltre all’Olanda, anche Svezia e la regione belga delle Fiandre, entrambe con un limite fissato a 4 nanogrammi al litro, in Germania questo valore sarà di 20 nanogrammi per litro dal 2028 e in Spagna, fino al 2026, sarà di 70 nanogrammi per litro per ognuno dei quattro composti. Lo scorso 4 aprile, la Francia ha deciso di vietare la produzione e la vendita di prodotti non essenziali contenenti Pfas.
PER QUANTO RIGUARDA LA SITUAZIONE ACQUE  DI ALESSANDRIA, DOVE INSISTE A SPINETTA MARENGO LO STABILIMENTO SOLVAY (SYENSQO), UNICO PRODUTTORE IN ITALIA, in particolare facciamo riferimento allo studio (clicca qui) di Claudio Lombardi, ex assessore comunale alla sanità. In estrema sintesi. Tra i 24 tipi di PFAS identificati dalla direttiva  figura il cC6O4 attualmente prodotto con brevetto  a Spinetta, ma inspiegabilmente non l’ADV, ex Pfoa, utilizzato da un trentennio. Nella Direttiva UE, la “Somma di PFAS” non deve superare i 100 ng/l entro il 2026, dunque entro tale data la direttiva poteva essere anticipata e resa più restrittiva dalla Regione, come si verifica negli altri Stati, ma ciò non è avvenuto in Piemonte. Anzi, è rilevante la critica all’Asl di Alessandria per come ha condotto le analisi nei Comuni.
Va sottolineato che AD ALESSANDRIA IL PRIMATO DI INQUINAMENTO (E MALATTIE) DA PFAS È CONSEGUITO DALLE EMISSIONI IN ATMOSFERA.
Dalle decine di ciminiere e punti di fuga, esse ricadono sui polmoni, sulle acque potabili,  sugli alimenti animali e vegetali. Il paradosso è che esse non hanno al momento limite alcuno, grazie al freno politico di Solvay. Perciò la valutazione dell’entità della loro presenza in atmosfera avviene per confronto con le quantità presenti nell’atmosfera delle “aree bianche”, delle zone cioè a distanza rilevante dalle sorgenti di produzione, utilizzo e smaltimento di PFAS. Clicca qui lo studio di Claudio Lombardi. In estrema sintesi. Nel sobborgo di  Spinetta Marengo si registrano concentrazioni di PFAS nell’aria di 1.000 volte superiori come ordine di grandezza ai valori assunti come riferimento, mentre i valori medi sono di 150 volte superiori. Nel Comune di  Piovera, che dista dal Polo Chimico più di 10 Km, valori massimi superiori di circa 100 volte, di 20 volte come valore medio. Nella centralina del Capoluogo: valori massimi di cC6O4 di circa 40 volte superiori  e medi di C6O4+ADV N2 superiori di circa 20 volte.

Pfas nei mangimi per allevamenti.

Nelle scuole andrebbe spiegata al completo la catena alimentare: partendo dalle aziende di produzione (in Italia: Solvay di Spinetta Marengo) e di consumo. Le quali  scaricano Pfas nelle acque potabili e in atmosfera: dalla quale ricadono al suolo sugli alimenti vegetali e animali (…oltre che direttamente nei polmoni). I mangimi sono un anello della catena alimentare.
I Pfas contenuti nei mangimi (foraggi verdi o secchi, semi o frutti, sottoprodotti di cereali e dello zucchero ecc.), insieme all’acqua eventualmente contenente Pfas, sono somministrati agli animali allevati (bovini, ovini, suini e polli): e carni e uova e latticini  contenenti Pfas sono infine  consumati dagli esseri umani  come letalmente tossici e cancerogeni.
Ebbene, il Bundesinstitut für Risikobewertung (BfR), l’Istituto Federale Tedesco per la Valutazione dei Rischi, ci prova a valutare i rischi dei Pfas nei mangimi (foraggio, becchime, pastoni), a calcolare i limiti da non superare. Modelli di tossico cinetica. In realtà, non esistono concentrazioni massime ammissibili, livelli sicuri per la salute umana: dal feto all’anziano, per le molecole “Forever Chemicals“, inquinanti eterni, ubiquitari, indistruttibili, indegradabili e bioaccumulabili. L’unico è il livello zero.

Pfas. Il Belgio non è l’Italia.

In Belgio, a differenza della Regione Piemonte per quanto riguarda Alessandria, la Regione Vallonia organizza una nuova campagna di screening affinché tutte le persone potenzialmente contaminate da Pfas possano beneficiare del monitoraggio medico a spese delle autorità valloni. La decisione dopo che 2.000 persone di Chièvres e Ronquières hanno ricevuto i risultati delle analisi del sangue: a Chièvres quasi una persona su tre supera la soglia massima di 20 microgrammi per litro di sangue raccomandata dal consiglio scientifico insediato dal governo vallone uscente.
Il responsabile della contaminazione, a differenza della Solvay per Alessandria, non è ancora stato identificato, perciò è pressante l’impegno degli amministratori “ad individuarlo rapidamente per poter applicare il principio chi inquina paga, i filtri al carbone piazzati dalla Société Wallonne Des Eaux si rifletteranno sulle bollette dei consumatori. E tutte le spese mediche a carico della comunità. I residenti pagherebbero due volte per l’inquinamento una volta per il portafoglio e l’altra per la salute. Una situazione che sarebbe intollerabile”. In Belgio, ma non in Italia.
Inoltre, il Partito del Lavoro chiede che la Vallonia adotti, entro la fine dell’anno, standard rigorosi per i PFAS nell’acqua del rubinetto: “Non dobbiamo aspettare che l’Europa agisca. La Danimarca ha già uno standard di 4 ng/L. Siamo disponibili a portare avanti la legislazione in questa direzione”.

I Pfas, neurotossici, colpiscono le capacità cognitive e psichiche di feti, bambini e adulti.

Non bastassero tutti gli studi epidemiologici internazionali e nazionali che dimostrano  l’incontrovertibile nesso causale tra l’esposizione dei PFAS e l’aumento significativo di malattie e mortalità: cardiovascolari, metaboliche  e neoplastiche (cancro ai testicoli e carcinoma renale) eccetera.  
Non bastasse l’angoscia supplementare dello studio (prof. van Beijsterveldt dell’Erasmus University Medical Center /Sophia Children’s Hospital di Rotterdam) che dimostra che i Pfas non si accumulano nell’organismo  delle mamme… perché si trasferiscono dal sangue materno al feto durante la gravidanza e poi al bambino con  l’allattamento.
Non bastassero. Si aggiunge lo studio epidemiologico del prof Inhyang Kim dello Hanyang University Medical Center di Seoul che dimostra che  l’esposizione continua dei Pfas in età prenatale è stata associata alla possibile insorgenza di sintomi dell’ADHD Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder, disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività: i bambini con ADHD hanno difficoltà a completare qualsiasi attività che richieda concentrazione,  sembrano non ascoltare nulla di quanto gli viene detto, in età adulta possono  sperimentare  un senso di disagio nella società a causa della loro neuro divergenza, sentirsi emarginati o non compresi a causa delle loro difficoltà nel concentrarsi, nell’organizzare le attività e nel controllare gli impulsi.

Uno strumento per rimuovere i Pfas dal sangue?

Sarebbe  l’invenzione dell’Irriv, l’Istituto internazionale di ricerca sulle malattie renali creato a Vicenza dal prof.  Claudio Ronco. Lo strumento si basa su cartucce speciali che in Cina usano per depurare il sangue sui pazienti morsi da serpenti o avvelenati da pesticidi. «Mi è venuto in mente – osserva Ronco – che i Pfas hanno la stessa struttura molecolare di alcuni veleni e tossici.

E allora con una macchina che abbiamo chiamato Galileo ed è dotata di pompe e di sensori abbiamo dimostrato che la concentrazione di sostanze nocivi cala drasticamente». Dopo l’esperimento sui Pfas nell’acqua contaminata, i necessari passaggi fra ministero della Salute e comitato etico allungano  i tempi delle applicazioni pratiche.


Se si trova la maniera di estrarre Pfas dal sangue e dagli scarichi, si può tranquillamente continuare a produrre e usare Pfas.

Così Solvay (Syensqo)  ha investito 5 milioni di euro per la costituzione del  Centro di Ricerca e Sviluppo per il Risanamento e la Protezione Ambientale al primo piano della  sede del Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica dell’Università del Piemonte Orientale di Alessandria e dotato di nuovi laboratori di ricerca con strumentazione all’avanguardia: il progetto è infatti annunciato come ambizioso.
Il professor Leonardo Marchese,  responsabile scientifico del centro e del progetto, ha l’incarico di utilizzare “polistirolo, plastiche, scarti agricoli come la lolla del riso in grado di rilevare contaminanti 100 mila volte più piccoli rispetto agli attuali limiti di legge”. Insomma trasformaliin “spugne” tecnologiche in grado di catturare, intrappolare le sostanze inquinanti. Un occhio di riguardo, ovviamente, sarà dedicato  ai Pfas, fra tutti i veleni immessi da Solvay in aria, acqua, suolo.
Non essendo noi scienziati di tal fama, siamo eufemisticamente “perplessi” sul progetto così come decantato sulle cronache locali. Soprattutto a causa dell’entusiasmo di Marco Apostolo, Country Manager di Syensqo Italia (Solvay) che ha messo definitivamente le mani sull’Università di Alessandria. Ma anche per avere  interpretato una Excusatio… petita accusatio manifesta nel commento, “La ricerca scientifica nell’ambito della chimica è sempre stata guardata con sospetto nell’immaginario collettivo, perché le si attribuisce una concomitante possibile potenzialità di danno alla salute o all’ambiente”, dichiarato dal prof. Gian Carlo Avanzi, ex rettore dell’Università del Piemonte Orientale.

Pfas in carta e cartoni, soprattutto riciclati. Usare i prodotti “pfas free”.

I più noti  utilizzi hanno riguardato  il rivestimento antiaderente delle pentole da cucina e la produzione dei tessuti tecnici (goretex) e, sempre per la loro proprietà di rendere i prodotti impermeabili all’acqua e ai grassi, fin dagli anni ’50 sono stati impiegati per tessuti impermeabilizzati, tappeti, pelli, insetticidi, schiume antincendio, vernici, rivestimento dei contenitori per il cibo, cera per pavimenti, detersivi, cosmetici eccetera. Però, proprio a causa della loro stabilità termica e chimica, questi composti alchilici per-e polifluorurati tendono ad accumularsi nell’ambiente, si concentrano e persistono negli organismi viventi, compreso l’uomo, dove risultano essere tossici e cancerogeni.
Fra i tanti utilizzi ci sono anche quelli nel campo cartario fin dagli anni ’60, consapevolmente, talvolta inconsapevolmente: con carta riciclata, come segnalato in uno studio scientifico Recycling of paper, cardboard and its PFAS in Norway relativo alle cartiere norvegesi: prodotti alcuni fatti di carta vergine e altri di carta riciclata, compresi i materiali a contatto con gli alimenti (FCM) e imballaggi. I campionamenti di carta e cartoni sono stati infatti effettuati anche negli impianti di riciclaggio.
Cominciano sempre più ad essere immessi nel mercato europeo scatole, ciotole, vassoi per pasti sigillabili e vaschette senza PFAS aggiunti, evidenziati da pubblicità (https://it.duni.com/it/no-added-pfas ).

Le alternative all’uso del talco cancerogeno.

Il talco (composto di magnesio, silicio e ossigeno) è comunemente usato in molti prodotti di bellezza e igiene personale (borotalco, trucchi, polveri per bambini,  polveri medicamentose e alcuni tipi di saponi) per la sua capacità di assorbire l’umidità e ridurre l’attrito. Lo troviamo anche in cipria, fondotinta, ombretti e polveri per il corpo utilizzate per l’igiene intima o per evitare la frizione della pelle nell’attività sportiva.
L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), che fa parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), ha rivalutato i dati disponibili sul talco e ha deciso di alzare la soglia d’allerta: ora il talco non è più inserito nella categoria dei ‘possibili cancerogeni’ per gli esseri umani, ma in quella dei ‘probabili cancerogeni’, quindi una pericolosità superiore, esempio amianto.
Addirittura dai dati sugli animali e da quelli preclinici emerge con chiarezza che si tratta sicuramente di un cancerogeno.  Se è cancerogeno per il culetto del barboncino, quale mamma si azzardi sul sederino del  neonato?
Aggiunti o meno asbesto e Pfas, il talco non va comunque più usato: assolutamente per i bambini e nella zona inguinale e genitale (forte sospetto di insorgenza di tumori ovarici: Sister Study pubblicato  sul Journal of Clinical Oncology), o anche solo inalato. Se ne può fare tranquillamente senza e se proprio non si vuole dare aria alla pelle, esistono diverse alternative al talco, tra cui amido di mais, farina di riso e polveri a base di seta, ingredienti naturali. 

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