[SinistraInRete] Maurizio Lazzarato: La «guerra civile» in Francia

Rassegna 15/07/2024

Maurizio Lazzarato: La «guerra civile» in Francia

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La «guerra civile» in Francia

di Maurizio Lazzarato

La tendenza contemporanea all’alleanza tra liberali e fascisti, che abbiamo visto all’opera nel Novecento e che in questi anni è ricomparsa sotto i nostri occhi, è stata messa in discussione, in Francia, da quanto le lotte degli ultimi anni sono riuscite a sedimentare. Ma la situazione è tutt’altro che risolta: Macron, che resta Presidente della Repubblica, vuole continuare a portare fino in fondo l’espropriazione di salari, reddito e servizi, il genocidio, la guerra; Hollande e il Partito Socialista sono già pronti a pugnalare il programma del Nuovo Fronte Popolare; il Rassemblement National ha aumentato la sua forza parlamentare. In parole povere, la Francia è un paese diviso. In questa situazione, i movimenti giocheranno un ruolo decisivo: solo una lotta di classe incalzante potrà costruire rapporti di forza che ora sono in bilico e spingere La France Insoumise.

* * * *

Durante la notte dei festeggiamenti per la vittoria elettorale sui fascisti, la saggezza popolare ha scritto su un muro «Notre sursaut est un sursis» il nostro sussulto è una tregua. Più vero ancora la mattina dopo. Ma è un qualcosa di più di un sussulto e la tregua dipenderà dai rapporti di forza che si costruiranno nelle prossime settimane e mesi.

La lunga sequenza di lotta di classe senza classe e senza rivoluzione (cominciata sotto la presidenza Hollande), nonostante nessuna delle rivendicazioni dei vari movimenti (Loi travail, Gilets Jaunes, retraite, banlieues etc.) sia riuscita a imporsi, ha determinato un terremoto che sta facendo tremare le istituzioni della Repubblica, messo a terra elettoralmente il feroce blocco degli interessi del grande capitale rappresentato da Macron e aperto la strada a una prima rottura del consenso destra/ sinistra intorno alla contro-rivoluzione liberal-capitalista che ha governato praticamente dal Mitterand del 1983 fino a Macron.

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Mike Whitney: Il piano USA per “espandere la guerra oltre l’Ucraina”

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Il piano USA per “espandere la guerra oltre l’Ucraina”

La concentrazione di forze NATO in Finlandia crea un esercito ostile alle porte della Russia

di Mike Whitney per Global Research

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moigiy2.jpgL’amministrazione Biden ha deciso di estendere la guerra oltre l’Ucraina portando truppe da combattimento e armi letali in 15 basi militari in Finlandia. Non si sa ancora se il dspiegamento includerà missili balistici dotati di armi nucleari, ma la minaccia alla sicurezza della Russia è comunque seria. Si può immaginare cosa farebbe Washington se Mosca scegliesse di costruire 15 basi militari completamente equipaggiate e operative al confine tra Stati Uniti e Messico. Gli Stati Uniti eliminerebbero rapidamente la minaccia con la forza delle armi. Nessuno ne dubita. La domanda è se Putin seguirà la stessa linea d’azione degli Stati Uniti o se tergiverserà finché la minaccia non diventerà troppo evidente da ignorare. Questo pezzo è tratto da un articolo del The Defense Post:

Lunedì il Parlamento finlandese ha approvato all’unanimità un patto di difesa con gli Stati Uniti, che consentirà una maggiore presenza militare statunitense e lo stoccaggio di materiali da difesa in Finlandia…. L’accordo, mirato a rafforzare le capacità di sicurezza e difesa della Finlandia, arriva dopo l’adesione del paese nordico alla NATO nell’aprile 2023 …I rapporti della Finlandia con la vicina Russia, con cui condivide un confine lungo 1.340 chilometri (830 miglia), sono diventati sempre più tesi dopo l’adesione della Finlandia all’alleanza l’anno scorso. L’accordo dà agli Stati Uniti accesso a 15 basi militari in Finlandia e consente la presenza e l’addestramento delle forze statunitensi e il preposizionamento di materiale da difesa nel territorio finlandese. Rafforza inoltre la cooperazione tra i due paesi in situazioni di crisi.

La Russia afferma che risponderà alla Finlandia che concede agli Stati Uniti l’accesso alle basi [1], The Defense Post

La cosiddetta “presenza militare rafforzata degli Stati Uniti” di Washington in Finlandia non serve alcun interesse nazionale né fornisce alcun beneficio materiale al popolo americano.

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Alessandra Ciattini: Riflessioni su alcune ideologie contemporanee

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Riflessioni su alcune ideologie contemporanee

di Alessandra Ciattini*

nascita
delle nuove ideologie politiche origPer alcuni viviamo in una fase storica radicalmente nuova – cosa di cui era fortemente convinto, come si vedrà, l’autorevole Zbigniew Brzezinski – che ha scavato un abisso con la fase storica precedente, caratterizzata dalla presenza consistente nei paesi occidentali dello Stato del benessere, dalla crescita economica, dalla forte presenza della grande industria anche di Stato, dall’esistenza di ben radicate organizzazioni di massa (partiti e sindacati).

Con le radicali trasformazioni che si sono realizzate sul piano economico e industriale, con l’infelice dissolvimento del cosiddetto socialismo reale e la cosiddetta fine della guerra fredda, in realtà ammorbidita da fasi di coesistenza pacifica, sarebbe emersa una nuova forma di società, nella quale i suoi apologeti scorgevano promesse di maggiore libertà, di maggiore rispetto delle specificità individuali[1], di minore conflittualità tra le diverse ‹‹culture››, che si incontrano oggi più intimamente per la magnitudine del fenomeno migratorio, per la velocità degli spostamenti e per la rapidità delle comunicazioni[2].

Negli articoli che raccolgo in questo libro e che ho scritto in occasioni diverse, in parte per un giornale on line ispirato ad Antonio Gramsci, La Città futura, ho cercato di analizzare alcune tendenze che percorrono l’attuale fase e che al contempo rappresentano sia elementi di continuità che di discontinuità rispetto al passato nel quadro di una prospettiva, che non sbriciola la storia in frammenti né si fa abbagliare dalle cosiddette novità. Prospettiva che certamente non ha la pretesa di essere nuova, se non rispetto a certe forme di relativismo estremo adottate da certi ambienti intellettuali, e che riprende l’idea della contrapposizione tra aspetti sociali di lunga durata e aspetti che in cicli storici più brevi si consumano e scompaiono in maniera relativamente rapida.

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Mario Lombardo: Orban, la colpa della pace

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Orban, la colpa della pace

di Mario Lombardo

L’iniziativa del primo ministro ungherese, Viktor Orban, per trovare una soluzione diplomatica alla guerra in Ucraina ha fatto salire a livelli stratosferici l’isteria dei leader europei. La sola possibile identificazione dell’UE o di un suo rappresentante con una proposta o un piano di pace è di fatto inaccettabile, perché comporta la messa in discussione di tutto l’edificio propagandistico costruito attorno al conflitto. Nei confronti di Orban e dell’Ungheria si stanno quindi già studiando provvedimenti, come la possibile rimozione anticipata del governo di Budapest dalla presidenza di turno del Consiglio Europeo.

La colpa imperdonabile di Orban è quella di avere rotto il fronte anti-russo costruito in Europa e di essersi recato a Mosca per discutere di pace con il presidente Putin, distruggendo l’immagine di autocrate sanguinario affibbiata a quest’ultimo per riconsegnare quella di leader razionale e aperto al negoziato sulla base degli equilibri sul campo.

Orban era stato in precedenza ospitato a Kiev da Zelensky, al quale ha presentato un piano, forse riconducibile a Donald Trump e ai suoi consiglieri, per arrivare a una tregua in grado di favorire trattative vere e proprie con la Russia e gli altri attori coinvolti nella guerra.

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Giuseppe Masala: Vertice NATO di Washinton: la “No fly Zone” nell’Ucraina occidentale formalizza l’entrata in guerra

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Vertice NATO di Washinton: la “No fly Zone” nell’Ucraina occidentale formalizza l’entrata in guerra

di Giuseppe Masala

Non sono passate neanche ventiquattro ore dall’inizio del Vertice Nato di Washington che l’importanza cruciale – e oserei dire storica – di questo consesso è emersa in tutta la sua drammaticità.

Ad aver aperto le danze è stato l’accordo di difesa firmato tra Polonia e Ucraina e annunciato e illustrato proprio a Washington. Il punto cruciale è, a mio avviso, la facoltà concessa alla Polonia dall’Ucraina di abbattere qualsiasi oggetto volante sopra i cieli dell’Ucraina occidentale e ritenuto pericoloso (drone, aereo, missile ecc.).

Una possibilità già di per sé foriera di enormi rischi in considerazione del fatto che i russi hanno già detto che nel caso un proprio velivolo o missile fosse colpito da contraerea dislocata oltreconfine (rispetto all’Ucraina) non esiteranno a rispondere al fuoco. Inutile sottolineare che i russi hanno sempre fatto della prevedibilità uno strumento della gestione del conflitto affinché gli avversari possano ponderare al meglio le proprie mosse e sapere a cosa vanno incontro. Chiaro è che il principio di prevedibilità comporta che quanto dichiarato venga fatto se si verificano i presupposti ritenuti necessari; visto questo possiamo essere certi che i russi se colpiti dal territorio polacco faranno quanto hanno pubblicamente dichiarato per non perdere di credibilità.

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Marta Mancini: Ždanov o della superiorità (im)morale

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Ždanov o della superiorità (im)morale

di Marta Mancini

La chiave per comprendere la sottocultura che va sotto il nome di politically correct, con gli annessi dispositivi della cancel culture e del wokismo, è senz’altro la sudditanza all’egemonia culturale d’oltreoceano, sostenuta da una forte matrice identitaria radicata nel puritanesimo protestante e nel più profondo calvinismo. Nonostante la crisi in cui versa il progetto economico-finanziario della globalizzazione, gli effetti che ha generato nelle mode culturali sono ancora tangibili e più stringenti che in passato, anche se il compito di conservare la supremazia statunitense ha passato la mano allo sforzo bellicista, naturalmente a spese di altri paesi e lontano dalla geografia fisica della democraticissima nazione che ha sempre molto da insegnare, specialmente in superiorità etica.

Da una simile prospettiva prende avvio l’ultimo libro di Alberto Giovanni Biuso, da poco uscito per Algra Editore, “Ždanov. Sul politicamente corretto” nel quale l’autore percorre i tratti di tale contesto culturale mostrandone con critica passione i sintomi, i presupposti impliciti, la pervasività, le sostanziali contraddizioni ma anche la possibilità di uscirne attraverso un atto coraggioso di libertà che è prima di tutto libertà di pensiero e di parola.

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Giorgio Agamben: Requiem per l’Occidente

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Requiem per l’Occidente

di Giorgio Agamben

Verso la fine del XIX secolo, Moritz Steinschneider, uno dei fondatori della scienza del giudaismo, dichiarò, non senza scandalo di molti benpensanti, che la sola cosa che si poteva fare per il giudaismo era assicurargli un degno funerale. È possibile che da allora il suo giudizio si applichi anche alla Chiesa e alla cultura occidentale nel suo complesso. Quel che di fatto è, tuttavia, avvenuto è che il degno funerale di cui parlava Steinschneider non è stato celebrato, né allora per il giudaismo né ora per l’Occidente.

Parte essenziale del funerale nella tradizione della chiesa cattolica è la messa detta di Requiem, che nell’Introito si apre appunto con le parole: Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Fino al 1970, il missale romano prescriveva inoltre per la messa di requiem la recitazione nella sequenza del dies irae. Questa scelta era perfettamente conseguente col fatto che il termine stesso che definiva la messa per i defunti proveniva da un testo apocalittico, l’Apocalisse di Esdra, che evocava insieme la pace e la fine del mondo: requiem aeternitatis dabit vobis, quoniam in proximo est ille, qui in finem saeculi adveniet, «vi darà la pace eterna, perché è vicino colui che viene alla fine del tempo». L’abolizione del dies irae nel 1970 va insieme all’abbandono di ogni istanza escatologica da parte della Chiesa, che si è in questo modo del tutto conformata all’idea di un progresso infinito che definisce la modernità.

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Sandro Moiso: Le chimere del frontismo e dell’antifascismo elettoralistico: il cadavere ancora cammina

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Le chimere del frontismo e dell’antifascismo elettoralistico: il cadavere ancora cammina

di Sandro Moiso

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7dda794b0a85.jpg“Il risultato peggiore, per le sorti della classe proletaria, è l’entrata nel tronfio affasciamento antifascista della parte proletaria che aveva finalmente imboccata la via originale e autonoma” (Amadeo Bordiga)

Nel corso degli anni Novanta, quando chi scrive faceva ancora parte di una ristretta compagine militante dal chiaro riferimento bordighista, che in seguito avrebbe dato vita alla rivista «n+1», un circolo politico di estrema destra scrisse al medesimo gruppo chiedendo un contatto per una eventuale collaborazione, una volta considerate le possibili affinità di vedute.

La risposta del militante più anziano, allora alla guida dello stesso, fu ferma e decisa, perché: «tra comunisti e fascisti non possono esistere punti in comune e soltanto le condizioni storiche ci impediscono di rapportarci con questi nell’unico modo possibile. Ovvero a colpi di fucile.»

Molta acqua è passata sotto i ponti da quel tempo a oggi ma, nonostante il fatto che le divergenze di vedute su molti aspetti dell’agire politico abbiano poi portato il sottoscritto a lasciare l’esperienza bordighista, quelle poche parole sono rimaste scolpite nella memoria di chi scrive come chiaro insegnamento. Perché ponevano alcuni ordini di problemi che oggi gran parte della sinistra presunta radicale sembra per molti aspetti ancora ignorare.

Il primo, naturalmente è quello costituito dal semplice fatto che tra l’interpretazione comunista e rivoluzionaria della realtà e delle sue contraddizioni economiche, sociali e politiche, e quella fascista e reazionaria delle stesse non può esistere alcunché di comune, al contrario di quanto recentemente sostenuto da formazioni che, pur rivendicando la vicinanza del proprio agire politico all’esperienza della sinistra antagonista, hanno invece fatto proprie le posizioni nazionaliste e populiste tipiche del fascismo.

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Roberto Paura: La scienza di von Neumann, o di come capiremo il mondo

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La scienza di von Neumann, o di come capiremo il mondo

Pioniere dell’IA, John von Neumann provò a superare l’impasse della scienza del suo tempo

di Roberto Paura 

Ananyo Bhattacharya: L’uomo venuto dal futuro. La vita visionaria di John von Neumann, Traduzione di Luigi Civalleri, Adelphi, Milano, 2024, pp. 447, € 30,00

Benjamin Labatut: Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Traduzione di Lisa Topi, Adelphi, Milano, 2024, pp. 180, € 12,00

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b n 02.jpgQuando Roberto Calasso, dominus della casa editrice Adelphi, morì, il matematico e polemista Piergiorgio Odifreddi pubblicò una violentissima invettiva alla sua memoria su La Stampa dal titolo Cacciari, Calasso e gli antiscienza. A Calasso Odifreddi rinfacciava innanzitutto la scelta di pubblicare l’opera omnia di Friedrich Nietzsche, il filosofo del “Non ci sono fatti, solo interpretazioni” che il matematico considera un sottile veleno che ha intossicato le menti di generazioni, spingendole verso atteggiamenti antiscientifici. Da lì, poi, proseguiva stigmatizzando le scelte editoriali di Calasso, “che ‘infiniti addusse danni’ alla cultura italiana”, per la sua scelta di “opere scientifiche borderline”, come Il Tao della fisica di Fritjof Capra, Il principio antropico di John Barrow e Frank Tipler, La matematica e degli dèi di Paolo Zellini, Psiche e natura di Wolgang Pauli, accostati a “ciarlatani come René Guénon o Elémire Zolla” (Odifreddi, 2021). Con ciò ignorando o, meglio, fingendo di ignorare altre opere di scienza uscite per Adelphi, tra cui i testi di premi Nobel come Richard Feynman, Leonard Susskind, James Watson, Konrad Lorenz, insieme a giganti come Oliver Sacks, David Quammen, Luigi Cavalli-Sforza, John Bell, Carlo Rovelli, Martin Rees, Edward O. Wilson, Sean Carroll, Douglas Hofstadter, Rudy Rucker. Certo però l’invettiva colpiva nel segno, perché l’impronta dell’editore (come si intitola un libro dello stesso Calasso) non è mai stata più forte nel mondo editoriale italiano che in Adelphi, in cui ogni titolo non è mai una scelta casuale. Anche oggi che Calasso non è più tra noi, se ne può scorgere l’impronta nella recente pubblicazione di due titoli su un personaggio che meritava una riscoperta proprio negli anni in cui viviamo: John von Neumann. Di lui si è occupato Benjamin Labatut in Maniac (testo che abbiamo già analizzato in precedenza su Quaderni d’Altri Tempi) e, più prosaicamente e con un taglio più strettamente biografico, il giornalista e scrittore di scienza Ananyo Bhattacharya in L’uomo venuto dal futuro.

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comidad: La corruzione fa la forza

comidad 

La corruzione fa la forza

di comidad

Non c’è evento che non abbia qualche precedente storico, e ciò vale anche per la penosa esibizione di Joe Biden nel suo dibattito con Donald Trump. Nel 1984 l’allora presidente in carica, Ronald Reagan, affrontò in un primo dibattito il suo sfidante, Walter Mondale. In quella circostanza Reagan si dimostrò senile, impacciato, confuso e smemorato, con effetti di comicità involontaria, come quando attribuì le eccessive spese militari al cibo e al vestiario. Nel secondo dibattito con il rivale Mondale la situazione si rovesciò a favore di Reagan, che si presentò vivace e pronto alla battuta; perciò a chi gli chiedeva se potesse essere un problema la sua età avanzata, Reagan rispose di non avere intenzione di usare a proprio vantaggio la giovinezza e inesperienza di Mondale. Al pubblico e ai media piacciono molto questi colpi di scena in cui lo sfavorito rovescia il pronostico, e con una grassa risata tutte le perplessità sullo stato mentale di Reagan furono resettate in un attimo.

Può darsi perciò che anche Biden, come il suo predecessore Reagan, si presenti “bombato” di anfetamine al prossimo dibattito con Trump e riesca a rimediare al primo disastro. Magari nel campo avverso qualche “double agent” sottrarrà le anfetamine a Trump e le parti si invertiranno con grande spasso del pubblico.

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Andrea Zhok: “La forma più schietta di democrazia”

lantidiplomatico

“La forma più schietta di democrazia”

di Andrea Zhok*

Dando un’occhiata comparativa ai risultati elettorali del Regno Unito e della Francia un dato salta agli occhi, ovvero la macroscopica differenza tra l’espressione della volontà popolare in termini di voti percentuali e la distribuzione di seggi (cioè di potere) nei rispettivi parlamenti.

Se guardiamo al Regno Unito (dove vige un sistema maggioritario uninominale) vediamo come il Labour Party, chiaro vincitore, sia stato votato da poco più di un terzo dei votanti (e, se proprio volessimo sottilizzare, visto che sono andati a votare il 60% degli aventi diritto, da un quinto dell’elettorato.)

Con questa percentuale il Labour ottiene 407 seggi, cioè quasi i 2/3 dei posti in Parlamento.

Mettiamo dunque di fila i risultati in UK:

Labour Party 34,2% dei voti –> 407 seggi

Tories 23,6% dei voti –> 115 seggi

Reform UK (Farage) 14,3% dei voti –> 4 seggi (cioè con 1/7 dei votanti ottiene 1/150 dei seggi).

Scottish National Party 2,4% –> 8 seggi

LibDem 12% –> 68 seggi

Verdi 6,8% –> 4 seggi

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coniarerivolta: La Commissione Europea detta, il Governo Meloni esegue: 13 miliardi di tagli

coniarerivolta

La Commissione Europea detta, il Governo Meloni esegue: 13 miliardi di tagli

di coniarerivolta

Un gran vociare si è fatto sui negoziati intorno alle alte cariche dell’Unione europea, che determineranno le nomine degli alti vertici delle principali istituzioni comunitarie. Mentre tutti guardavano altrove, però, lo scorso 19 giugno la Commissione europea ha pubblicato, ai sensi dell’articolo 126, comma 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, la comunicazione COM (2024) 598, con cui determina l’apertura di una procedura per deficit eccessivo nei confronti di sette paesi, tra cui l’Italia (oltre a Francia, Belgio, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia).

Se le nomine disegnano la geografia politica dell’Unione europea con la sua nomenklatura, peraltro in piena continuità con il passato, la decisione sulla procedura per deficit eccessivo definisce alcuni paletti della politica economica dei prossimi anni che condizioneranno in maniera ben più significativa il destino del nostro Paese, a prescindere da chi sarà al timone della burocrazia europea, ma anche a prescindere da chi sarà alla guida del governo italiano.

Nella sua comunicazione del 19 giugno, la Commissione europea ha illustrato i dati che impongono l’apertura della procedura per deficit eccessivo a carico dell’Italia e degli altri paesi fiscalmente indisciplinati: nel nostro caso, un deficit pubblico (differenza tra uscite ed entrate dello Stato, tra spesa pubblica e tasse) del 7,4% del PIL nel 2023 si pone ben al di là della soglia del 3% prevista dai trattati, e viene giudicato un fenomeno strutturale e non temporaneo.

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A D: La truffa del riciclaggio della plastica

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La truffa del riciclaggio della plastica

di A D

Un rapporto del Centro per l’Integrità Climatica rivela che da decenni l’industria della plastica promuove il riciclaggio dei suoi prodotti, ma non è praticamente realizzabile

Tra il 1950 e il 2015, oltre il 90% della plastica è stata smaltita in discarica, incenerita o dispersa nell’ambiente. Secondo un rapporto del Centro per l’Integrità Climatica pubblicato lo scorso febbraio, i rifiuti di plastica sono ora “nell’aria che respiriamo, nel cibo che mangiamo e nell’acqua che beviamo”. Ogni settimana consumiamo fino a cinque grammi di plastica o l’equivalente di una carta di credito a settimana. Negli ultimi anni, l’industria della plastica ha promosso il ‘riciclaggio avanzato’ come soluzione al problema, ma sembra molto improbabile che questo possa aiutare a ridurre i rifiuti ambientali in modo significativo. E questo è un aspetto che, secondo il rapporto, l’industria conosce da decenni.

 

“Non vengono effettivamente riciclati”

Le aziende petrolchimiche sono impegnate da decenni in campagne di sensibilizzazione per, secondo il rapporto, “ingannare il pubblico sulla fattibilità del riciclaggio della plastica come soluzione ai rifiuti di plastica”.

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Giuseppe Sottile: Quel che resta del giorno

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Quel che resta del giorno

di Giuseppe Sottile

One can only speak of the victory of the proletarians to the extent that one simultaneously affirms that they will not realize it as proletarians, but in negating themselves, in posing man. – J. Camatte

Marx’s critical theory… suggests that the working class is integral to capitalism rather than the embodiment of its negation, M. Postone

Il mondo di oggi è malato fino al midollo delle ossa della mancanza di cose elementari: di un fuoco a portata di mano, di acqua che sgorga dalla terra, di aria e della stessa cara terra sotto i piedi – H. Beston

Ci si è probabilmente appena accorti che sono in corso almeno tre latenti guerre civili, per restare all’Occidente, più o meno protrattesi nel tempo e nel modo in cui oggi esse si esprimono: in USA, già a partire dagli anni ’90, in Spagna e Francia più di recente. Da lungo tempo, e seguendo riflessioni altrui, ho svolto ipotesi sulla natura spesso reazionaria dei lavoratori salariati nel loro complesso. Penso che la “quotidianità sostanziale” a cui stiamo assistendo, ancora una volta sia ricca di nuovi indizi significativi e possa essere ancora una volta determinate: implosione della democrazia rappresentativa, nelle procedure elettorali e nella astensione, condizioni economiche e non solo di fondo, che oramai mettono di fronte direttamente capitale e lavoro, senza più mediazione politica, evidente nel cretinismo del dibattito politico che ne mostra la impasse, e che nelle “soluzioni” di politica economica – sempre attente ai mercati – accompagna solamente l’aggravamento delle condizioni sociali (ed ecologiche), qualunque sia la direzione il sistema prenderà. L’implosione politica è con buona ragionevolezza l’espressione della crisi sistemica del capitalismo di cui già detto, ma in condizioni storiche differenti, poiché nulla si ripete allo stesso modo, compresi i cicli economici. Dovremmo preoccuparci felicemente della natura e condizioni di queste guerre civili più o meno latenti e potenzialmente esplosive, poiché quello che potrebbe accadere rientrerebbe negli imprevisti storici. Vorrei ricordare che non c’è stato un imperativo marxiano che sia stato seguito dal movimento comunista e che mai si è avuta alcuna significativa esperienza rivoluzionaria che non si sia tramutata nel suo opposto, ossia rivolta contro se stessa. Ora in pieno Occidente l’alternativa non è più tra gli opposti apparenti di democrazia o dittatura, apparente perché entrambe hanno dato solo fondo alla consacrazione dell’ecocidio/democidio, la più fiera eredità della fase storica che ne è seguita, ma nella resa dei conti tra Natura ed una civiltà ad essa ostile. La natura conservatrice ad ogni costo dello status quo dei salariati farà ancora, come suo tempo, la differenza, se tale si manterrà. Che tale si mantenga dipende dal ruolo che ricopre in questa fase storica l’atavica repressione degli impulsi primari e le istituzioni che ne esprimono la sua rimozione/deformazione. La peste emozionale è il fil rouge che come una capillare tautologia significativa lega numerosi fenomeni: dai politicanti burattinai ai sovranismi, dalla xenofobia al revival del misticismo religioso più triviale, dai razzismi al desiderio di efficienti apparati securitari, dai patriottismi al più crudo e diffuso nichilismo. Qua è la, come in passato, spiccano ancora nuovi e significativi autentici e non ideologici, ancora forse politicamente immaturi, inni alla vita, non a caso pesantemente anatemizzati e represse: da extinction rebellion a ultima generazione, da animal rebellion a earth first, da soulkevements de la terre ai redivivi piccoli esperimenti di liberazione sessuale nelle scuole primarie e timidi tentativi di pubbliche politiche alimentari plant based. Un piccolo grande segnale della debolezza del sistema. Ma il sistema vive delle sue stesse debolezze. Un esempio? Gli enormi flussi migratori, che sono figli della crisi economica ed ecologica e non della crescita della prima (come in passato), al momento incrementano solo la guerra di tutti contro tutti. Ancora una volta al “proletari di tutti i paesi unitevi’” subentra l’ammazzati l’un l’altro, base di ogni “sano nazionalismo”. Lenin, da qualche parte, disse che un proletariato forte e ben organizzato avrebbe potuto fare a meno della violenza rivoluzionaria e che la democrazia era invece il luogo della violenza. Ove più ove meno ne scorrerà sangue, come è giusto che sia. E piante e animali, oltre le stelle, staranno a guardare.

 

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