[SinistraInRete] Afshin Kaveh: Quale forma per il contenuto della “Critica del valore”?

Rassegna 17/07/2024

Afshin Kaveh: Quale forma per il contenuto della “Critica del valore”?

lanatra
di vaucan

Quale forma per il contenuto della “Critica del valore”?

di Afshin Kaveh

Questi appunti di poche e brevi note, assolutamente non definitive, vorrebbero da una parte sintetizzare – nei limiti del possibile – una serie di questioni lamentate spesso come difficili e, dall’altra, stimolare il primo passo di un dibattito in seno alla “Critica del valore”, nella speranza d’intessere una tela continuativa con gli sforzi teorici dei compagni e delle compagne del gruppo Crise&Critique in Francia rispetto alla critica della “forma-soggetto”, o ai contributi del compagno tedesco Julian Bierwirth del gruppo Krisis sulla necessità di riformulare la lotta sociale. Ciò che segue è stato inizialmente abbozzato – perlomeno a grandi linee – a margine di un incontro informale animato da un gruppo di circa venti persone e svoltosi in due giornate, nella suggestiva cornice delle campagne di Gragnano (LU), tra il 15 e il 16 giugno. Il primo giorno si è caratterizzato dall’esposizione della storia e delle istanze teoriche della “Critica del valore”. Il secondo dall’esposizione delle pratiche comunitarie dell’America Latina e dei pensieri di Ivan Illich e Gustavo Esteva (che, per curiosità, si sarebbe avvicinato, negli ultimi anni di vita, alla “Wertkritik” con la lettura delle opere di Kurz e Jappe, ricercando poi una comunanza d’intenti tra le teorizzazioni di Illich e quelle di Marx). Da lì è maturata in me un’esigenza sostanziale che, in diverse occasioni nel corso dell’ultimo anno, avevo già privatamente discusso con Anselm Jappe e Massimo Maggini: può la “Critica del valore” dialogare col “municipalismo libertario” di Murray Bookchin e darsi l’assemblearismo, la democrazia diretta, il confederalismo democratico, l’esperienza dello zapatismo o il consiliarismo operaio (così come teorizzato da Debord e dall’Internazionale situazionista) come forme da cui partire e a cui guardare? Lancio il sasso e non nascondo la mano. (Afshin Kaveh – estate 2024)

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Cosa ci insegna la “Wertkritik”?

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Gaetano Colonna: La NATO è in guerra

clarissa

La NATO è in guerra

di Gaetano Colonna

allenza e1720866755449.jpgL’attenzione dei media al vertice NATO di Washington si è focalizzata soprattutto sugli aspetti più folcloristici, a partire dalla questione, a quanto pare essenziale, del livello di rimbambimento raggiunto da un qualche capo di Stato occidentale: le gustose immagini in merito ci hanno fatto dimenticare ciò che questo storico vertice ha in realtà prodotto.

Poiché invece clarissa.it, che quest’anno celebra i suoi oltre venti anni di silenziosa ma tenace attività di informazione libera e oggettiva, è attenta alla sostanza dei fatti e non alla loro spettacolarizzazione, ci sembra utile offrire intanto ai nostri lettori, in allegato, la dichiarazione finale del vertice dell’Alleanza Atlantica.

Aggiungiamo poi qui di seguito qualche notazione, sperando di stimolare così il lettore a sorbirsi tutto il testo, piuttosto articolato e complesso, di questo storico documento.

 

Quali regole?

Se dovessimo darne una sintesi, potremmo dire senza alcuna remora che con questo comunicato la NATO di fatto dichiara di considerarsi in stato di guerra con la Russia: un fatto che dovrebbe far riflettere gli Italiani, che in questa alleanza sono compresi, senza però che si sia mai dato modo al popolo sovrano di esprimere le propria documentata opinione – dato che, per fare un esempio, sono a tutt’oggi ancora gelosamente secretati i nostri invii di armamenti all’Ucraina.

La belligeranza contro la Russia è l’applicazione che la NATO fa del proprio «impegno a sostenere un ordine internazionale basato su regole», l’oramai celebre formula assunta dal mondo occidentale come parola d’ordine per la conservazione del proprio sistema egemonico.

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Eros Barone: Un partito per unirci, per lottare e per vincere

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Un partito per unirci, per lottare e per vincere1

di Eros Barone

Death of a Commissar Petrov Vodkin.jpgLo sviluppo delle sette socialiste e quello del vero movimento operaio sono sempre in proporzione inversa. Sino a che le sette hanno una giustificazione, la classe operaia non è ancora matura per un movimento storico indipendente. Non appena essa giunge a questa maturità, tutte le sette diventano essenzialmente reazionarie.

K. Marx, Lettera a Friedrich Bolte del 23 novembre 1871.

L’unità è una grande cosa e una grande parola d’ordine! Ma la causa operaia ha bisogno dell’unità dei marxisti, e non dell’unità tra i marxisti e i nemici e travisatori del marxismo.

V. I. Lenin, Pravda, n. 59, 12 aprile 1914.

 

1. La teoria della rivoluzione comanda la teoria del partito

Da tempo è all’ordine del giorno nell’agenda dei militanti comunisti, non solo in Italia ma su scala europea e mondiale, la ricerca di una strategia rivoluzionaria atta in primo luogo a difendere gli interessi materiali del proletariato dall’attacco generale e via via crescente della borghesia e, in secondo luogo, a preparare, già nel corso di questa azione difensiva, quelle condizioni di avanzata verso il socialismo che s’identificano con la costruzione di un blocco storico alternativo al capitalismo e con la conquista del potere politico di Stato. L’esperienza del movimento operaio russo insegna, infatti, che la questione dell’organizzazione di un partito di classe può essere posta organicamente solo sulla base di una teoria della rivoluzione stessa: le ragioni della scissione del POSDR (Partito Operaio Socialdemocratico di Russia), da cui trassero origine la corrente bolscevica e la corrente menscevica, derivarono proprio dalla diversa visione del carattere della strategia di lotta di classe (coalizione con la borghesia liberale o alleanza con i contadini) e dal modo conseguente d’impostare e risolvere le questioni di organizzazione.

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Agata Iacono: Sterminio a Gaza. La censura di Meta compie un (ulteriore) salto di qualità

lantidiplomatico 

Sterminio a Gaza. La censura di Meta compie un (ulteriore) salto di qualità

di Agata Iacono

Nell’accanimento della distopia cognitiva sulla manipolazione semantica, il termine STORICO “sionismo”, che rappresenta una precisa ideologia e non è affatto sinonimo di ebraismo, sarà censurato da Meta.

È proprio dall’ideologia del “sionismo” le Comunità Ebraiche in tutto il mondo rivendicano la loro estraneità, protestando contro il Genocidio del popolo palestinese.

Il dibattito sul termine “sionista”, all’interno di Meta, non è nuovo e ha scatenato l’allarme tra gli attivisti per i diritti digitali e i gruppi pro-palestinesi, secondo i quali l’approccio soffocherebbe le legittime critiche politiche al governo israeliano, alle sue forze armate e a quell’orrore quotidiano, che anche la Corte Internazionale dell’Aia e i rappresentanti ONU e dei diritti umani definiscono uno sterminio ingiustificabile.

“Il sionismo è un’ideologia. Non è una razza”, ha dichiarato Nadim Nashif, cofondatore del gruppo pro-palestinese per i diritti digitali “7amleh”, che è stato informato da Meta sulla revisione della sua politica. “Come ho detto loro, secondo me questo è un pendio scivoloso. Può determinare la rimozione di molti contenuti che criticano Israele e il sionismo e che fanno parte di discussioni politiche legittime”. 

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La Riscossa: Francia: le illusioni parlamentari e la dura realtà

lariscossa

Francia: le illusioni parlamentari e la dura realtà

di La Riscossa

Più che i risultati delle elezioni francesi, conta come si sia arrivati a questo risultato. Il peggiore esponente delle élite globaliste occidentali imperialista e filosionista ha contrattato senza alcuna contropartita l’accordo elettorale col sedicente Fronte Popolare. Questo, sebbene articolato secondo diverse sfumature, gliel’ha concesso, garantendogli la sopravvivenza politica e comunque, come era prevedibile, consentendogli di essere ora l’ago della bilancia per la futura governabilità. Siamo sicuri che questa si troverà ancora una volta a scapito degli interessi delle masse popolari sfruttate che sono state prese in giro, dopo che dall’altra parte è stata agitata una forza antipopolare e islamofoba che non poteva che non catalizzare l’avversione di coloro che soffrono di più nella società francese.

Il “centro” ossia la maggioranza presidenziale diventa il secondo gruppo con 163 deputati. Non è stato asfaltato come previsto, grazie alla desistenza, marchio d’infamia di cui il “Fronte Popolare” porterà eterna responsabilità. Questo ottiene in seggi: 75 la France Insoumise, 65 il Partito Socialista, 34 Verdi e 9 Partito Comunista Francese.

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Michele Paris: Washington: i cocci della NATO

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Washington: i cocci della NATO

di Michele Paris

Il vertice NATO di questa settimana a Washington ha fatto registrare i soliti proclami altisonanti e la retorica ambiziosa dei vari leader presenti, in contrasto con le condizioni di avanzata crisi dell’alleanza, sia per il complicarsi in maniera critica della guerra in Ucraina sia per i crescenti problemi politici interni in svariati paesi membri. Soprattutto la stampa americana si sta concentrando sulla “performance” di un presidente Biden a un passo dall’essere messo da parte come candidato democratico alle elezioni di novembre, mentre la preoccupazione principale dei partecipanti al summit è di proiettare sicurezza e unità d’intenti nel sostegno a oltranza all’agonizzante regime di Zelensky.

I problemi cronici della NATO sono da ricondurre alle contraddizioni interne a un organismo che ha da tempo esaurito la sua funzione e che viene tenuto in vita sostanzialmente come fonte di profitti per i produttori di armi americani e come strumento per la promozione degli interessi strategici di Washington in Europa. Sull’appoggio all’Ucraina, ad esempio, gli interventi di Biden e del segretario generale Stoltenberg sono stati perentori, ma dietro le apparenze circolano malumori crescenti e la consapevolezza del fallimento inevitabile dell’intera operazione.

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Roberto Iannuzzi: I punti chiave del fallito attentato a Trump

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I punti chiave del fallito attentato a Trump

di Roberto Iannuzzi

Il tentativo di liquidare l’avversario presidenziale di Biden sancisce l’arrivo del caos e della violenza politica nel cuore del declinante impero USA

 

Possiamo individuare almeno 3 punti chiave nel fallito attentato che ha lasciato vivo per un soffio l’ex presidente, e attuale avversario repubblicano del presidente uscente Joe Biden nelle elezioni di novembre, sprofondando l’America nell’incertezza politica, e in un clima di tensione ai limiti della guerra civile.

 

1) Il fallimento del “secret service” è imbarazzante quanto inspiegabile

Lo US Secret Service (USSS) è un’agenzia federale alle dipendenze del Dipartimento della Sicurezza Interna che ha lo specifico compito di proteggere le principali cariche dello Stato americano, le loro famiglie, così come i capi di Stato e di governo in visita negli USA.

Tra i suoi compiti figura anche quello di proteggere i candidati presidenziali durante la campagna elettorale.

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Domenico Moro: Le pressioni di mercati e UE su una Francia in crisi

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Le pressioni di mercati e UE su una Francia in crisi

di Domenico Moro

Melenchon.jpgLe elezioni francesi hanno restituito una assemblea nazionale (il parlamento francese) spaccata in tre blocchi, nessuno dei quali in possesso della maggioranza su cui far nascere un governo con un chiaro colore politico. L’incertezza su quale sarà il futuro governo del secondo paese della UE e unica potenza nucleare europea sta preoccupando i mercati, o, per dirla in altri termini, il grande capitale finanziario francese ed europeo. Del resto la Borsa francese all’indomani delle elezioni è calata dello 0,63%. A destare preoccupazione, una volta sventato il pericolo rappresentato dalla estrema destra, temuta per il suo euroscetticismo e per le posizioni sulla guerra in Ucraina, è la vittoria relativa del Nuovo fonte popolare (Nfp) e in particolare l’egemonia che all’interno di esso esercita il partito di estrema sinistra de La France Insoumise (LFi) guidata da Melenchon. Infatti, il programma di Melenchon metterebbe in crisi il percorso di austerità iniziato dal governo Macron, che ha raggiunto il suo apice con l’approvazione della legge sulla controriforma delle pensioni, che è stata varata senza il voto del Parlamento, un autentico vulnus alla sovranità popolare esercitata attraverso il legislativo. Senza contare che LFi ha posizioni tutt’altro che allineate sulla guerra in Palestina e in Ucraina. L’obiettivo dei mercati è quindi quello di far fuori Melenchon e LFi e puntare su un governo di coalizione guidato o da un politico di cui hanno fiducia, come il socialista ed ex presidente della Repubblica Hollande, o da una figura “tecnica” come si fece in Italia con Monti e Draghi.

Una cosa però è chiara: qualsiasi governo verrà formato avrà sul collo il fiato della finanza francese e internazionale. Il problema è che la Francia è un paese non solo in grave crisi sociale, come provano le numerose e imponenti lotte di massa che si sono succedute in questi anni, ma anche economica, politica, e geopolitica.

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Leonardo Mazzei: Sei cose sulla Francia (e non solo)

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Sei cose sulla Francia (e non solo)

di Leonardo Mazzei

fronte
popoare .jpgDunque, anche il secondo turno delle elezioni legislative francesi è alle nostre spalle. I giornaloni enfatizzano la sconfitta del Rassemblement National (RN) e la relativa tenuta di Macron. Il clima è di scampato pericolo: l’Ue può andare avanti con Ursula Pfizer von der Leyen ed il fronte anti-russo non perderà pezzi. Sacrifici e guerra son dunque garantiti. Questa la sostanza del sospiro di sollievo dei media del regime.

Che i loro auspici si realizzino è tutto da vedere, ma per lorsignori questo è il momento dei festeggiamenti. Guai ad ogni analisi che vada un po’ più a fondo. A ogni ragionamento che turbi i loro sogni. Stessa cosa a “sinistra”, dove l’arte del prender fischi per fiaschi è da gran tempo la più praticata.

Proviamo allora a fornire qualche spunto di riflessione, tanto su ciò che è accaduto, quanto su quello che potrebbe accadere.

 

  1. L’effetto distorsivo dei sistemi elettorali

Nella pittoresca “sinistra” italiana ci si esalta sia per la “travolgente” vittoria dei laburisti in Gran Bretagna (mica son massimalisti loro…), sia per la “grande” sconfitta dei lepenisti in Francia. Davvero un clamoroso paradosso, reso possibile solo dai meccanismi distorsivi delle leggi elettorali. Nessuno che dica che se in Francia si fosse votato con il sistema inglese, Bardella si sarebbe già insediato a Palazzo Matignon, con un’ampia maggioranza di seggi in parlamento.

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Sergio Leoni: “Un avamposto del progresso” di Joseph Conrad

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“Un avamposto del progresso” di Joseph Conrad

di Sergio Leoni

Quando la letteratura, senza divenire stucchevole pamphlet e rimanendo alta letteratura, si fa denuncia dell’orrore del colonialismo

1024px map of the belgian congo wdl59La domanda, che per la verità interroga praticamente tutta la produzione letteraria di Joseph Conrad, in questo racconto prende la forma specifica del chiedersi se in questo caso l’autore si rifaccia in qualche modo ad un fatto realmente accaduto, di cui gli deve essere arrivata voce in uno dei tanti scali marittimi in cui approdava nel suo ruolo di capitano (ruolo che svolse, alla fine di un cursus espletato essenzialmente nella marina mercantile inglese, dopo averne ricoperto praticamente tutti i gradi), o se si sia trattato “soltanto” di un’opera di fantasia che, al limite, potrebbe essere ritenuta dall’autore stesso come emblematica di una situazione che egli deve aver sperimentato nei suoi numerosi viaggi.

Domanda oziosa tuttavia, perché, seppure alla luce di una sbrigativa analisi, non è difficile comprendere due fatti assodati che, rispetto al caso di questo scrittore polacco che sceglie l’inglese come sua lingua letteraria, sembrano poter contenere o almeno dare un primo contorno all’idea di letteratura che Conrad persegue senza scosse lungo tutta la sua vita letteraria. Da un lato, si intende dire, la verosimiglianza, la credibilità delle situazioni che sono l’ossatura sia del suoi romanzi (Nostromo, Sotto gli occhi dell’Occidente, romanzi di uno spessore notevole, non solo quanto a “dimensioni”, ma anche nei termini dello sviluppo più complesso delle storie narrate), e, insieme, un addentrarsi in territori in cui il principio di realtà non è essenziale e se non è sostituito da una fantasia slegata dal senso comune, pure spazia in territori più aperti a suggestioni (Freya delle sette isole, un racconto breve).

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Giacomo Gabellini: Il rapporto della Banca mondiale che certifica il fallimento della strategia contro la Russia

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Il rapporto della Banca mondiale che certifica il fallimento della strategia contro la Russia

di Giacomo Gabellini

All’inizio di luglio, la Banca Mondiale ha pubblicato il suo rapporto annuale che fornisce una classificazione dei Paesi del mondo sulla base dei livelli di reddito, misurati secondo il criterio del reddito nazionale lordo pro capite. Il documento evidenza in primo luogo che tra il 1987 e il 2023, la quota di Paesi a basso reddito è letteralmente crollata nella regione dell’Asia meridionale (dal 100 al 13%) e sensibilmente aumentata in Medio Oriente e Nord Africa (da 0 al 10%), mentre il macrogruppo che riunisce i Paesi ad alto reddito si è allargato in America Latina e nei Caraibi (dal 9 al 44%) e ridimensionamento in Europa e Asia centrale (dal 71 al 69%).

Le alterazioni maggiormente significative segnalate dalla Banca Mondiale all’interno del documento riguardano anzitutto l’Iran, passato dalla categoria dei Paesi a reddito medio-basso a quella dei Paesi a reddito medio-alto di concerto con Algeria, Mongolia e Ucraina. L’economia della Repubblica Islamica è cresciuta del 5,0% nel 2023, trainata principalmente dalle esportazioni di petrolio e dalle entrate derivanti dall’espansione dei servizi e della produzione manifatturiera. Di conseguenza, il reddito nazionale lordo è aumentato del 39,5% in termini nominali.

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Francesco Prandel: La roulette russa

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La roulette russa

di Francesco Prandel

Oggi lo psicopatico non si aggira furtivo come un topo di fogna nei vicoli bui, come nei film dei gangster degli anni Trenta, ma sfila nelle macchine blindate durante le visite di Stato, amministra intere nazioni, invia rappresentanti alle Nazioni Unite.

James Hilman.

Il rischio R si calcola moltiplicando la probabilità P che si verifichi un evento dannoso per l’entità D del danno che verrebbe arrecato da quell’evento (R=P´D). Negli ultimi mesi ho avuto modo di confrontarmi con diverse persone sul rischio che l’attuale situazione geopolitica degeneri in un conflitto nucleare globale. Salvo in alcuni casi, ho avuto l’impressione che questo rischio sia largamente sottovalutato. A mio avviso molti sottostimano la probabilità P, altri il danno D, altri ancora entrambi i fattori.

La probabilità P che si arrivi in tempi brevi a una guerra nucleare mondiale viene in genere ritenuta piuttosto bassa sulla base del seguente argomento: nessuno dei contendenti è stupido, tutti sanno che la guerra nucleare non ammette vincitori, che porterebbe alla mutua distruzione assicurata, per cui nessuno premerà il pulsante per primo. L’argomento forse ha una sua plausibilità, ma trascura due aspetti non trascurabili.

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Gianfranco Apuzzo: I libri che non ci saranno

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I libri che non ci saranno

di Gianfranco Apuzzo

I libri di storia che non ci saranno daranno la colpa a Vladimir Putin. Non scriveranno che molti paesi europei per prima l’Italia ha violato l’articolo 11 della sua costituzione. Non scriveranno che chiunque abbia tentato azioni diplomatiche per porre fine alla guerra in Ucraina è stato accusato del contrario. Non scriveranno neanche dei 10 km di bambini morti in Palestina. I libri di storia non spiegheranno che l’Ucraina doveva rimanere un paese neutrale, per garantire alla ex Unione Sovietica e poi alla Russia una zona franca. Non potranno argomentare sul fatto che il popolo era alla mercé di folli eugenisti, di orripilanti figure che facevano del transumanesimo la loro gloria, di ricchi talmente ricchi da essere annoiati anche dalla loro ricchezza, e quindi per sentirsi vivi dovevano porre fine alla vita degli altri, di quelli che loro stessi definivano i vuoti a perdere, i dormienti. I libri di storia non scriveranno che la causa dello scoppio della terza guerra mondiale era stata una guerra fortemente e stupidamente voluta dalla NATO. Non potranno scrivere che la NATO era una organizzazione nata per fabbricare guerre in nome della santa economia. Ciò che interessava non era più la ricchezza ma il potere. Il sentirsi dei creatori onnipotenti dei simil Dei.

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Redazione: Fallito attentato a Trump. Praticamente ha già vinto

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Fallito attentato a Trump. Praticamente ha già vinto

di Redazione

Donald Trump è stato colpito da un proiettile mentre parlava a un comizio in Pennsylvania. Lo ha confermato il procuratore di Butler, precisando che l’attentatore è stato ucciso dalla polizia e c’è almeno un’altra vittima. Subito dopo essere stato colpito e mentre il Secret Service lo stava portando via dal palco, Trump ha chiesto ai suoi agenti di fargli prendere “le sue scarpe”.

“Il mio nome è Thomas Matthew Crooks. Odio i repubblicani, odio Donald Trump”. Si presenta così sul suo profilo Facebook il ventenne che ha sparato all’ex presidente degli Stati Uniti Trump durante una manifestazione in Pennsylvania. Secondo l’Fbi però il ventenne era inserito nel registro degli elettori repubblicani. L’autore degli spari sul comizio di Donald Trump non aveva documenti di identificazione. L’uomo che da un tetto ha sparato con un fucile in stile Ar sul comizio di Donald Trump è stato ucciso da un cecchino dei servizi di sicurezza.

“Il presidente Trump sopravvive a questo attacco, ha appena vinto le elezioni”, ha detto il deputato del Wisconsin Derrick Van Orden a Politico in una breve intervista poco dopo la sparatoria.

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Fulvio Grimaldi: 75° NATO: Liberi tutti nel manicomio. 33 assassini di massa a Washington

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75° NATO: Liberi tutti nel manicomio. 33 assassini di massa a Washington

E per Trump, dopo i demo-giudici, la fucilata

di Fulvio Grimaldi

“Spunti di riflessione” Per “Il ringhio del bassotto” Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi

https://youtu.be/gTjY4N0awMU

https://www.youtube.com/watch?v=gTjY4N0awMU

Hanno sparato a Trump e poi si sono premurati di uccidere il presunto sparatore. Non parlerà più. Cose già viste. Solo che Kennedy è morto e con Trump hanno toppato. Anzi, gli hanno garantito la vittoria. Sempre che non ci riprovino. Ma partiamo da dove i mandanti si erano riuniti.

Vi hanno riferito tutto sulla consorteria del culto della morte convocata a Washington per celebrare 75 anni di tentativi di divorare questo pianeta, finendo per essere anche gli esecutori testamentari di quanto ne resterà una volta finished the job.

Finish the job”, finire il lavoro, è la minaccia che il comander in chief rantola nel suo deliquio senile ai cartonati che si sono presentati a una cerimonia che, per una setta di tal fatta, non poteva non essere di natura funeraria.

Questione: funerale di chi? Loro o nostro? Degli esecutori di Hiroshima e Nagasaki e dei successivi circa 50 milioni di vittime delle guerre USA-NATO. O di chi si ostina a sopravvivere?

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