[SinistraInRete] Fabio Ciabatti: I Grundrisse secondo David Harvey, tra totalità e doppia coscienza

Rassegna – 19/07/2024

 

Fabio Ciabatti: I Grundrisse secondo David Harvey, tra totalità e doppia coscienza

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I Grundrisse secondo David Harvey, tra totalità e doppia coscienza

di Fabio Ciabatti

David Harvey, Leggere i Grundrisse. Un viaggio negli appunti di Karl Marx, Edizioni Alegre, Roma 2024, pp. 526, € 26,60

Parte prima

I Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica di Karl Marx, conosciuti anche come i Grundrisse, sono un testo “eccitante, frustrante, ingegnoso, ma anche ripetitivo ed estenuante”, sostiene David Harvey, eminente marxista britannico che ha scritto nel 2023 un commentario a questa opera, tradotta da poco in italiano per le Edizioni Alegre con il titolo Leggere i Grundrisse. Quando leggiamo questo scritto dobbiamo considerare che si tratta di appunti di lavoro non destinati alla pubblicazione in cui Marx parla fondamentalmente a sé stesso “attraverso qualsiasi strumento o idea a portata di pensiero, pronto a scatenare un flusso di coscienza in grado di proiettare su carta possibilità e interrelazioni che potevano o non potevano rilevarsi importanti per i suoi studi più ragionati”. In questo testo, scritto tra il 1857 e il 1858, troviamo dei “passaggi in cui Marx getta alle ortiche ogni cautela” dando spazio a “intuizioni geniali, drammatiche e spesso sbalorditive per le possibili implicazioni”.1

Insomma, i Grundrisse possono certamente letti come un testo preparatorio al Capitale, che vedrà la luce un decennio dopo, ma ci offrono anche di più. Perché si spingono oltre le conclusioni del Capitale, opera in cui Marx costringe sé stesso a un rigore metodologico che gli impedisce di anticipare qualsiasi risultato fino a che lo svolgimento del ragionamento non abbia ancora posto tutti gli elementi necessari per trattare l’argomento. Rigore senz’altro condivisibile. Peccato che Marx abbia realizzato solo una piccola parte del suo immane progetto di lavoro e questo ci privi di molte delle conclusioni cui voleva arrivare.

Per quanto spesso dispersivi, i Grundrisse hanno comunque un focus ben definito e cioè “l’elaborazione esatta del concetto di capitale” che risulta necessaria poiché, ci dice Marx,

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Larry Romanoff: American dystopia – La maschera della propaganda e la sindrome dell’utopia (revisited)

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American dystopia – La maschera della propaganda e la sindrome dell’utopia (revisited)

di Larry Romanoff per Blue Moon of Shanghai

nouvvc.pngIn un articolo del NYT sulla “democrazia razziale” (o democrazia razzista) dell’America [1], Jason Stanley e Vesla Weaver hanno osservato che “la filosofa Elizabeth Anderson ha sostenuto che quando gli ideali politici divergono molto dalla realtà, gli ideali stessi possono impedirci di vedere il divario. Quando la storia ufficiale differisce molto dalla realtà della pratica, la storia ufficiale diventa una sorta di maschera che ci impedisce di percepirla”.

Ciò significa che se la propaganda non solo è incessante e pervasiva, ma se i suoi principi sono troppo lontani dalla verità fattuale, le vittime di questa propaganda perdono la capacità di separare i fatti dalla finzione e diventano incapaci di riconoscere la discrepanza tra le loro credenze e le loro azioni, credendo che le loro azioni corrispondano ai principi di ispirazione religiosa della loro propaganda anche quando palesemente e ovviamente non corrispondono. La teoria non è intuitivamente ovvia, ma è fortemente supportata dai fatti. Forse è per questo motivo che gli americani sono colpevoli di quella che io chiamo “la sindrome dell’utopia”, in quanto si confrontano non con il mondo reale delle loro azioni ma con qualche standard utopico che esiste solo nella loro immaginazione, un mondo di fantasia e di illusioni in cui loro soddisfano gli standard ma tutti gli altri no. In quest’ottica, è possibile che molto di ciò che attribuiamo all’ipocrisia americana sia in realtà dovuto a un tipo di follia di massa peculiarmente americana.

I dizionari definiscono generalmente “l’aberrazione” come una deviazione dal normale o dal tipico, un evento o una caratteristica che può essere sgradevole o addirittura criminale, ma che si incontra raramente.

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Alessandro Carrera: Benvenuto in America, Mister Trump

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Benvenuto in America, Mister Trump

di Alessandro Carrera

Fotografia di Evan Vucci Associated
Press .jpgL’inquadratura di Donald Trump che con il sangue che gli cola sulla guancia alza tre volte il pugno e grida alla folla “Lottate!” (Fight!) non è l’unica cosa da osservare con attenzione nel video del suo tentato assassinio. Ma vediamo prima che cosa entrerà nella storia. Qualunque stratega elettorale sceglierebbe la fotografia della Associated Press, scattata mentre Trump scende dal palco. La descrizione che ne ha fornito Benjamin Wallace-Wells sul “New Yorker” (versione online), è da leggere con attenzione. Traduco qui il primo paragrafo:

“Quasi subito dopo gli spari al comizio di Donald Trump a Butler, in Pennsylvania, l’ex Presidente ha avuto un sussulto sul palco, si è portato una mano al viso ed è caduto a terra. Negli attimi di caos che sono seguiti, Trump è stato aiutato a rialzarsi dagli agenti del Servizio Segreto e ha dato una prova definitiva di vita: ha alzato il pugno destro verso il cielo e ha urlato alla folla “Lottate!”. Nella foto circolata poco dopo, scattata da Evan Vucci dell’Associated Press, Trump è stagliato contro un cielo azzurro e limpido, mentre quattro agenti del Servizio Segreto lo stringono. Uno di loro guarda dritto nell’obiettivo, gli occhi protetti dagli occhiali scuri. Una bandiera americana sembra quasi veleggiare sulla scena. Trump ha le labbra serrate, gli occhi stretti e il mento un poco sollevato. Strisce di sangue colano dall’orecchio destro e sulla guancia. Lo sguardo è rivolto ben oltre quello che la macchina fotografica può catturare – al pubblico, al futuro – ed è uno sguardo di sfida. Chiunque abbia cercato di ucciderlo, ha fallito. È già l’immagine indelebile della nostra epoca di crisi e di conflitto politico” (The Attempt on Donald Trump’s Life and an Image That Will Last | The New Yorker).

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coniarerivolta: Profitti facili. Come le banche si sono arricchite sulle nostre spalle

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Profitti facili. Come le banche si sono arricchite sulle nostre spalle

di coniarerivolta

Gli ultimi due anni hanno visto il ritorno sulle scene di un protagonista che sembrava sparito dal dibattito economico: l’inflazione. L’uscita dal periodo pandemico prima e lo scoppio del conflitto in Ucraina poi sono stati i due fattori detonanti, amplificati dal tentativo (riuscito) dei padroni di approfittare dell’aumento del costo di varie materie prime per aumentare ulteriormente i prezzi e i propri profitti. In questo contesto, la risposta delle Banche Centrali delle principali economie avanzate e della Banca Centrale Europea in particolare è stata la solita: aumentare i tassi di interesse a tutto spiano allo scopo di creare disoccupazione e indurre i lavoratori ad accettare riduzioni dei propri salari e farsi carico di tutto il peso del contenimento dell’inflazione.

Dopo mesi e mesi e mesi di questa politica monetaria scriteriata, la BCE – così come le altre principali Banche Centrali – ha timidamente invertito la tendenza e ha iniziato ad abbassare i principali tassi di interesse sotto il suo controllo, con l’obiettivo di indurre una riduzione dei tassi di interesse che la persona comune si trova a fronteggiare quando richiede un prestito, e che sono stabiliti dalle banche commerciali.

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Giacomo Marchetti: Civil War, negli Stati Uniti

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Civil War, negli Stati Uniti

di Giacomo Marchetti

Il 15 settembre del 2008, Lehman Brothers, la quarta più grande banca d’affari degli Stati Uniti, dichiarava bancarotta, facendo deflagrare la più virulenta crisi finanziaria ed economica globale dalla Grande Depressione del 1929.

Se dovessimo scegliere una data “periodizzante” per l’inizio della fine dell’Impero Americano, dovremmo optare per quella, mentre se dovessimo indicare un aspetto eclatante in cui si è manifestata apertamente dovremmo ricordare la gestione criminale dell’emergenza pandemica sotto Trump, o l’incapacità degli USA di superare il razzismo strutturale derivato dal proprio “passato” schiavistico.

Se gli avvenimenti legati alla pandemia e alle mobilitazioni successive alla morte di George Floyd, al netto della rimozione strutturale che le élite occidentali tentano di fare di fatti epocali, sono più freschi nella memoria, forse occorre ricordare meglio quelli di più di 15 anni fa.

Il rialzo dei tassi d’interesse dall’anno precedente (2007) e lo sgonfiamento della bolla immobiliare, avevano fatto crollare i prezzi del real estate con molti dei debitori che avevano avuto accesso ai mutui senza dovere fornire di fatto garanzie. A un certo momento, non furono più in grado di pagare le rate del mutuo con gli immobili che non valevano quanto il prestito ipotecario contratto per acquisirli.

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Roberto Iannuzzi: Il futuro di Gaza è un incubo senza fine

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Il futuro di Gaza è un incubo senza fine

di Roberto Iannuzzi

Si prospetta per Gaza un’occupazione militare a tempo indeterminato, mentre per la prima volta l’ONU ha parlato esplicitamente di una “riduzione della popolazione” in corso nella Striscia

L’operazione militare israeliana a Shujaiya (quartiere orientale di Gaza City), cominciata più di due settimane fa, si è trasformata da lunedì scorso in un nuovo attacco su vasta scala all’intera capitale della Striscia.

I perentori ordini di evacuazione israeliani, che hanno riguardato il 70% dell’area urbana, hanno colto di sorpresa i circa 300.000 residenti rimasti a Gaza City, obbligandoli a una fuga precipitosa.

Avendo Israele di nuovo posto sotto assedio praticamente l’intera città, gli sfollati sono rimasti intrappolati nella zona delle operazioni militari, sotto uno dei bombardamenti più violenti mai registratisi dall’inizio della guerra.

Il conflitto sembra destinato a non aver fine. Mentre l’esercito israeliano lanciava la sua offensiva a Rafah, nell’estremo lembo meridionale della Striscia al confine con l’Egitto, Hamas contrattaccava in diverse zone nel nord dell’enclave palestinese.

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Vincenzo Comito: La deindustrializzazione spinge a destra

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La deindustrializzazione spinge a destra

di Vincenzo Comito

La Cina esporta quasi il doppio degli USA, ha 7 dei 10 più importanti porti, è leader nella produzione di auto e sempre più autonoma in quella di chip. La delocalizzazione ha distrutto il tessuto produttivo in Occidente, impoverito la classe lavoratrice e favorito l’avvento delle destre

I recenti risultati elettorali in Gran Bretagna e Francia confortano non poco. Ma certamente non tolgono la necessità di interrogarsi a fondo sulle ragioni profonde della forte spinta politica verso la destra, anche estrema, che da anni si va registrando nell’Unione europea e negli Stati Uniti. Disponiamo già di autorevoli commenti su diversi aspetti della questione: chi scrive vorrebbe apportare un modesto contributo alla discussione ricordando alcuni temi – non tutti – correlati all’economia.

Da questo punto di vista si vuole in particolare sottolineare come i movimenti politici di destra siano anche conseguenza di un processo di deindustrializzazione varato a suo tempo dai paesi occidentali, che hanno decentrato molte attività produttive verso il Sud del mondo, alla ricerca di risparmi nel costo della manodopera e di altri fattori produttivi, nonché nell’ambito di un tentativo generale di estendere il loro dominio economico e politico sul pianeta.

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Alberto Bradanini: Il vertice Nato di Washington e il crepuscolo dell’impero atlantico

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Il vertice Nato di Washington e il crepuscolo dell’impero atlantico

di Alberto Bradanini

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Alla lettura del comunicato finale del vertice Nato, tenutosi a Washington il 10 luglio 2024 (celebrativo, si fa per dire, del suo 75.esimo compleanno), si verrebbe sopraffatti da una profonda tenerezza se tale rito funesto non confermasse l’angoscia delle persone dotate di senno davanti al rischio di un olocausto che porrebbe fine al genere umano.

Coloro che siedono su tali prestigiosi scranni non amano guardare in volto la realtà sebbene essa sia luminosa come il sole a mezzogiorno, preferendo la pratica sistematica della Menzogna, nel caso di specie somministrata con la redazione di documenti così grotteschi e mistificatori che la metà basta a stordirci per l’eternità.

Per dar senso compiuto all’esistenza, gli antichi saggi invitavano a guardare in volto la realtà poiché nei limiti nell’umana esperienza essa deve assumersi quale sinonimo di verità. A quest’ultima occorre piegarsi anche quando fa male e non si vorrebbe vederla, quando smentisce illusioni o false certezze o quando le conseguenze della sua presa d’atto richiederebbero di cambiar mestiere. Di tutta evidenza, però, la saggezza non è moneta corrente presso le nostre modeste classi dirigenti.

Pochi ahimè sembrano sorprendersi che il Potere (dal quale, come affermava Platone, provengono gli uomini peggiori!) ignori impunemente i popoli la cui volontà e sentimenti affermano di rispecchiare. Del resto, è legittimo il sospetto che il degrado intellettivo di cui soffre l’attuale inquilino della Casa Bianca si sia esteso ai suoi colleghi dell’Alleanza Atlantica, magari in forme mediche diversamente rilevabili e con qualche eccezione, che non fa tuttavia la differenza.

Tornando all’indigeribile documento, composto da 5.362 parole e 36.615 battute, esso proietta uno sguardo minaccioso su quella parte del pianeta che non intende piegarsi alle violenze e prevaricazioni dell’impero bellicista, ormai per di più, privo di egemonia.

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Marco Consolo: Sul fallito golpe in Bolivia

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Sul fallito golpe in Bolivia

di Marco Consolo

Bolivia
golpe.jpgIl 26 giugno scorso il mondo è stato testimone dell’ennesimo tentativo di golpe nello Stato Plurinazionale della Bolivia, per il momento fallito.

Da subito si sono susseguite interpretazioni più o meno interessate a costruire una matrice di opinione (auto-golpe del Presidente Luis Arce) o fantasiose ricostruzioni sulla rivalità tra Evo Morales e Luis Arce in base alle rispettive “simpatie” per la Russia o la Cina, le cui imprese hanno firmato contratti con il governo boliviano. Mi sembra importante evitare le ricostruzioni sempliciste, superficiali o manichee. Come sempre accade, i tentativi di golpe sono complessi e con molte varianti, con diversi ballon d’essai, tentativi in progress, esperimenti. E non tutte le ciambelle riescono col buco.

Ma andiamo con ordine.

 

Una prima ricostruzione dei fatti

La mattina del 26 giugno, alla testa di un manipolo di soldati e diversi autoblindo, il Gen. Juan José Zuñiga, fino ad allora a capo dell’Esercito, appare in Plaza Murillo, sede del palazzo presidenziale al centro della capitale La Paz. Il generale Zuñiga cerca di entrare nella Casa Grande del Pueblo (sede del Governo), con le truppe d’élite nascoste dietro i passamontagna e armate fino ai denti.

Nelle ore precedenti, in un’intervista televisiva, il generale aveva accusato di qualsiasi nefandezza l’ex-presidente Evo Morales, e aveva minacciato di “arrestarlo” (senza nessun tipo di sentenza giuridica) se si fosse candidato alla presidenza nel 2025. Il giorno prima, nonostante quelle dichiarazioni, Zuñiga non era stato destituito ipso-facto dal Presidente Arce per la violazione della legge boliviana sulle FF.AA., la cosiddetta LOFA.

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Gianandrea Gaiani: Ucraina nella NATO? Di irreversibile c’è solo la morte

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Ucraina nella NATO? Di irreversibile c’è solo la morte

di Gianandrea Gaiani

ebc2ebd0 deb9 47e6 b064
e0516e48d5f0.jpgIl bilancio del summit NATO di Washington per i 75 anni dell’Alleanza Atlantica sembra confermare la tendenza dell’Occidente a cercare il confronto militare con la Russia e quella degli Stati Uniti e dei loro vassalli a lasciare un’Europa sempre più debole sul piano politico, militare, sociale ed economico.

La prima tendenze sembra destinata a restare immutata almeno fino alle elezioni di novembre negli Stati Uniti mentre la tendenza a mantenere l’Europa debole verrà mantenuta e rafforzata anche dalla futura amministrazione statunitense perché rientra negli interessi di Washington indipendentemente dal fatto che alla Casa Bianca sieda un democratico o un repubblicano.

Tra i protagonisti del summit di Washington vi sono stati Joe Biden (giudicato da alcuni irrimediabilmente da sostituire nella corsa alla Casa Bianca e da altri “molto lucido” nonostante qualche gaffe) e il segretario generale della NATO, Lens Stoltenberg, che presto cederà lo scranno all’olandese Mark Rutte, un altro fedelissimo scudiero degli interessi di statunitensi.

Dopo aver annunciato che l’adesione dell’Ucraina alla NATO è questione “di quando, non di se”, Stoltenberg ha definito l’accesso di Kiev all’alleanza come “irreversibile”. Questione ribadita in modo perentorio dal premier estone Kaja Kallas, sempre in prima linea sul fronte anti-russo e candidata a ricoprire il ruolo di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea.

Utile ricordare che tra le sue tante dichiarazioni bellicose brilla per lucidità strategica l’auspicio di una Russia sconfitta e divisa in 16 repubbliche in lotta tra loro: scenario così destabilizzante da minacciare la sicurezza mondiale anche solo perché rischierebbe di portare alla perdita del controllo su oltre 6.500 testate nucleari.

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Gioacchino Toni: Monopoli Big Tech

carmilla

Monopoli Big Tech

di Gioacchino Toni

Cory Doctorow, Come distruggere il capitalismo della sorveglianza, traduzione del Gruppo Ippolita, Mimesis, Milano-Udine, 2024, pp. 156, € 16,00

«Il monitoraggio permette ai ricchi e ai potenti di capire chi sta pensando di costruire ghigliottine e quale macchina del fango possono adoperare per screditare questi progetti prima ancora che arrivino al deposito di legname». Così scrive Cory Doctorow nel suo nuovo libro ruotante attorno alla convinzione che buona parte del successo delle Big Tech derivi dal controllo monopolistico sulla comunicazione e sul commercio; monitorare efficacemente gli utenti/clienti e controllare fette importanti del panorama dell’informazione significa intuire prima dei concorrenti cosa e come gli individui siano propensi ad acquistare. «Il dominio, cioè il fatto di diventare un monopolista (e non i dati in sé) è il fattore decisivo che rende ogni tattica degna di essere perseguita, perché il dominio monopolistico priva il suo target-cliente di una via di fuga».

Secondo Doctorow, l’analisi del capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff tende a sovrastimare la capacità di persuasione delle tecniche a cui ricorre tale sistema; l’efficacia, comunque di breve durata, di tali tecniche sarebbe in realtà ben meno rilevante di quel che gli stessi colossi tecnologici millantano.

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Sergio Cararo: “Il nemico interno”. Anche in Italia i liberali gettano la maschera

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“Il nemico interno”. Anche in Italia i liberali gettano la maschera

di Sergio Cararo

Qualche giorno fa era stato Angelo Panebianco a rompere i freni inibitori e a evocare in un editoriale sul Corriere della Sera la categoria del “nemico interno da battere” in un contesto di forte crisi internazionale.

Domenica, e non poteva mancare, è stato il direttore de La Repubblica, Molinari, a fare altrettanto, sottolineando “l’estensione della guerra segreta che, dal veleno sui social network ai piani di eliminazione fisica, Mosca e i suoi alleati stanno conducendo dentro i confini dei nostri Paesi”. Ovviamente Molinari aggiunge qualche di nota di servizio pro domo a Israele e contro l’Iran.

Per Panebianco “La crescita del «nemico interno» (le forze anti-sistema) può essere favorita da cambiamenti negli equilibri internazionali. Cambiamenti che innescano circoli viziosi: la governabilità è vieppiù compromessa, l’insoddisfazione degli elettori cresce, le forze anti-sistema guadagnano spazi e influenza”.

Per Molinari invece, il problema è certo la longa manu della Russia nei paesi occidentali, ma è anche il sostegno iraniano alle proteste anti-Israele in America che “descrivono i contorni della guerra segreta che Mosca e i suoi alleati stanno conducendo sui territori del loro avversario: i Paesi democratici”.

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Giacomo Gabellini: Una minaccia (esistenziale) per l’Unione Europea

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Una minaccia (esistenziale) per l’Unione Europea

di Giacomo Gabellini

Secondo quanto rivelato da «Bloomberg» sulla base di confidenze rese da fonti dotate di familiarità con l’argomento, l’Arabia Saudita avrebbe ventilato la possibilità di scaricare le proprie detenzioni di titoli di Stato europei qualora il G-7 avesse proceduto alla confisca dei circa 300 miliardi di dollari che la Bank of Russia deteneva presso istituti europei (francesi, tedeschi e belgi in primis) e sottoposti a congelamento come ritorsione per l’invasione russa dell’Ucraina.

Nei mesi scorsi, Stati Uniti, Gran Bretagna e Paesi membri dell’Unione Europea avevano discusso l’opzione relativa al riciclo delle riserve di proprietà della Banca Centrale russa in funzione di sostegno all’Ucraina. Dopo una serie di valutazioni, il gruppo ha stabilito, nonostante le pressioni esercitate da Washington e Londra a favore dell’adozione di un soluzione massimalista, lo sfruttamento dei soli interessi e profitti generati dai depositi russi. La prevalenza della linea “moderata” nasce dalla necessità tassativa di evitare lo scatenamento di un tremendo shock economico destinato inesorabilmente a innescare catastrofiche fughe di capitali destinate, con ogni probabilità, a dissestare i conti pubblici di diversi Paesi europei e a mettere perfino a repentaglio la sopravvivenza dell’euro.

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Davide Miccione: Inclusione ma non per gli elettori

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Inclusione ma non per gli elettori

di Davide Miccione

Tra i vari parti linguistici da cui è funestato il nostro corpo sociale, tra le “resilienze” e le “fluidità” appare particolarmente odiosa l’“inclusione”. Forse perché sarebbe qualcosa di veramente importante se fosse vera: non lasciare fuori nessuno, non escludere nessuno. Forse perché abbiamo deciso di ribattezzarci “società dell’inclusione” proprio alla fine di un percorso che comprende il crollo della partecipazione democratica e la distruzione del welfare (in particolare sanitario). Eppure la democrazia sarebbe la possibilità per ognuno di noi di esprimere una posizione sul mondo e sulla polis, di partecipare al processo di formazione del nostro vivere civile, di essere dentro e non sotto.

La nostra pretesa invece è quella di essere una società dell’inclusione e al contempo una società dell’emergenza. Un connubio impossibile da realizzare in cui la seconda caratteristica appare come il vero motore e la prima poco più di un paravento. In una società dell’emergenza le opinioni possono essere accettate solo se non mettono a rischio la sedicente gravità dell’emergenza in corso. Le emergenze che si susseguono e si intrecciano non possono includere ma devono segnare il confine tra i buoni e i cattivi, tra gli obbedienti e i disobbedienti.

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