[SinistraInRete] Carla Maria Fabiani: Marx, il marxismo italiano e lo Stato come problema

Rassegna – 21/07/2024

 

Carla Maria Fabiani: Marx, il marxismo italiano e lo Stato come problema

dialetticaefilosofia

Marx, il marxismo italiano e lo Stato come problema

di Carla Maria Fabiani*

hegel e la dialettica riassunto origEs ist der Gang Gottes in der Welt
dass der Staat ist.
Es ist die Gewalt der sich
als Wille verwirklichenden Vernunft.
Hegel

È innanzitutto una falsa astrazioneconsiderare una nazione,
il cui modo di produzione
è fondato sul valore,
e per dipiù
organizzata capitalisticamente,
come un corpo collettivo
che lavora unicamente
per i bisogni nazionali.
Marx

L’autonomia relativa dello Stato
non è un dato,
è una creazione continua.
Suzanne de Brunhoff

§1. Esiste una dottrina dello Stato in Marx? Bobbio e i marxisti italiani negli anni Settanta. Una ricapitolazione sintetica

Vent’anni prima del confronto polemico, aperto da Norberto Bobbio con i marxisti italiani sulle pagine di «Mondoperaio» nel 1975 (Bobbio et al. 1976), il filosofo torinese ingaggiò una accesa discussione con Ranuccio Bianchi Bandinelli, Galvano Della Volpe e Palmiro Togliatti (Bobbio et. al. 1951-1955)1, intorno al problema del rapporto fra libertà e socialismo, democrazia e dittatura, durante il disgelo, seguito alla morte di Stalin, anticipando l’ondata revisionista, che investì la sinistra dopo il XX congresso del PCUS.

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Chris Hedges: Il vecchio male

comedonchisciotte.org

Il vecchio male

di Chris Hedges – chrishedges.substack.com

Dopo vent’anni sono tornato nella Palestina occupata, allora ero un reporter del New York Times. Oggi ho sperimentato ancora una volta il male viscerale dell’occupazione di Israele

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700x430.jpgRamallah, Palestina occupata: Ritorna di colpo, la puzza di fogna, il gemito dei diesel, i lenti veicoli per trasporto truppe israeliani, i furgoni pieni di nidiate di bambini, guidati da coloni dai volti pallidi, certamente non di qui, probabilmente di Brooklyn o di qualche parte della Russia o forse Gran Bretagna. Poco è cambiato. I checkpoint con le loro bandiere israeliane bianche e blu punteggiano le strade e gli incroci. I tetti rossi degli insediamenti coloniali – illegali secondo il diritto internazionale – dominano le colline sopra i villaggi e le città palestinesi. Sono cresciuti di numero e si sono ingranditi. Ma rimangono protetti da barriere antibomba, filo spinato e torri di guardia, circondati dall’oscenità di prati e giardini. In questo paesaggio arido, i coloni hanno accesso a fonti d’acqua abbondanti che ai palestinesi sono negate.

Il tortuoso muro di cemento alto 26 metri che corre lungo i 440 chilometri della Palestina occupata, con i suoi graffiti che invocano la liberazione, i murales con la moschea di Al-Aqsa, i volti dei martiri e il volto sorridente e barbuto di Yasser Arafat – le cui concessioni a Israele nell’accordo di Oslo lo hanno reso, secondo le parole di Edward Said, “il Pétain dei palestinesi” – danno alla Cisgiordania la sensazione di una prigione a cielo aperto. Il muro lacera il paesaggio. Si attorciglia come un enorme serpente antidiluviano fossilizzato che separa i palestinesi dalle loro famiglie, taglia a metà i villaggi palestinesi, divide le comunità dai loro frutteti, dai loro ulivi e dai loro campi, si immerge e sorge dagli wadi, intrappolando i palestinesi in un Bandustan, nella versione aggiornata da parte dello Stato ebraico.

Sono passati più di vent’anni dall’ultima volta che avevo fatto un reportage dalla Cisgiordania. Il tempo sembra non essere passato. Gli odori, le sensazioni, le emozioni e le immagini, la melodiosa cadenzata dell’arabo e i miasmi di una morte improvvisa e violenta che si annidano nell’aria, evocano il male antico. È come se non fossi mai partito.

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Ernesto Screpanti: Liberazione: Il movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente

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Intervista ad Ernesto Screpanti sul suo nuovo libro “Liberazione: Il movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente”

Ringraziamo Gabriele Repaci per averci concesso di pubblicare l’intervista

maxresdefault.jpg1. Professor Screpanti, nel suo ultimo libro Liberazione: Il movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente, edito da Tedaliber e da Punto Rosso (PDF scaricabile gratis da qui: https://www.tedaliber.it/liberazione/), lei contesta la visione della storia come processo di liberazione, cioè di espansione della libertà, definendola una metafisica destituita di ogni pretesa di scientificità. Se in passato, lei sostiene, abbiamo avuto un’evoluzione liberatoria, nulla garantisce che possa andare così in futuro. In altre parole per lei non c’è alcuna ragione per cui la storia debba avere un senso. Quindi, se non ho frainteso ciò che vuole dire, la storia è semmai il campo sterminato di una pluralità di processi, di dinamiche, di una molteplicità di percorsi, che spesso non hanno alcun rapporto tra loro, tanto meno uno di natura causale, ma sono dominati in gran parte dalla casualità e dall’eventualità delle cose.

La tesi che la storia è un processo di liberazione determinato dalle lotte sociali è centrale nel mio libro. È un’interpretazione giustificata da uno studio del passato. Ciò che nego è che esista un senso universale della storia per cui le cose debbano andare necessariamente così anche nel futuro. Sulla base di quella interpretazione possiamo ragionevolmente aspettarci che le lotte continuino ad avere esiti liberatori – possiamo sperarlo ma non possiamo esserne certi. Affermare il contrario equivale a costruire una filosofia metafisica della storia. In un orizzonte temporale ravvicinato possiamo solo dire che in ogni momento si apre una biforcazione tra liberazione e barbarie. In un orizzonte un po’ più lungo possiamo intrattenere quell’aspettativa e quella speranza, se non altro come motivazione della partecipazione alle lotte. In un orizzonte indefinito non possiamo dire nulla.

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Andrea Zhok: Gli autocrati europei e l’immobilismo dei popoli

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Gli autocrati europei e l’immobilismo dei popoli

di Andrea Zhok

I massacri di civili proseguono ininterrottamente a Gaza (l’ultima strage qualche giorno fa a Khan Yunis). Chi non ha la fortuna di essere fatto a pezzi subito, muore spesso dopo una prolungata agonia per la mancanza di cure, perché quasi tutti gli ospedali di Gaza sono stati fatti saltare in aria e mancano gli approvvigionamenti di strumenti, medicinali, rifornimenti di base.

Tra Ucraina e Russia la guerra si fa sempre più incarognita, con vittime civili sempre più frequenti, sabotaggi, incendi dolosi, “incidenti” (ieri uno alla centrale nucleare di Rostov): un conflitto nato come un’operazione limitata, si trasforma ogni giorno di più in una costruzione psicologica dell’odio reciproco, e ciò allontana ogni trattativa di pace – anche laddove qualche tentativo in questa direzione fosse fatto.

Gli USA riportano rampe di lancio nucleari in Germania, dopo aver alimentato il riarmo più massiccio della storia in Polonia e Finlandia. In sostanza tutti i confini occidentali della Russia sono ora per essa una minaccia incombente, proprio mentre una guerra calda per procura è in corso in Ucraina. L’Europa si presenta sempre di più come l’ariete americano puntato contro la Russia. Finirà benissimo.

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Piccole Note: Attentato a Trump: le domande aumentano

piccolenote

Attentato a Trump: le domande aumentano

di Piccole Note

I video dell’attentato, che finalmente compaiono sui media mainstream, sollevano molteplici dubbi sull’apparato di sicurezza. E per non perdere l’abitudine alla “distrazione” ecco la boutade della pista iraniana

I video circolati sul web riguardo l’attentato a Trump hanno impiegato tre giorni perché fossero presi in considerazione dai media mainstream, che con il passar del tempo non hanno potuto più negarli. Così il New York Times racconta del video, “che inizia un minuto e 58 secondi prima che vengano sparati i colpi, in cui la squadra dei Servizi Segreti guarda nella direzione dell’uomo armato attraverso un binocolo e un mirino da cecchino. Si sente il l’uomo che partecipa al comizio e che sta riprendendo il video dire: ‘Uh-oh, sta succedendo qualcosa’”.

Un altro video “mostra che, un minuto e 35 secondi prima della sparatoria, mentre l’attenzione del team dei Servizi Segreti è ancora rivolta verso l’uomo armato, un secondo team di cecchini, posizionato più a sud, si gira da sud a nord, verso l’uomo armato. La breve clip li mostra mentre si girano con le armi e si accovacciano, e poi finisce. Più tardi, mentre vengono sparati i colpi, questo secondo team dei Servizi Segreti viene visto in un altro video nella stessa posizione, davanti all’uomo armato”. Così sappiamo che l’uomo armato era stato visto più di un minuto prima che sparasse… e non è stato fatto nulla.

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Demostenes Floros: Decade l’accordo fra Stati Uniti e Arabia Saudita per il pagamento del petrolio in dollari

analisidifesa

Decade l’accordo fra Stati Uniti e Arabia Saudita per il pagamento del petrolio in dollari

di Demostenes Floros

Il 9 giugno scorso, gran parte dei principali organi di stampa al mondo ha riportato la notizia secondo la quale era ufficialmente scaduto l’accordo relativo al pagamento del petrolio in dollari Usa, promosso cinquanta anni prima tra gli Stati Uniti d’America e l’Arabia Saudita. Di conseguenza, evidenziavano diversi media, OPEC e OPEC plus avrebbero – teoricamente – potuto iniziare a vendere petrolio (e gas naturale), prendendo in controvalore qualsiasi valuta.

Il 12 giugno, inoltre, anche la cancellazione della partecipazione di Mohammed bin Salman Al Saud, principe ereditario della monarchia saudita, al vertice del G7, programmato dal 13 al 15 giugno, in Italia, era riconducibile secondo i media al mancato rinnovo del sopracitato accordo.

 

La fine del Gold Exchange Standard e lo shock petrolifero

Nel 1971, gli Stati Uniti posero fine al sistema di Bretton Woods (Gold Exchange Standard), basato sui tassi di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro, il quale, a sua volta, era agganciato all’oro.

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Giuseppe Masala: Ritorno al futuro: cosa accadrà in politica estera con il Trump 2

lantidiplomatico 

Ritorno al futuro: cosa accadrà in politica estera con il Trump 2

di Giuseppe Masala

E’ davvero difficile ipotizzare cosa possa accadere se Trump diventerà Presidente degli Stati Uniti per un secondo mandato dopo l’attentato di cui è stato vittima qualche giorno in Pennsylvania. Tuttavia è giusto provare a fare una previsione anche in considerazione del fatto che il suo indice di gradimento tra gli elettori degli Stati Uniti è salito alle stelle dandogli enormi possibilità di vittoria nella disfida elettorale di Novembre.

– Le gravissime condizioni dei conti con l’estero USA rimangono drammatiche chiunque sia il futuro presidente. Al problema bisogna trovare una soluzione, indipendentemente da chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. In più di una circostanza Trump ha agito (nel suo primo mandato) per favorire l’economia reale anche a discapito di quella fabbrica di dollari sintetici che è Wall Street e che paradossalmente si alimenta dello stesso squilibrio dei conti con l’Estero (almeno fino a quando i paesi creditori non troveranno una alternativa al dollaro).

Il presidente Trump, durante il primo mandato, aveva dato l’impressione di voler agire per via di accordi e negoziati a livello economico.

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Franco Ruzzenenti: Ambientalismo e sovranità popolare

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Ambientalismo e sovranità popolare

di Franco Ruzzenenti

parco velino 690x335 1.jpgLa questione climatica, ancorché sarebbe auspicabile definirla come la questione ambientale o ecologica, che di questa è solo un paragrafo nel quadro di quella che potremmo chiamare la nuova lotta di classe della fase globalista e postfordista del capitalismo occidentale (una fase che auspicabilmente sta giungendo al suo epilogo) e che vede nell’ambiente uno dei suoi campi di battaglia, è sommamente divisiva e controversa.

Propongo qui una riflessione rivolgendomi a quella nebulosa della sinistra sovranista (o se preferite, di ispirazione socialista o più genericamente antisistema, ma mi rivolgo a tutti coloro che, pur dichiarandosi di sinistra, non si riconoscono in quelle forze politiche progressiste, esplicitamente o larvatamente, filo-capitaliste e cripto-neoliberiste) e perché osservo talvolta con divertito stupore, talvolta con preoccupato rammarico, la faglia che si sta aprendo sul tema del clima nell’area politica in cui mi riconosco. Una faglia paragonabile per dimensione ed esizialitá a quella che abbiamo vissuto durante la ultima epidemia e seguenti, controverse, misure sanitarie e presunte tali (e sull’analogia tra le due questioni potrei insistere, ma preferisco soprassedere proprio per evitare l’esacerbarsi di quelle faziosità già dolorosamente vissute da tutti noi).

Questa riflessione aggiunge qualcosa, forse poco, al bel numero de La Fionda, Contro il Green[1], che sviscera l’argomento (della questione ecologica come terreno di battaglia politica) da prospettive giuridiche, economiche e filosofiche con solide e non banali argomentazioni, ma che evita, forse volutamente, di affrontare direttamente la questione climatica e il suo potenziale divisivo in seno alla sinistra anticapitalista.

Mi è d’obbligo oltre che dichiarare la mia affiliazione politica, dichiarare anche quella accademica, onde evitare equivoci o precipitose conclusioni circa i titoli che si hanno o meno per esprimersi su questa annosa e divisiva faccenda.

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Roberto Fineschi: L’onda lunga della crisi del marxismo (tra prassi e teoria)

marxdialectical

L’onda lunga della crisi del marxismo (tra prassi e teoria)

di Roberto Fineschi

Italo Calvino e la crisi del marxismo italiano negli anni Sessanta

vbcjvcht.pngPremessa

La prima difficoltà nell’affrontare il tema proposto nasce dalla articolata definizione della stessa categoria di marxismo. Nel dibattito corrente si tende a distinguere tra (i) Marx come fondatore di una teoria della storia che nasce dall’esperienza pratica e che è capace di conseguenze pratiche, (ii) il marxismo, in generale, come tentativo di applicarla alla realtà con intenti trasformativi e (iii) i marxismi, al plurale, come diversificate modalità attraverso le quali quel tentativo viene concretizzato[1]. Si discute anche di quanto i vari marxismi siano stati coerenti con l’impianto generale della teoria di Marx, oggi in particolare alla luce delle novità emerse con la pubblicazione della nuova edizione storico-critica[2]. In via preliminare mi atterrò a questa articolazione, declinando quindi il tema a partire da una possibile individuazione di quale fosse il peculiare marxismo che entrò in crisi negli anni Settanta; poiché tuttavia caposaldo di questa impostazione è la mediata dialettica di teoria e prassi, di movimento reale e sua trasposizione politica, ritengo necessaria una premessa storico-reale e non meramente teorica. Le riflessioni qui proposte sono di carattere preliminare e da verificare in studi più approfonditi.

 

§1. Il marxismo-leninismo del PCI e la sua evoluzione negli anni Settanta

Credo si debba partire dall’individuazione dei tratti caratterizzanti il marxismo-leninismo del PCI, forma egemone di organizzazione pratica e politica in Italia, adattamento togliattiano di ispirazione gramsciana della tradizione sovietica sul modello del Partito nuovo[3]. Procedendo in maniera estremamente schematica e approssimativa, ritengo si possano individuare alcuni punti chiave:

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Adam Hanieh: La Palestina nel suo contesto. Israele, gli Stati del Golfo ed il potere americano nel Medio Oriente

ilpungolorosso

La Palestina nel suo contesto. Israele, gli Stati del Golfo ed il potere americano nel Medio Oriente

di Adam Hanieh

iychrhjIl saggio del ricercatore di Exeter Hanieh, che proponiamo in traduzione, offre una lettura di ampio respiro della questione israelo-palestinese inerendola nel contesto della vicenda del Medio-Oriente a partire dal secondo-dopoguerra. Hanieh ricostruisce le dinamiche politiche nell’area, divenuta, anzitutto per la dotazione di risorse petrolifere, un luogo strategico della storia del capitalismo contemporaneo. Richiama dunque l’azione spoliatrice e violenta dell’imperialismo occidentale a guida statunitense, che, con lo Stato di Israele come punta di diamante, mostra appieno il suo volto reazionario con la repressione del movimento di lotta anticoloniale, animato dal pan-arabismo, al cui interno, benché in subordine, sono vissute istanze di emancipazione sociale delle masse sfruttate. Hanieh si propone così di scardinare la lettura asfittica e astratta della questione israelo-palestinese, centrata su Israele, Gaza e la Cisgiordania soltanto, la quale priva la lotta dei palestinesi del suo enorme significato storico-politico e induce a credere che il legame tra Occidente e Israele sia un accidente da attribuirsi al semplice lavorio della “lobby ebraica”. Hanieh mostra come in Medio Oriente, viceversa, l’indomita resistenza palestinese costituisca storicamente, e a tutt’oggi, un macigno nella scarpa ferrata dell’imperialismo, e abbia dunque un significato generale di emancipazione dal giogo occidentale.

Una maggiore considerazione delle dinamiche sociali avrebbe ulteriormente avvalorato la tesi secondo cui, per usare un’espressione a noi cara, la Palestina è la patria degli oppressi di tutto il mondo. O meglio, Hanieh pone sotto la sua lente la società israeliana. Evidenzia come, al pari del Sud-Africa dell’Apartheid, sia nella natura delle colonie di insediamento, veri “centri di organizzazione del potere occidentale”, di diventare un concentrato di violenza militarista, a misura che rafforzano le proprie “strutture di oppressione razziale, di sfruttamento di classe e di espropriazione”, con il risultato che “una parte consistente della popolazione trae vantaggio dall’oppressione delle popolazioni indigene e intende i propri privilegi in termini razziali e militaristici.”

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Jeffrey D. Sachs: La dichiarazione della NATO e la strategia mortale dei neocon

lantidiplomatico

La dichiarazione della NATO e la strategia mortale dei neocon

di Jeffrey D. Sachs – Common Dreams

Per il bene della sicurezza dell’America e della pace nel mondo, gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare immediatamente la ricerca neocon dell’egemonia, a favore della diplomazia e della coesistenza pacifica.

Nel 1992, l’eccezionalismo della politica estera degli Stati Uniti ha preso il sopravvento. Gli Usa si sono sempre considerati una nazione “eccezionale” destinata alla leadership, e la scomparsa dell’Unione Sovietica nel dicembre 1991 ha convinto un gruppo di ideologi, divenuti noti come “neocon”, che gli Stati Uniti avrebbero dovuto governare il mondo come unica superpotenza incontrastata. Nonostante gli innumerevoli disastri di politica estera causati, la Dichiarazione NATO 2024 continua a promuovere l’agenda neocon, avvicinando il mondo alla guerra nucleare.

Originariamente guidati da Richard Cheney, Segretario alla Difesa nel 1992, i neocon con la loro agenda hanno condizionato le scelte di tutti i presidenti che si sono succeduti: Clinton, Bush, Obama, Trump e Biden: nel nome dell’egemonia statunitense, gli Stati Uniti hanno intrapreso guerre perpetue, contro la Serbia, Afghanistan, Iraq, Siria, Libia e Ucraina, nonché nell’incessante espansione della NATO verso est, nonostante la chiara promessa fatta da Stati Uniti e Germania nel 1990 al Presidente sovietico Mikhail Gorbaciov che non si sarebbe mossa di un solo centimetro verso est.

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Michele Paris: Trump, ipotesi di complotto

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Trump, ipotesi di complotto

di Michele Paris

Il tentato assassinio di Donald Trump sabato scorso in Pennsylvania sarà inevitabilmente al centro del dibattito nella convention del Partito Repubblicano che si è aperta lunedì a Milwaukee, nello stato del Wisconsin. Praticamente tutti gli interrogativi più importanti sui fatti del fine settimana restano per il momento senza risposta e, vista l’intensità dello scontro politico interno negli Stati Uniti e le tensioni sociali esplosive che attraversano il paese, nessuno scenario sembra potere essere escluso. Le mancanze del servizio di sicurezza, affidato in primo luogo al Servizio Segreto, ma anche alla polizia locale e alle guardie del corpo personali dell’ex presidente, sono talmente evidenti da far pensare a un possibile complotto per l’eliminazione fisica di quest’ultimo. Qualunque sia la verità dei fatti, Trump appare ora ancora più favorito nelle elezioni di novembre, mentre il fallito attentato aggiunge un ulteriore fattore di difficoltà per un Joe Biden sempre più avviato verso l’addio alla corsa per la Casa Bianca.

Se mai sarà possibile farlo, la scoperta di indizi o informazioni concrete sul recente passato dell’attentatore, sulle motivazioni ed eventuali legami o complicità sarà di enorme aiuto nel ricostruire le circostanze dell’accaduto.

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Gianandrea Gaiani: Componenti cinesi nelle armi russe? Ce ne sono di più in quelle americane

analisidifesa

Componenti cinesi nelle armi russe? Ce ne sono di più in quelle americane

di Gianandrea Gaiani

Il documento finale del vertice NATO di Washington ha segnato un attacco senza precedenti dell’Alleanza Atlantica alla Cina, accusata di sostenere la Russia nel conflitto in Ucraina anche con forniture elettroniche e di componenti “dual-use”, impiegabili quindi in campo civile ma anche militare.

La Cina è diventata “un facilitatore decisivo della guerra della Russia contro l’Ucraina attraverso il cosiddetto ‘partenariato senza limiti’ e il suo ampio sostegno alla base industriale della difesa della Russia” si legge nel documento.

Il segretario generale, Lens Stoltenberg, ha ammonito che “la sicurezza della NATO non è più una questione regionale ma globale” precisando che per la prima volta tutti i 32 stati membri hanno concordato in un documento che “la Cina fornisce attrezzature a doppio uso, microelettronica e molti altri strumenti che consentono alla Russia di costruire missili, bombe, aerei e armi per attaccare l’Ucraina. E il fatto che questo sia ora chiaramente dichiarato, concordato da tutti gli alleati della NATO, è un messaggio importante per la Cina”, ha aggiunto.

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Lucio Garofalo: L’antisemitismo di Israele verso i Palestinesi

linterferenza

L’antisemitismo di Israele verso i Palestinesi

di Lucio Garofalo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Chiunque abbia difeso finora il governo di Israele, si arrampica sugli specchi in modo goffo e maldestro per avallare le assurde “ragioni” di uno Stato rivelatosi terrorista e criminale. Ma è impensabile, oltre che immorale, avallare una linea strategica priva di qualunque fondamento razionale, per cui rischia di ritorcersi contro chi la sostiene. Nessuno che davvero conti all’interno della “comunità internazionale” ha osato condannare gli atti di terrorismo di Stato commessi da Israele contro popolazioni inermi come quelle presenti nella striscia di Gaza. Nemmeno l’attuale pontefice ha assunto una posizione di netta esecrazione morale e politica nei riguardi dell’aggressiva e spregiudicata politica israeliana che si è spinta davvero oltre ogni limite accettabile. Quando si parla di “antisemitismo” ci si riferisce ovviamente all’antisemitismo storico, convenzionalmente inteso, cioè al classico razzismo contro gli Ebrei, vittime dell’Olocausto nazista. Ma esiste anche un antisemitismo commesso contro il popolo palestinese, anch’esso appartenente alla stirpe “semitica”, anch’esso vittima di una politica di persecuzione e di aggressione imperialista, di atti ostili e terroristici, di cui si conoscono i responsabili. Il peggior “antisemitismo”, non semplicemente ideologico, ma brutalmente politico e militare, è quello messo in pratica da coloro che rappresentano i veri assassini e terroristi, vale a dire il regime sionista di Israele e i suoi soci anglo-americani.

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