Rassegna 27/07/2024
Paolo Arigotti: La locomotiva arresta la sua corsa: la crisi della Germania
La locomotiva arresta la sua corsa: la crisi della Germania
di Paolo Arigotti
La Germania era definita fino a poco tempo fa la locomotiva dell’Europa, ma le cose stanno cambiando, e molto rapidamente.
Il paese sta affrontando una grave crisi, economica e sociale, che si trasforma inevitabilmente anche in politica.
Crisi energetica, pandemia e flussi migratori sono le motivazioni principali, assieme a una frattura tra quella che fu la Germania ovest e la ex DDR, la repubblica democratica tedesca che per circa 40 anni rimase nell’orbita sovietica, fino alla caduta del regime comunista nel 1989, cui fece seguito, a nemmeno un anno di distanza dal crollo del muro, la riunificazione, o per meglio dire l’annessione[1]. Nonostante le aspettative che caratterizzarono quella fase storica, i lander orientali hanno finito per essere controllati dagli ex connazionali d’occidente, che non solo hanno riservato per sé la quasi totalità delle posizioni che contano – con la ragguardevole eccezione della ex Cancelliera Angela Merkel, nata ad Amburgo ma cresciuta nella ex Germania est[2] – ma che si sono garantiti la proprietà degli apparati produttivi e del patrimonio immobiliare[3].
Non è un caso se è soprattutto in questa parte del paese che si registra la più forte ascesa politica delle destre, a cominciare da AFD[4], una forza politica che, piaccia o meno, vede al proprio interno nostalgici del nazismo, nonostante la compagine politica affondi le sue radici nella iniziativa di alcuni docenti universitari e intellettuali, contrari alla moneta unica europea, risalente a meno di venti anni fa. Allo stesso tempo, crolla la fiducia nel partito socialdemocratico (SPD) dell’attuale Cancelliere Olaf Scholz, che alle ultime europee non ha raccolto neanche il 14 per cento dei voti (13,90 per essere precisi), certificando l’emorragia di consensi e la protesta insita nel voto, che ha fatto dell’AFD il secondo partito (15,90), dopo la CDU- CSU (30).
Clara Statello: Il “piano di pace” di Trump: scaricare la guerra ucraina all’Europa per il vero obiettivo
Il “piano di pace” di Trump: scaricare la guerra ucraina all’Europa per il vero obiettivo
di Clara Statello
La guerra in Ucraina è una guerra per il nuovo ordine globale. L’Occidente ha trasformato un conflitto locale nella lotta tra democrazia e autocrazia, tra Bene e Male, cioè in uno scontro di civiltà. La guerra sarebbe potuta finire dopo poco più di un mese, con l’accordo negoziato a fine marzo a Istanbul, che prevedeva condizioni vantaggiose per Kiev, se Boris Johnson e altri leader occidentali non l’avessero sabotato.
Ciò a dimostrazione che il sostegno militare all’Ucraina non è motivato dalla nobile difesa dei diritti fondamentali dei popoli. La NATO combatte una guerra fino all’ultimo ucraino contro la Russia per mantenere il proprio primato. I Paesi occidentali sacrificano Kiev sull’altare della supremazia del blocco imperialista a guida statunitense.
Se Putin vincesse, non si limiterebbe a colpire la Georgia, ma l’intero vicino estero russo, nel tentativo di ricostruire l’Unione Sovietica. La fine della deterrenza NATO, inoltre, incoraggerebbe l’iniziativa della Cina su Taiwan e di Hezbollah in Israele.
Questo è il timore dei leader europei, espresso in modo chiaro dall’ex premier inglese Johnson in un editoriale pubblicato sabato sul Daily Mail.
Su una cosa i vassalli di Washington hanno ragione: il mondo unipolare è al tramonto. Le nuove potenze emergenti, sempre più presenti sui mercati internazionali, chiedono un maggior protagonismo decisionale; chiedono un ordine internazionale dominato dalle regole del diritto, non dai veti statunitensi e dai doppi standard; chiedono pari dignità ai popoli del mondo.
Ma non sarà la Cina o l’Iran o la Russia ad attaccare militarmente l’Occidente, per imporre un ordine che è già reale.
Salvatore Bianco: Trump e la grande “deportazione”
Trump e la grande “deportazione”
di Salvatore Bianco
«Finirò il muro e ci sarà la più grande operazione di espulsione (deportation), nella storia del nostro Paese». Trump docet. Se la politica o più verosimilmente il suo simulacro abbatte un altro tabù, con la fondata aspettativa fra l’altro che ciò produca consensi, allora stiamo entrando davvero in terra ignota o più banalmente riprecipitando agli inferi.
I “professionisti dell’informazione” dopo decenni trascorsi a occuparsi solo di «chiacchiera, curiosità ed equivoco», si dannano l’anima per quello che sta accadendo nella società statunitense e già si preannuncia in quella europea. Si tratta in realtà di processi sostanzialmente analoghi in corso da tempo, solo con un differente gradiente di intensità, che vengono viceversa interpretati in modo infantile come “la calata dei Lanzichenecchi”.
Mai come in questo tumultuoso presente ci possono venire in soccorso due grandi filoni di pensiero che hanno preso avvio da quelli che Ricoeur appellava “i maestri del sospetto”, perché capaci di andare oltre le apparenze e scandagliare livelli di realtà più profondi e per questo più concreti. Mai come in questo caso la buona vecchia critica dell’economia politica inaugurata da Marx ci può tornare utile, per una disamina dei processi materiali in atto, assieme alla psicoanalisi fondata da Freud (interpellando magari i suoi esponenti più eterodossi).
C’è solo una strada che porta alla pace: sciogliere la NatoSergio Scorza:
C’è solo una strada che porta alla pace: sciogliere la Nato
di Sergio Scorza
Il 24 marzo 1999 scattò l’operazione “Allied Force” (senza mandato ONU) contro la Serbia: fu un’aggressione illegale, ma la NATO dichiarò che “i raid si erano resi necessari per fermare i massacri in Kosovo”. Belgrado venne bombardata con massicci raid aerei che durarono 78 giorni causando migliaia di morti tra i civili e la distruzione di tutte le infrastrutture più importanti del paese.
Le bombe NATO vennero lanciate pure sulla fabbrica di automobili “Zastava” piena, in quel momento, di operai al lavoro. Quella fabbrica altro non era che una filiale della italianissima (all’epoca) Fiat. Con tutta evidenza, anche in quel caso, c’erano “un aggressore e un aggredito”. E l’aggressore era la NATO, Italia compresa. Presidente del consiglio era Massimo D’Alema, vice presidente e ministro della difesa era Sergio Mattarella.
Oggi i paesi della NATO stanno supportando, politicamente e militarmente, uno dei più grandi massacri di civili del dopoguerra che va avanti, ininterrottamente, da più di 9 mesi. Ogni giorno i caccia israeliani bombardano uno o più campi profughi di Gaza causando, ogni volta, decine o centinaia di vittime innocenti.
Edoardo Todaro: Il racconto di Suaad
Il racconto di Suaad
di Edoardo Todaro
Suaad Genem: Il racconto di Suaad, Edizioni Q, 2024, pp. 180; € 17
Scrivere qualcosa a proposito di “Il racconto di Suaad“ vuol dire non solo ringraziare le Edizioni Q per aver dato alle stampe questa testimonianza, ma vuol dire prendere spunto da quanto la ex prigioniera palestinese descrive per dire qualcosa a proposito del genocidio in atto. Il genocidio portato avanti dall’entità sionista, con la complicità dell’occidente e dei paesi arabi, nei confronti del popolo palestinese. Suaad è stata incarcerata per ben tre volte: 1979; 1983; 1991. Suaad descrive quanto viene subìto da lei e dai tantissimi prigionieri politici palestinesi. Suaad ci mette di fronte a ciò che tantissimi rivoluzionari,da Ho Chi Min a Che Guevara, da George Jackson a Sante Notarnicola, in tutto il mondo, in tante esperienze di liberazione anticoloniale e di lotta per il potere, ci hanno insegnato: le carceri come scuola di formazione politica all’interno del percorso di liberazione nazionale.
Possiamo dire, senza smentita alcuna, che in Palestina non c’è famiglia che non abbia fatto i conti la repressione e con la prigionia e quindi, conseguenza logica, i prigionieri hanno avuto sempre, ed hanno anche ora, un ruolo centrale nella lotta di liberazione.
Ottolinatv: Da Trump a Le Pen: la rivincita del capitalismo straccione e le lacrime di coccodrillo degli analfoliberali
Da Trump a Le Pen: la rivincita del capitalismo straccione e le lacrime di coccodrillo degli analfoliberali
di Ottolinatv
Tra analfoliberali sull’orlo di una crisi di nervi e miliardari fintosovranisti travestiti da working class heroes, andrà a finire che moriremo tutti, ma – di sicuro – non di noia: dopo 50 anni di pilota automatico, le diverse fazioni del grande capitale dell’Occidente imperialista, impanicate dal loro progressivo e inevitabile declino, sono tornate a farsi la guerra; e gli ultimi giorni, tra attentati falliti e la prima volta in assoluto dal 1968 che un commander in chief decide di rinunciare spontaneamente alla corsa per il secondo mandato, sono stati in assoluto i più movimentati del teatrino politico USA degli ultimi decenni. Ma al di là della rappresentazione teatrale, in cosa consistono davvero queste fazioni del capitale sull’orlo della guerra civile? Che interessi materiali rappresentano? Ha davvero senso tifare per una piuttosto che per l’altra? E sono davvero così alternative tra loro? Dalla Francia della Le Pen agli USA di The Donald, in questo video proveremo a dare alcune informazioni che speriamo ci permettano di navigare in queste acque turbolente senza essere totalmente in balia della propaganda e dei mezzi di produzione del consenso delle diverse fazioni del partito unico della guerra e degli affari; prima di farlo, però, vi ricordo di mettere un like a questo video (proprio per permetterci di portare avanti la nostra guerra quotidiana contro il pensiero unico imposto dagli algoritmi) e, se non l’avete ancora fatto, anche di iscrivervi a tutti i nostri canali social e di attivare le notifiche: a voi costa solo pochi secondi, ma a noi permette di dare ogni giorno un po’ più di voce al 99% e a chi dalle faide tra pezzi diversi di oligarchia, alla fine, ha sempre e solo da rimetterci.
Come mi capita spesso, non c’avevo capito una seganiente: unico tra tutti gli Ottoliner, ho continuato per mesi a dire che, a mio avviso, la vittoria di Trump nelle prossime presidenziali di novembre non era scontata per niente.
Collettivo Le Gauche: Antropocene o Capitalocene? Le critiche di Moore e la difesa di Angus
Antropocene o Capitalocene? Le critiche di Moore e la difesa di Angus
di Collettivo Le Gauche
1. Perché Moore è contro l’Antropocene
Per Jason W. Moore nel libro Antropocene o Capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nell’era della crisi planetaria, traduzione di Alessandro Barbero ed Emanuele Leonardi, l’Antropocene è una delle risposte concettuali date alla relazione moderna tra ambiente e natura. Il concetto si presta a molteplici interpretazioni ma una è dominante ed individua nell’Inghilterra del XIX secolo le origini del mondo moderno e nell’Anthropos la molla dietro le forze trainanti di questo cambiamento epocale, ovvero carbone e vapore. Si tratta di una storia che mette da parte la violenza propria dei rapporti moderni di potere e di produzione, nella disuguaglianza e nell’alienazione. Le attività umane nella rete della vita sono ridotte a un’umanità astratta dove non figurano problematiche come l’imperialismo e il patriarcato. La narrazione proposta vede la contrapposizione delle imprese umane con le grandi forze della natura. La complessità del cambiamento storico-geografico viene sostituita da nozioni lineari di tempo e spazio. Allo stesso tempo, dice Moore, i teorici dell’Antropocene non possono negare che gli esseri umani sono una forza geofisica operante nella natura. Emerge così la problematica mooriana “Un sistema/Due sistemi”. A livello filosofico l’umanità viene inserita nella rete della vita ma a livello metodologico viene pensata come separata da essa. In poche parole, il pensiero verde si dibatte in olismo in filosofia e dualismo nella pratica. Per quanto riguarda la teoria dell’Antropocene, essa possiede due dimensioni. Una che analizza i fenomeni bio-geologici e la seconda che si sofferma sulla storia. In breve, a partire da fatti e questioni bio-geologiche vengono prodotte delle periodizzazioni storiche. L’approccio è sostenuto da alcune importanti decisioni metodologiche. In primo luogo ci si sofferma sulle conseguenze dell’attività umana. Il domino dell’uomo sulla Terra è costruito sulla base di cambiamenti biofisici ridotti a categorie descrittive come i concetti di urbanizzazione e industrializzazione.
Fronte del Dissenso: La scelta di guerra dell’Unione Europea
La scelta di guerra dell’Unione Europea
di Fronte del Dissenso
L’arroganza delle oligarchie che controllano l’Ue non ha limiti. La rielezione di Ursula Pfizer von der Leyen alla presidenza della Commissione europea ne è la prova più lampante. Alla crescente mancanza di fiducia dei cittadini, agli scossoni arrivati dalle urne (specie in Francia e Germania), si è risposto con il continuismo più estremo. Unica novità la composizione della maggioranza che governerà l’UE nei prossimi anni. Al trio Ppe (popolari), S&D (socialisti e democratici), Renew (liberali), si sono aggiunti stavolta i Verdi, il cui apporto si è rivelato decisivo. Tra questi è da segnalare il voto favorevole a Von der Leyen di 4 parlamentari italiani eletti nella lista di “Alternativa Verdi Sinistra”.
La scelta non solo di rieleggere, ma addirittura di elevare la trafficona tedesca ad icona dell’europeismo, la dice però lunga sulla crisi di fondo che vive l’Ue. Chiudendo gli occhi perfino sulle indagini sullo scandalo dei vaccini e sulla recentissima condanna subita, il parlamento europeo ha deciso di arroccarsi a difesa di Von der Leyen, del suo ruolo di garante degli interessi della grande finanza e delle multinazionali e – soprattutto – di portabandiera della linea di guerra alla Russia.
Antonio Semproni: I lavoratori cognitivi, i corsi di team working e la ristrettezza dell’alfabeto neoliberista
I lavoratori cognitivi, i corsi di team working e la ristrettezza dell’alfabeto neoliberista
di Antonio Semproni
È dagli anni ’80 che le élites capitalistiche, al sicuro tra le mura tecnocratizzate del proprio laboratorio neoliberista, conducono un esperimento di disintegrazione comunitaria e correlata inclusione dell’essere umano nel mercato. L’esperimento sembra però aver prodotto tra i lavoratori cognitivi una retrocessione dalla civiltà allo stato di natura, dunque un’involuzione rispetto al modello sociale inaugurato dai padri del liberalismo e centrato sull’armonica convivenza di individui titolari di un nucleo più o meno ampio di diritti garantiti da una legittima autorità; questo, almeno, è il risultato che gli scienziati di questo originale laboratorio temono essersi prodotto: diversamente, non si spiegherebbe la somministrazione ai lavoratori cognitivi di cicli di lezioni dedicate a team building, team working et similia.
Sono convinto che anche nei più tetragoni sostenitori delle ricette neoliberiste si sia insinuata una recondita paura per la tenuta dell’ordine sociale; d’altronde, se la società è ridotta al mercato e ciascuno è in competizione con tutti gli altri per esservi incluso e tracciarvi la propria personale ascesa, la coesione del corpo sociale è debole e il rischio di tensioni alto.
Ilan Pappé: Possiamo sconfiggere la lobby
Possiamo sconfiggere la lobby
di Ilan Pappé
La vista dei bambini sepolti sotto le macerie, recuperati da bambini appena più grandi, è sufficiente per me e, ne sono certo, per chiunque sia mai stato messo a tacere dalle lobby, per non cedere, ma per impegnarsi a superare ogni ostacolo posto sul nostro cammino di verità.
A nove mesi dall’inizio dell’assalto genocida di Israele contro Striscia di Gaza, l’attacco parallelo alla libertà di parola sulla Palestina stia continuando con eguale intensità, rendendo difficile per il grande pubblico apprezzare la realtà palestinese al di là della copertura manipolata e distorta offerta dai media mainstream.
È chiaro che ci troviamo di fronte a una campagna coordinata guidata dalla lobby filo-israeliana e finalizzata a continuare la negazione storica della Nakba in corso.
La campagna è iniziata con avvertimenti rivolti a molti giornalisti e accademici occidentali, di non menzionare il contesto storico, per non parlare di quello morale, dell’assalto di Hamas a Israele del 7 ottobre. Un avvertimento in tal senso è stato rivolto persino al Segretario Generale delle Nazioni Unite, per essersi semplicemente limitato a menzionare il contesto storico.