Fulvio Grimaldi – 01/08/2024
Nous sommes tous des assassins
VENEZUELA, HA VINTO IL GIUSTO
TEHRAN, HANNO ASSASSINATO IL GIUSTO
TRENTINO, HANNO FUCILATO IL GIUSTO
Il giorno che l’opposizione venezuelana saprà mettere in campo qualcosa come questa manifestazione bolivariana della vigilia delle elezioni, potrà FORSE considerare un’opzione diversa dall’ennesimo colpetto di Stato, tipo Guaidò, lubrificato dalle ONG germogliate dal Dipartimento di Stato, incensato e benedetto dalla Chiesa cattolica, eseguito da operativi di CIA e Mossad e inesorabilmente destinato al fallimento. Nel caso del pupazzo amerikano Juan Guaidò, indecentemente riconosciuto subito dal nostro governo, capace di raccogliere intorno a sé non più di due dozzine di sottufficiali per la conquista del potere, destinato al ridicolo.
Intanto scrolliamoci di dosso la polvere tossica dei nostri sicofanti politico-mediatici di Zelensky e Netaniahu che si strappano le vesti sulla “morte della democrazia in Venezuela”.
Questo video s’intitola “Nous somme tous des assassins!, che era il titolo di un film di André Cayatte del 1952, formidabile denuncia di un mondo che stava rinnegando, con i suoi errori e orrori, ciò per cui tanti esseri umani nel nostro mondo solo pochi anni prima si erano battuti. Criminalità comune, criminalità economica, criminalità politica. L’assassinio come metodo strutturale e strategico di dominio.
Già, proprio quello che vediamo esemplificato oggi negli orrori compiuti dai mostri sionisti in Palestina e, con un tasso di barbarie al parossismo, con l’assassinio a Tehran di Ismail Haniyeh, leader della liberazione del suo popolo. Ciliegina sul massacro israeliano (attribuito a un razzo Hezbollah che è risultato non di Hezbollah) di 12 ragazzi siriani drusi nel Golan occupato. False flag se ce n’è mai stata una. Roba che neanche Hitler. Roba che è nello stile di questa aberrazione statale e ideologica fin dalla sua nascita, 78 anni fa.
Distruggono, uccidono, devastano, ma non vincono, Vale sempre più per gli USA, vale da sempre per Israele. Non è una grande consolazione. UNO SI CHIEDE CHE COSA DEBBA ANCORA COMBINARE QUESTO STATO DI JACK LO SQUARTATORE PERCHE’SI DECIDA A ESPELLERLO, NON SOLO DALLE OLIMPIADI, DOVE GIA’ INFETTA UN PRESUNTO CONSESSO DI PACE E FRATELLANZA, MA DALL’INTERA FAMIGLIA DEGLI ESSERI UMANI.
Israele sa perfettamente che non vincerà mai, non solo contro i palestinesi, ma contro l’enorme schieramento di nemici che le sue efferatezze vanno assembrando. Forse spera ancora di poter trascinare gli USA, magari quelli di Trump, nell’armageddon biblico che la sua distorta fede prevede e auspica. E per il quale possiede gli strumenti e, ahinoi, la complicità del verminaio politico-mediatico nel quale siamo costretti in Italia e in Occidente.
E, che me lo consentiate o no, in questa sceneggiatura disegnata dai necrofagi del culto della morte (fisica altrui, morale propria) non posso non inserire Maurizio Fugatti, confermato presidente provinciale e masskiller di orsi in Trentino. Come i sionisti, ce l’ha con le donne, specie se madri, e con i bambini. Ha fatto, con la ventenne orsa KJ1, madre di tre cuccioli, l’ennesima vittima della sua brama di morte. Che inevitabilmente si estenderà ai tre cuccioli abbandonati. Come già nel caso dell’orsa ergastolana JJ4.
Bracconieri e cacciatori erano riusciti a far sparire l’orso dal nostro lato delle Alpi, loro habitat millennario. Abbiamo sostituito al loro habitat cemento e veleno. Qualcuno l’ha fatto tornare, ben sapendo che senza l’orso, che non aggredisce se non per difesa, si rompe la catena della vita. Come senza i lupi, come senza le api, come senza i palestinesi. Qualcun altro si è subito impegnato per una sua seconda estinzione. Non ci ha consacrato, la bibbia, padroni del creato e di tutti i viventi? Lasciate che ne facciamo ciò che ci pare utile o divertente.
Pensate l’accanimento di questo Fugatti. Due ricorsi della LAV avevano fatto bloccare al TAR le ordinanze per la fucilazione di KJ1. Ma un Fugatti non sa, non vuole, trattenersi: precipitosamente ha emanato una terza ordinanza e l’ha fatta eseguire seduta stante, prima di un nuovo ricorso, ai Forestali del Trentino. Quando i forestali dell’Abruzzo non fanno nessuna fatica a far convivere 60 orsi e 50 con gli abitanti dell’area. Niente culto della morte. Niente Lega lì.
E’ tragicamente paradossale che si debba ponderare se non sia stato meglio una fucilazione, che non la cattura, come quella di altri orsi, ergastolani innocenti, rinchiusi a vita in un braccio della morte più mostruoso del carcere israeliano nel Negev, dove sono rinchiusi resistenti palestinesi, o palestinesi rastrellati a caso e da cui sono uscite le rivelazioni sull’Abu Ghraib israeliana. Si chiama Castellet, è molto meno di un ettaro per animali che in un giorno si spostano per 30-40km. Vi hanno rinchiuso lo strepitoso Papillon, tre volte evaso superando barriere invalicabili. Ergastolano per delitto di libertà. Ci farei passare qualche giorno a Maurizio Fugatti. Forse gli balenerebbe l’idea di una campagna di sterilizzazione dell’orso, o del suo trasferimento in santuari anche all’estero.
Il culto della morte (altrui) è una sindrome contagiosa. Si diffonde dalla testa al corpo di una società che si è inserita e allargata in termini di colonialismo. In Israele i sondaggi dicono che fino all’80% della popolazione appoggia quanto gli ultranazisti fanno a Gaza e in Cisgiordania. Anche in Trentino, dove ho tanti amici, c’è chi incrocia Fugatti, forse sospira, ma va oltre.
Siamo tutti assassini. SONO tutti assassini, sarebbe da rettificare, pensando a tanta brava gente preda del negativismo e che si dispera e non sa più distinguere tra chi è carnefice e chi è vittima e non vede come quattro quinti del mondo si stanno mobilitando contro gli assassini sistemici.
Ancora una volta, sotto gli occhi degli osservatori internazionali, compresi quelli dell’ONU e dello statunitense Istituto Carter, impiegando il meccanismo elettorale più sicuro del mondo, basato sulla verifica complementare, elettronica e cartacea, la rivoluzione bolivariana ha dato sette punti ai rigurgiti a stelle e strisce e stella di Davide. Tutti questi osservatori hanno confermato la correttezza dello spoglio, dei conteggi, di tutto il processo. E la riconquista neocolonialista dell’America Latina, su cui contavano i guerrafondai USA e UE, ha subito una battuta d’arresto.
Fosse una partita di tennis, quella per il controllo del subcontinente, in questo torneo avremmo avuto una serie di dritti, Lula in Brasile, la vittoria popolare sui tentati golpe in Bolivia e Honduras e sulla rivoluzione colorata di Chiesa e CIA contro il Nicaragua; poi alcuni rovesci, l’Argentina finita nelle mani del sicario neocolonialista Milei, i golpe parlamentari in Perù, Ecuador e Paraguay, il Cile ripiombato nel post-pinochettismo; ma, oggi, la schiacciata risolutiva del Venezuela che ha deciso il set.
Brasile, Messico e Venezuela sono, a gradazioni variabili, le avanguardie di un processo di emancipazione latinoamericana, lanciato da Cuba (ma lì oggi in sospensione), dalla condizione di cortile di casa e di fonte di approvvigionamento del predatore nordamericano. Se tralasciamo gli Stati, soprattutto del Centroamerica, vuoi liberati, come Honduras e Nicaragua, vuoi ancorati alla condizione di repubbliche delle banane, tipo Panama, Repubblica Dominicana, Guatemala, Puerto Rico, agli USA rimangono due importanti presidi politico-economico-militari: la recuperata Argentina (dove l’anarcocapitalisa a impronta sionista a stelle e strisce, Milei, ha subito invocato il golpe militare contro Maduro) e il Cile normalizzato, dopo la ventata anti-pinochettismo, dal presidente Gabriel Boric. Immediatamente salutata la vittoria di Maduro dai paesi dell’ALBA: Bolivia, Nicaragua, Cuba, Honduras. Messico e Brasile attendono i risultati finali.
Quanto alla Colombia, va messa nel novero dei giochi persi dal contendente imperiale: con il presidente Gustavo Petro ha preso nettamente la distanza dal ruolo assegnatogli da Washington di “Israele dell’America Latina” e ha cessato di funzionare da trampolino per provocazioni e incursioni contro il Venezuela. Tocca vedere come reagiranno le sette basi militari concesse agli USA dia predecessori vendipatria alla Uribe.
Sono stato tante volte in Venezuela, ne ho frequentato i giovani, gli studenti, i contadini, i militanti, ho visto Chavez assegnare terre e case. Come in altri paesi del riscatto, Libia, Iraq, sanità e istruzione erano gratuiti. In cinque anni si è passato dal 38% allo zero percento di analfabetismo. Ai media sotto controllo oligarchico, rispondevano, spuntando come funghi, le radio e tv comunali, libere. Profumo di rivoluzione. Ho incontrato e intervistato Hugo Chavez. Un fascino paragonabile a quello del Che. Attraversavo i territori del centro e del sud, pesantemente colpiti dalla serrata del monopolio PDVSA, l’ente petrolifero di cui i padroni statunitensi rifiutavano la nazionalizzazione decisa da Chavez. Alla fame indotta, il governo sopperiva con mercati a prezzi calmierati.
Il mio autista, un militante bolivariano, aveva la radio perennemente accesa sulle canzoni di Ali Primera, il cantautore del Popolo, come lo chiamò Hugo Chavez ricordandone la morte, nel 1985, in un incidente assai sospetto, da molti attribuito ai sicari del regime del fantoccio Yankee Jaime Lusinchi. Sentite “Tetti di cartone”. Al mio autista scendevano le lacrime.