[nuovopci] Di che tipo di partito comunista c’è bisogno per instaurare il socialismo?

Avviso ai naviganti 144 – 15 agosto 2024

 

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Per far rinascere il movimento comunista bisogna correggere gli errori e superare i limiti del passato!

Di che tipo di partito comunista c’è bisogno per instaurare il socialismo?

La questione decisiva della rivoluzione socialista in Italia, e la cosa vale per tutti i paesi imperialisti, è il partito comunista: la sua composizione, la formazione e selezione dei suoi membri, il suo modo di funzionare, il ruolo che svolge tra la classe operaia e il resto delle masse popolari e contro la borghesia imperialista e le classi sue alleate. È la lezione che tiriamo dal marxismo, dalla scienza della società borghese che questa dottrina contiene, dall’esperienza di quasi due secoli di movimento operaio e di movimento comunista, in particolare dall’esperienza della prima ondata mondiale delle rivoluzioni proletarie (1917-1976): decenni di storia che comprendono la sua ascesa a partire dalla vittoria dell’Ottobre 1917 in Russia e sintetizzata negli insegnamenti dei suoi massimi dirigenti, ossia Lenin, Stalin e Mao Tse-tung. Se consideriamo il Movimento Comunista Cosciente e Organizzato (MCCO) italiano, alcuni degli organismi che lo compongono sono convinti sostenitori della tesi che la questione decisiva della rivoluzione socialista in Italia è il partito comunista: Partito Comunista Italiano (PCI), Movimento per la Rinascita Comunista (MpRC), Fronte Comunista – Fronte della Gioventù Comunista (FC-FGC), Resistenza Popolare (RP), Costituente Comunista (CC), Forum Italiano dei Comunisti (FIC), Partito Comunista (PC) e altri. Ma quando si tratta di che tipo di partito è necessario, ognuno di essi porta avanti una concezione del partito che, seppure con qualche differenza, si basa principalmente su ciò che era e come funzionava il primo PCI che ha fallito proprio nel suo compito principale: instaurare il socialismo. Il primo PCI è stato sì anche il partito di Gramsci (1923-1926), delle Tesi di Lione (1926), della lunga resistenza al fascismo nella clandestinità (1926-1943) e della guerra di liberazione dal nazifascismo, la Resistenza (1943-1945). Ma è poi stato il partito che nel 1947 si è lasciato cacciare dal governo e si è via via integrato nel sistema di potere instaurato in Italia da Vaticano, imperialisti USA, associazioni padronali e organizzazioni criminali combinati tra loro; è diventato il partito di Palmiro Togliatti e della partecipazione alle elezioni e alle lotte della democrazia borghese come suo orizzonte politico, per finire con Berlinguer e la cricca che alzò la bandiera bianca agli imperialisti USA-NATO.

Se vogliamo seriamente affrontare il problema del tipo di partito di cui c’è bisogno per fare la rivoluzione socialista in un paese imperialista, non è sufficiente rifarsi ai dogmi e ai fasti del passato (il “partito leninista” come concetto astratto vale poco, al pari di quanto vale affermare di voler costruire un “partito comunista grande e forte”). Al contrario c’è bisogno di partire dall’analisi concreta della situazione concreta: bisogna definire chiaramente 1. il contesto in cui i comunisti operano, ossia le caratteristiche del regime politico vigente nei paesi imperialisti e quindi per noi in Italia e 2. le caratteristiche che il partito comunista deve avere per condurre alla vittoria la rivoluzione socialista in tale contesto.

Oggi per i comunisti che si propongono di instaurare il socialismo in Italia è di fondamentale importanza comprendere la reale natura del regime politico borghese vigente nel nostro paese: instaurare il socialismo vuol dire infatti instaurare il potere delle masse popolari organizzate con alla testa il partito comunista (dittatura del proletariato) al posto dell’attuale sistema di potere della borghesia (dittatura della borghesia). La democrazia è un articolo di fede proclamato dalla borghesia dei paesi imperialisti da quando nel 1945 è fallito il suo tentativo di stroncare la prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria con l’aggressione nazifascista dell’Unione Sovietica. Ma la stessa borghesia è costretta, tanto più quanto più avanza la seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, a violare le sue stesse leggi “democratiche” e forzare il suo stesso regime per imporre le proprie decisioni alle masse popolari e per sopravvivere nonostante la guerra tra bande che la attanaglia. In realtà, dalla fine della II Guerra Mondiale, i vertici della neonata Repubblica Pontificia alla scuola degli imperialisti USA hanno via via messo in piedi in Italia un regime di controrivoluzione preventiva. Quando parliamo di regime di controrivoluzione preventiva indichiamo un insieme di misure, procedimenti, istituti e istituzioni messe in opera dalla classe dominante nei paesi imperialisti a partire dagli USA all’inizio del secolo XX con la creazione della FBI (Federal Bureau of Investigation) e poi adottate con varianti nazionali dalle classi dominanti di altri paesi imperialisti, in particolare in Europa dopo la II Guerra Mondiale (1939-1945). In Italia (come, con sfumature diverse, negli altri paesi imperialisti) la democrazia attualmente consiste nel fatto che i gruppi finanziari e industriali italiani e stranieri e gli altri vertici della Repubblica Pontificia, sottomessi alla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti USA-NATO, sionisti e UE, restano vincolati a governare il paese con l’assenso di assemblee elettive e che queste sono sistematicamente il risultato della manipolazione dell’opinione pubblica da parte della borghesia e del clero. Questo per la borghesia e il clero comporta non solo la necessità di manipolare sistematicamente l’opinione pubblica, ma anche escludere la massa della popolazione dalla conoscenza dello stato delle cose e dagli strumenti necessari per pensare e conoscere. Un regime che oggi si regge in particolar modo su due pilastri principali: l’intossicazione delle menti e dei cuori delle masse popolari con una serie di iniziative e misure atte a promuovere ignoranza e diversione dalla lotta di classe da un lato (promozione di programmi televisivi intellettualmente degradanti, diffusione di massa dell’uso di tecnologie alienanti, disgregazione sociale, impoverimento della scuola pubblica, abbrutimento, terrorismo mediatico, disinformazione, ecc.); dall’altro lato la repressione dei comunisti, delle avanguardie di lotta e il restringimento degli spazi di agibilità politica, combinato con sistemi di spionaggio di massa (tracciare il profilo di ogni individuo tramite social network, controllo dei contenuti diffusi su internet e censura, videosorveglianza, ecc.).

Il regime di controrivoluzione preventiva ha come scopo principale togliere alle masse popolari la fiducia in se stesse e distoglierle dalla lotta rivoluzionaria: chi tra gli esponenti del MCCO italiano sostiene che è possibile promuovere una politica rivoluzionaria anche se si è controllati a vista dalle autorità della borghesia, o è un imbroglione oppure si trascina dietro una concezione legalitaria della lotta di classe che il MCCO italiano eredita dal primo PCI. Nell’articolo Il partito comunista deve essere clandestino! pubblicato su La Voce 68 (luglio 2021) abbiamo affermato che l’ingrediente principale di questa concezione consiste nel delimitare l’azione del Partito e dei comunisti all’intervento negli spazi che il regime (di controrivoluzione preventiva!, ndr) concede ai suoi oppositori. Oggi tra quelli che si dichiarano fautori della rinascita del movimento comunista questa concezione si esprime principalmente in tre forme grosso modo coerenti con le tre tare del movimento comunista dei paesi imperialisti.

1. Gli elettoralisti: coloro che circoscrivono l’azione del partito comunista all’agitazione e propaganda da condurre sui media, attraverso la partecipazione a campagne elettorali e ad assemblee elettive. Sono gli interpreti più fedeli del verbo legalitario del primo PCI e vedono nella riedizione della sua esperienza il viatico alla rinascita del movimento comunista.

2. Gli economicisti: coloro che circoscrivono l’azione del partito comunista al ruolo di organizzatore delle masse nella lotta sindacale e rivendicativa. Tra questi troviamo spesso individui generosi nel dedicarsi alla lotta al fianco di quelli che organizzano e anche individui che non hanno remore nel violare le leggi della borghesia. Essi concepiscono la rivoluzione socialista come un evento che prima o poi scoppierà per effetto di un processo di accumulazione di lotte spontanee sempre più radicali, coordinate, combattive.

3. I ribelli: sono gli orfani del militarismo che rievocano le gesta passate delle Organizzazioni Comuniste Combattenti degli anni ’70 (contro la “strategia della tensione” messa in opera dalla borghesia, ndr). Concepiscono l’attività del partito comunista alla stregua di quella di un’avanguardia votata all’azione diretta, che con le proprie azioni darebbe l’esempio ed ecciterebbe le masse a lottare in forme via via più combattive e “militanti”.

Oggi tra i fautori di questi tre modi di concepire il movimento comunista e la sua rinascita troviamo molti sinceri oppositori del regime della Repubblica Pontificia e individualmente onesti sostenitori degli interessi della classe operaia e delle masse popolari. In ciascuno di questi ambienti si esprimono la volontà e l’aspirazione a superare la concezione legalitaria del primo PCI ma in essa restano comunque intrappolati perché rassegnati (al fatto) che più che partecipare alle elezioni, fare sindacalismo o inscenare atti di ribellione non è possibile fare.

Che oggi si possa promuovere la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti lottando ma stando alle regole imposte dalla classe dominante tramite il suo regime, è una illusione frutto del pregiudizio che fin dal secondo dopoguerra borghesia, Chiesa Cattolica e i loro padrini USA hanno cercato di far prevalere nel senso comune delle masse popolari tramite il sistema di manipolazione da essi alimentato: considerare democratico il sistema politico dei paesi imperialisti, pregiudizio consacrato a partire dal 1956 anche dal primo PCI (“la via pacifica al socialismo attraverso le riforme di struttura”). Al tempo stesso, che i comunisti siano di per sé immuni dalle porcherie con cui continuamente la classe dominante condiziona la mente e il cuore delle masse popolari, è una supposizione arrogante di chi guarda le masse popolari con disprezzo e si accontenta del ruolo di intellettuale che si è ritagliato all’interno della Repubblica Pontificia. Infine, ritenere che la borghesia e il clero non perseguitano e reprimono i comunisti se questi operano “alla luce del sole”, vuol dire o avere illusioni sulla natura della lotta di classe e sulla resistenza che la borghesia e il clero oppongono al loro tramonto o avere una ben misera concezione del lavoro che i comunisti devono svolgere. In sintesi, vuol dire non aver tratto lezione dalla storia del primo PCI. La condizione di clandestinità in cui il primo PCI venne costretto (1926-1943) fu una vittoria del fascismo ma fu al contempo un servizio che il fascismo rese all’istruzione del movimento comunista italiano. La repressione fascista costrinse il Partito a cercare di adeguare la propria azione ai compiti che con la sua costituzione nel 1921 si era assunto di fronte al proletariato italiano, cioè dirigerlo nella lotta per l’instaurazione del socialismo. Fu grazie alla clandestinità e al sostegno dell’Internazionale Comunista che il Partito non fu eliminato dalla repressione fascista come in Italia sostanzialmente accadde agli altri partiti, ricostruì la sua organizzazione e accumulò le forze che lo resero capace di agire e alimentare la resistenza al fascismo. Ma fu una clandestinità difensiva e tardiva: ancora nel 1926, a quattro anni dalla marcia su Roma e dopo che il fascismo si era affermato con il ferro e con il fuoco (decine le case del popolo date alle fiamme, migliaia i comunisti, sindacalisti, anarchici passati per le patrie galere, feriti, torturati o uccisi), i vertici del PCI avevano fiducia di poter svolgere un’attività principalmente pubblica e legale. È emblematica la vicenda dell’arresto di Antonio Gramsci avvenuto nonostante l’immunità parlamentare di cui godeva. Quindi il Partito fu costretto dagli eventi ad accettare l’idea che la lotta per il socialismo aveva la forma di una guerra e che occorreva regolarsi di conseguenza, agendo nella clandestinità.

Da ciò dobbiamo imparare che la clandestinità non si improvvisa (il PCd’I ha impiegato due decenni per costruire la sua rete clandestina e lo fece grazie al sostegno dell’IC e dell’URSS) ed essa non è essenziale solo per prevenire la repressione della classe dominante che, come nel caso di Antonio Gramsci, ha tutto l’interesse a tagliare la testa al movimento rivoluzionario, ma è la condizione senza la quale un partito comunista non può promuovere e dirigere la rivoluzione socialista. Solo un partito comunista clandestino è in grado di andare fino in fondo nell’attuazione delle sue parole d’ordine, ha libertà di pensiero e d’azione, è autonomo dalla classe dominante.

Coloro i quali sono convinti che la clandestinità è necessaria soltanto per condurre la lotta armata, in continuità con l’esperienza delle Brigate Rosse (BR) e delle altre Organizzazioni Comuniste Combattenti (OCC) (nel Cristoforo Colombo Pippo Assan indica chiaramente le conclusioni che bisogna ricavare dal bilancio dell’esperienza delle BR e delle altre OCC e che il (nuovo)PCI fa proprie) non ha chiara la storia della prima ondata mondiale delle rivoluzioni proletarie: l’insurrezione dell’Ottobre 1917 in Russia è stata preceduta dal lavoro di accumulazione delle forze diretto dal partito a partire dal 1903 (II Congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo), dal rafforzamento dei soviet di fabbrica e contadini e dal lavoro più mirato fatto tra il febbraio e l’ottobre 1917. Lo stesso la Resistenza in Italia: l’insurrezione del 25 aprile 1945 è stata preparata dalla lunga resistenza clandestina al fascismo promossa dal PCI negli anni 1927-1943 e poi dal lavoro più specifico di guerra svolto tra la fine del 1943 e l’inizio del 1945. In entrambi i casi, con una combinazione di attività legali, semilegali e illegali, non con la lotta armata dall’inizio alla fine e comunque solo quando si è posta come necessaria.

La Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata, la strategia della rivoluzione socialista, non inizia con la lotta armata, ma con l’esistenza del partito comunista clandestino, costituito in modo da esistere e operare con continuità in vista della conquista del potere e capace di svolgere la sua attività di reclutamento, elaborazione, formazione, orientamento, aggregazione, propaganda, mobilitazione e direzione tramite la sua rete organizzativa e il suo sistema di relazioni, di contatti e di influenze, nonostante tutti gli sforzi che la borghesia compie per ostacolarlo, isolarlo dalle masse, distruggerlo. Il partito comunista non è il partito più di sinistra dell’insieme dei partiti della Repubblica Pontificia: è il nucleo del nuovo potere alternativo al potere borghese e su questa base, guidato dalla concezione comunista del mondo, opera attraverso un corpo di rivoluzionari di professione, dedito alla causa, intellettualmente capace e coeso, moralmente tenace.

È possibile che in un paese imperialista nasca e operi un partito comunista clandestino e che esso trovi tra le masse popolari e in particolare tra la classe operaia l’alimento (in persone da reclutare, in collaborazioni, in denaro, in legami, in influenze) di cui ha bisogno per esistere, resistere ai colpi della borghesia e dei suoi apparati di controrivoluzione ed espandere la sua attività. Il partito comunista clandestino trova le sue risorse tra le decine di migliaia di individui che nel nostro paese simpatizzano per il comunismo, stante la memoria diffusa e persistente delle conquiste di civiltà e benessere strappate quando il MCCO era forte e le vittorie che esso ha conquistato e conquista ancora oggi in altri paesi, a cui si aggiungono tutti coloro che spinti dalla crisi irreversibile del sistema capitalista vedono e vedranno noi comunisti impegnati senza riserve nelle lotte contro gli omicidi sul lavoro, contro la guerra (economia di guerra, militarizzazione di scuole e università e della comunicazione, partecipazione dello Stato italiano a conflitti in giro per il mondo), contro lo smantellamento dell’apparato produttivo nazionale, contro la privatizzazione dei servizi pubblici, contro le grandi opere inutili o addirittura dannose, contro la speculazione immobiliare, contro l’inquinamento e la devastazione della Terra e in altre iniziative utili alle masse popolari.

L’esistenza e l’opera del partito comunista clandestino non escludono, ma anzi promuovono, potenziano e tutelano l’opera degli organismi comunisti pubblici che oggi costituiscono il MCCO (tra questi anche il nostro partito fratello, il Partito dei CARC), che si giovano dei residui margini di libertà d’azione conquistati con la vittoria della Resistenza e che la borghesia non osa ancora sopprimere né riesce a manipolare. Gli organismi comunisti pubblici devono a loro volta ispirarsi alla strategia del partito comunista clandestino, contribuire alla sua realizzazione e attuare le tattiche che ne conseguono. Oggi si tratta della creazione delle condizioni per costituire il Governo di Blocco Popolare. L’unità delle organizzazioni pubbliche dei comunisti a formare un unico partito pubblico deve e può avvenire su questa base.

Fare la rivoluzione socialista non è aspettare che scoppi la rivolta, agitarsi a destra e a manca sperando che prima o poi scoppi, raccogliere compagni per essere in numero sufficiente ad approfittare della rivolta quando scoppierà.

La rivoluzione non scoppia. Fare la rivoluzione socialista significa creare nel paese un nuovo potere composto da un lato dalle organizzazioni operaie e popolari che crescono di forza, passo dopo passo, fino a rovesciare a proprio favore l’attuale rapporto di forza nello scontro con la borghesia imperialista, dall’altro dal proprio Stato Maggiore, il partito comunista clandestino, supportato dagli organismi pubblici che contribuiscono all’attuazione delle sue tattiche.

È possibile e necessario costruire un partito comunista clandestino in un paese imperialista!

Dirigere la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata, costruire il nuovo potere della classe operaia e delle masse popolari organizzate fino a vincere, dipende da noi comunisti!

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