[SinistraInRete] Nestor Halak: Putin ha già perso! Anzi, no, Putin ha già vinto!

Rassegna 27/08/2024

Nestor Halak: Putin ha già perso! Anzi, no, Putin ha già vinto!

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Putin ha già perso! Anzi, no, Putin ha già vinto!

di Nestor Halak

napoleon 4114403 340.jpgDopo due anni e mezzo in cui la carneficina è andata avanti, ma la situazione non si è affatto risolta, mi pare si possano fare alcune ulteriori osservazioni sulla guerra in Ucraina. Sì, lo so, non sono un analista militare, perciò secondo molti non sono autorizzato a parlarne: cosa volete che ne sappia infatti un commentatore da poltrona senza neppure le stellette? Certo non sono uno dei (tanti), generali o colonnelli in pensione che vanno per la maggiore e certo a nessuno viene in mente di chiedere il mio parere.

A ben vedere si tratta delle stesse argomentazioni usate durante la “pandemia”, quando parlare era consentito unicamente ai “virologi”, una sottospecie di star televisive creata all’uopo dal mainstream. Ma siccome ero io a essere messo agli arresti domiciliari, ero io che avevo l’obbligo di punturarmi ed ero sempre io che non potevo neppure più entrare all’ufficio postale o prendere un caffè in un bar, ritenevo allora e ritengo ancora oggi di avere tutto il diritto di esprimere il mio parere.

Se poi si tratta di sciocchezze, va bene, che lo si dimostri, ma con ragionamenti argomentati, non con il semplice richiamo al principio di autorità. Oggi che i miei soldi, in spregio alla nostra legge fondamentale, vanno a finanziare la guerra per conto terzi del regime di Kiev anziché la pubblica sanità, mi sento in assoluto diritto di discettare anche a proposito della guerra, del resto non come analista militare, ma come cittadino in grado di ragionare, che ha seguito gli eventi e si è informato sui fatti anziché abbeverarsi unicamente alla vergognosa propaganda continuamente in onda sui media.

In particolare seguo costantemente quanto riferiscono alcuni canali alternativi come Military Summary, e personaggi come Alistair Crook, Douglas McGregor, Scott Ritter, Alexander Mercouris, Stefano Orsi, Larry Johnson, Dimitry Orlov e molti altri, i quali, più o meno unanimemente, continuano a sostenere che la guerra è già finita da almeno un anno e mezzo e i russi l’hanno vinta.

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Salvatore Maria Righi: Lo strano caso del naufragio del Bayesian

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Lo strano caso del naufragio del Bayesian

di Salvatore Maria Righi

Bayesian.pngNon risulta che fosse un lupo di mare, il reverendo inglese Thomas Bayes, noto agli statistici per il suo teorema sulla probabilità condizionata, che in sostanza permette una ricerca a posteriori delle cause di un evento che si è verificato. Ma calcolare le probabilità di una causa nel provocare un evento è esattamente quello che in sostanza stanno facendo gli inquirenti della procura di Termini Imerese, per cercare di diradare la nebbia e i misteri calati sul tragico affondamento del Bayesian, il veliero inglese colato a picco nei giorni scorsi davanti a Palermo e che proprio del matematico e filosofo del ‘700 portava il nome, la prima delle tante strane coincidenze, o brutti presagi, di questa storia che ha colorato di nero il mare blu di Porticello.

 

Le vittime

Sette vittime, a cominciare dal proprietario e uomo d’affari Mike Lynch e dai suoi importanti e potenti ospiti, e per finire con sua figlia Hannah, 18 anni, l’ultima dei dispersi e l’ultimo corpo restituito dal relitto, studentessa modello e prossima a frequentare la Oxford University. 15 superstiti che sono arrivati a terra terrorizzati col tender messo a disposizione dal capitano Karsten Borner, nostromo del “Sir Robert Baden Powell”, la nave olandese che ha prestato soccorso ai naufraghi nei momenti immediatamente successivi al disastro. Curiosamente, la furiosa tempesta e relativa tromba marina che avrebbero causato l’affondamento del Bayesian, hanno lasciato intatto e pienamente funzionante lo scafo governato dal tedesco Borner, nonostante sia più o meno la metà del veliero inglese finito a oltre 50 metri di profondità sul fondale palermitano: 32 metri di lunghezza, sei di larghezza, e pesante meno di un quarto, 111 tonnellate. 

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Pietro Terzan: Il tassello mancante

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Il tassello mancante

La collaborazione tra sionismo e nazismo

di Pietro Terzan

lfdklghkvtEsistono innumerevoli studi sul nazismo, sulla ricerca imperialista del suo spazio vitale e sulle teorie razziste che hanno portato come estrema conseguenza alla soluzione finale del “problema” ebraico. Molti di questi studi tendono a semplificare la realtà storica, utilizzando categorie della psicopatologia per spiegare le atrocità del nazifascismo, mettendo così in luce arbitrarie convergenze e affinità elettive con chi la croce uncinata l’ha sconfitta e spezzata, con chi era il vero nemico del nazionalsocialismo sin dai tempi del Mein Kampf. La storia viene dunque utilizzata e plasmata dall’attuale potere politico capitalista e neoliberista, viene revisionata, oscurando il profondo legame del nazismo con le insanguinate radici colonialiste europee, con l’imperialismo inglese, con le pratiche genocide e schiaviste della white supremacy nordamericana sui neri e i nativi americani. Non solo: le democrazie occidentali, con una serie di colpi di spugna e riscritture fantascientifiche, diventano le uniche paladine della libertà e della giustizia; contro ogni dittatura, hanno vinto la Seconda guerra mondiale e liberato da sole i campi di concentramento.1

In questa narrazione dominante, che di postmoderno ha veramente poco, a un vaglio critico preciso e a un’analisi dettagliata delle fonti, spuntano un po’ ovunque una serie di cortocircuiti, dubbi e ragionamenti che non tornano. In questo ennesimo periodo di barbarie guerrafondaia torna nuovamente attuale l’interrogativo comune: com’è possibile che gli eredi della Shoah, le vittime del più grande crimine contro l’umanità, compiano un vero e proprio genocidio manifesto? Come è possibile un rovesciamento così plateale dei ruoli? Nonostante tutto quello che ci hanno insegnato a scuola sulla memoria, nonostante il flusso di informazioni a disposizione, di bombardamento a tappeto di spiegazioni “dell’unica democrazia del Medio Oriente”, il primo impatto per chi affronta seriamente la tragedia del popolo palestinese non può essere che di spaesamento e incertezza.

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Jeffrey D. Sachs: Sulle accuse agli Usa di “regime change” in Pakistan e Bangladesh indaghi l’ONU

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Sulle accuse agli Usa di “regime change” in Pakistan e Bangladesh indaghi l’ONU

di Jeffrey D. Sachs

Due ex leader di importanti Paesi dell’Asia meridionale hanno accusato gli Stati Uniti di operazioni segrete di cambio di regime per rovesciare i loro governi. Uno dei leader, l’ex primo ministro pakistano Imran Khan, langue in prigione, con una condanna ambigua che rafforza quanto affermato da Khan. L’altro leader, l’ex primo ministro del Bangladesh Sheik Hasina, è fuggito in India in seguito a un violento colpo di Stato nel suo Paese. Le loro gravi accuse contro gli Stati Uniti, come riportato dai media di tutto il mondo, dovrebbero essere indagate dalle Nazioni Unite, poiché se fossero vere, le azioni statunitensi costituirebbero una minaccia fondamentale per la pace mondiale e per la stabilità regionale in Asia meridionale.

I due casi sembrano essere molto simili. Le prove molto forti del ruolo degli Stati Uniti nel rovesciare il governo di Imran Khan fanno pensare che qualcosa di simile possa essere accaduto in Bangladesh.

Nel caso del Pakistan, Donald Lu, Assistente del Segretario di Stato per l’Asia meridionale e l’Asia centrale, ha incontrato Asad Majeed Khan, ambasciatore del Pakistan negli Stati Uniti, il 7 marzo 2022. L’ambasciatore Khan ha immediatamente scritto alla sua capitale, trasmettendo l’avvertimento di Lu che il premier Khan minacciava le relazioni tra Stati Uniti e Pakistan a causa della “posizione aggressivamente neutrale” di Khan nei confronti di Russia e Ucraina.

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Redazione – Andrea Zhok: L’arresto in Francia di Mr. Telegram è l’antipasto di una svolta autoritaria?

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L’arresto in Francia di Mr. Telegram è l’antipasto di una svolta autoritaria?

di Redazione – Andrea Zhok

A seguito dell’arresto in Francia di Pavel Durov, fondatore e amministratore delegato di Telegram, aspettiamoci un giro di vite alla libertà di espressione, di stampa e di comunicazione. “L’Occidente dei diritti” è sempre più, nei fatti, l’opposto di quello che propaganda

Secondo Ekaterina Mizulina, capo della Safe Internet League russa, gli Stati Uniti hanno ordinato alle autorità francesi di arrestare Durov (1). Continua la Mizulina: “Ritengo da tempo che viaggiare al di fuori della Russia sia un grande rischio per i proprietari di Telegram, in quanto potrebbero essere arrestati in qualsiasi momento (…) . “È ovvio che l’arresto è un attacco a TON [una piattaforma basata su blockchain originariamente sviluppata dai creatori di Telegram, ndr] in cui hanno investito importanti aziende russe. Si tratta, in parte, di una continuazione della politica di sanzioni degli Stati Uniti”.

La funzionaria ha sottolineato come “gli americani siano dietro la situazione nel suo complesso” (2), sostenendo che Telegram, che ha oltre 900 milioni di utenti attivi mensili in tutto il mondo, è una spina nel fianco in termini di distribuzione delle informazioni.

Secondo Mizulina, le autorità francesi non hanno agito in modo indipendente nella loro decisione di arrestare Durov. “Si è scoperto che tutti i tentativi di avvicinamento all’Occidente da parte dei proprietari di Telegram sono stati un errore. Il nostro presidente [Vladimir Putin] ha avvertito molte volte di questo, ma nessuno gli ha creduto”, ha concluso (3).

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Davide Miccione: Woke e tabù

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Woke e tabù

di Davide Miccione

Sarebbe un vero peccato non corrispondere alla gentilezza che l’editore Petite Plaisance di Pistoia ha mostrato per i lettori mettendo loro a disposizione tutti questi “piccoli Preve”. Mi riferisco a quella serie di volumetti di prezzo e foliazione ridotta (molto meno di cento pagine e di dieci euro) spesso tratti da volumi collettanei o da opere maggiori di Costanzo Preve e centrati su temi quanto mai attuali e puntuali: il Sessantotto, il ruolo degli intellettuali, le differenze tra destra e sinistra o, come nel caso del libro di cui qui parliamo, il politicamente corretto. Un’occasione dunque per scoprire o riscoprire o approfondire un autore che ha pochi eguali per parresia (a volte ai limiti di una, per me deliziosa, brutalità), coraggio intellettuale, preparazione, sistematicità. Preve riesce come pochi a congiungere l’analisi del minuto, dell’attuale, del singolare con un solidissimo incardinamento teoretico, con una rapida e sicura risalita alla matrice del suo pensiero, con il suo sistema, con quel corpo a corpo che svolge con l’intera tradizione occidentale e soprattutto con Hegel e Marx.

Il titolo oggetto di queste brevi righe è il serio Elementi di politicamente corretto doppiato da un ancor più serio sottotitolo: Studio preliminare su un fenomeno ideologico sempre più invasivo. Entrambi rivelano la natura sistematica e fondata di questo autore che mai però, ennesimo peccato dell’accademia italiana, ha insegnato in una università.

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Marco Cosentino: Ancora sulla peer review

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Ancora sulla peer review

di Marco Cosentino

Ci siamo detti più volte in passato come la revisione tra pari sia soprattutto un esercizio di valutazione formale di uno studio. Sostanzialmente mai questa revisione certifica la correttezza dei dati, raramente ne verifica l’analisi e complessivamente si limita a esaminare la verosimiglianza e una certa qual complessiva estetica dello studio. Come potrebbe altrimenti questo processo di revisione esaminare studi per la cui realizzazione sono stati spesso necessari mesi se non anni?

Oggi tuttavia vogliamo sottolineare quanto sia complesso trovare revisori adeguati, tanto più in un’epoca nella quale viene esaltata la produttività quantitativa dei ricercatori senza badare più di tanto alla qualità. Il risultato dell’ultimo decennio è stato il proliferare di riviste nell’intento di seguire l’onda di un mercato tumultuosamente crescente della pubblicistica scientifica, che grazie al “publish or perish” di origine anglosassone ha visto moltiplicarsi a dismisura gli studi, in gran parte al mero scopo di supportare carriere e non certo di far progredire “la scienza”. Si aggiunga a questo il passaggio, pure questo guidato da logiche di profitto, dalle riviste pagate con gli abbonamenti dei lettori a quelle in cui chi paga sono gli autori allo scopo di pubblicare. E si paga spesso tanto. Talora tantissimo. Certe riviste, forti del loro prestigio, richiedono talora anche cinque-seimila euro e oltre, mentre la maggior parte delle riviste di fascia media si attesta tra i due e i tremila euro che pure non sono poco. Ma dei costi di pubblicazione parleremo magari in altra occasione.

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Enrico Tomaselli: Nessuna linea rossa

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Nessuna linea rossa

di Enrico Tomaselli

alexisso.jpgUna cosa di cui talvolta ci dimentichiamo, è che le persone – i popoli – guardano agli avvenimenti alla luce della propria storia, della propria cultura, che a volte possono essere anche significativamente diverse. Questo vale ovviamente per qualsiasi cosa, e quindi anche la guerra non vi fa eccezione. Se poi consideriamo che la guerra è davvero un insieme di avvenimenti decisamente esplosivo, oltre che fattualmente anche in senso figurato, e pertanto estremamente mutevole, soggetto a una dinamica costante e, in certo qual modo, dotato di vita propria, è facile comprendere come un diverso sguardo culturale si rifletta, inevitabilmente, non solo sulla percezione della guerra, ma anche sulla sua condotta.

L’arte occidentale della guerra, ad esempio, è profondamente segnata dall’idea dell’attacco – anche perché praticamente tutte le guerre occidentali sono state, storicamente, guerre di espansione.

Dal punto di vista occidentale, dunque, la guerra è prevalentemente un fatto offensivo. L’Europa, nel corso della sua storia, ha visto sostanzialmente tre grandi invasioni, nessuna delle quali l’ha mai conquistata interamente: quella mongola, quella islamica e quella ottomana. Viceversa, ha portato la guerra in ogni angolo del mondo, anche il più remoto.

Questa visione dell’azione bellica è così radicata nella nostra cultura, che ci risulta difficile concepire diversamente l’atto guerresco. E, indipendentemente dall’andamento del conflitto, esso è concepito intorno all’idea dell’azione risolutiva. Dalla falange macedone al first strike nucleare, è questo il fil rouge del pensiero militare occidentale.

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Eros Barone: Per il 60° anniversario della morte di Palmiro Togliatti

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Per il 60° anniversario della morte di Palmiro Togliatti

di Eros Barone

togliatti foto img interna«Ogni cosa si trasforma. Ogni cosa si trasforma secondo le sue proprie leggi. Anche noi siamo oggetti e soggetti delle trasformazioni, ne siamo parte passiva e parte attiva, consapevole, con nostri obiettivi e piani.

Ogni cosa si trasforma in un’altra e questa in un’altra ancora e poi ancora, costituendo gli anelli di una catena. Se prendiamo un anello della catena, esso è attaccato al primo, ma solo attraverso gli anelli intermedi. Se vogliamo comprendere il legame che unisce una cosa a un’altra da cui proviene, se vogliamo comprendere come sta trasformandosi una cosa, dobbiamo ricostruire nella nostra mente le fasi intermedie attraverso le quali la prima si è trasformata in quella che stiamo esaminando.

Ogni cosa diviene secondo le sue leggi e tramite le circostanze esterne e accidentali che incontra. Se vogliamo comprendere come mai una cosa si è trasformata proprio in quest’altra e non in qualcosa di diverso, dobbiamo non solo conoscere le leggi proprie di quella trasformazione, ma anche ricostruire nella nostra mente le circostanze esterne e accidentali che hanno determinato passo dopo passo quel percorso.

Si dice che una cosa è divenuta un’altra attraverso la mediazione degli anelli intermedi e delle circostanze esterne. La mediazione è un aspetto universale della trasformazione.

Chi non riconosce la mediazione, in campo politico cade nell’opportunismo di sinistra o di destra. La lotta contro gli opportunisti di sinistra (gli estremisti di sinistra) è una lotta interna alle nostre fila. Anche la lotta contro gli opportunisti di destra è una lotta interna alle nostre fila, ma solo fino ad un certo punto. Dove sta la differenza tra i due fronti?

Gli opportunisti di sinistra negano le mediazioni (le fasi, i passaggi, i processi) attraverso cui si svolge ogni trasformazione reale. Essi politicamente sono ostili all’imperialismo e alla borghesia, ma in campo culturale, dell’orientamento e della concezione del mondo si limitano a negare le posizioni della borghesia, non le superano, le conservano rovesciate, vedono il mondo come la borghesia solo dal lato opposto.

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Leonardo Bargigli: Una scomoda verità sulla classe operaia in Occidente

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Una scomoda verità sulla classe operaia in Occidente

di Leonardo Bargigli

Nel 1970 la rivista Monthly Review pubblicava due contributi degli economisti marxisti Arghiri Emmanuel e Charles Bettelheim sul tema delle basi economiche della solidarietà di classe tra i lavoratori dei Paesi ricchi e dei Paesi poveri1.

Nel suo articolo Bettelheim sosteneva che la contraddizione principale, all’interno della società capitalista, è sempre quella tra capitale e lavoro. Poiché sia i lavoratori dei Paesi ricchi che quelli dei Paesi poveri vengono espropriati del proprio pluslavoro, entrambi hanno interesse a rivoltarsi contro i propri capitalisti, formando a questo scopo un’alleanza internazionale.

Al contrario di Bettelheim, che partiva dalla teoria, Emmanuel partiva dai fatti, che attestavano il coinvolgimento della grande maggioranza della classe operaia dei Paesi ricchi nella cogestione capitalista di quel tempo.

Secondo lui, contro questa evidenza valeva a poco appellarsi alla teoria, così come all’“opportunismo” o al “tradimento” del proletariato da parte di una ristretta “aristocrazia operaia”. La sua conclusione era impietosa: “Dopo un secolo di lotte sociali e politiche, le masse hanno avuto il tempo di darsi i leader e i partiti che meritano.

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Geraldina Colotti: Contro il Venezuela, le “tre C” della propaganda di guerra

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Contro il Venezuela, le “tre C” della propaganda di guerra

di Geraldina Colotti*

Se volessimo sintetizzare i meccanismi della “guerra cognitiva”, che mira a condizionare i cervelli manipolando le emozioni, potremmo parlare delle “tre C”: Convincere, Confondere, Coinvolgere, consolidando notizie false nella percezione comune. Dalla “caccia alle streghe” contro le donne ribelli dei secoli passati, alla costruzione del “nemico interno” e all’ossessione del comunismo nelle varie modulazioni prodotte dal secolo scorso, l’imperialismo ha affinato le tecniche di propaganda, fidando sul culto dell’effimero e sulla memoria a breve, moltiplicata dalle reti sociali nel secolo attuale.

Una volta imposti i parametri economici (il dio-mercato capitalista), politici (l’insuperabilità della società divisa in classi, e l’assenza di alternative), “filosofici” (l’imposizione di alcune metafisiche, che occultano la realtà dello scontro di interessi, come l’identificazione fra comunismo e dittatura, o la categoria di “terrorismo”, con cui stigmatizzare anche il diritto dei popoli alla rivolta), risulta gioco facile confondere ragioni e torti capovolgendo simboli, diffondendo inganni e dietrologie che sfidano il buon senso e la ragione.

Nei paesi della vecchia Europa, la strategia delle “tre C” va per la maggiore. Lo si è visto nel corso delle guerre del terzo millennio, dai Balcani al Ruanda, dalla Siria alla Libia.

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Alfredo Jalife-Rahme: Ritorsione iraniana limitata o estesa: la minaccia di Netanyahu di una risposta nucleare spiega la gravità dei negoziati

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Ritorsione iraniana limitata o estesa: la minaccia di Netanyahu di una risposta nucleare spiega la gravità dei negoziati

di Alfredo Jalife-Rahme

L’Iran sta cercando una risposta adeguata all’assassinio da parte di Israele di un leader straniero, Ismael Haniyeh, sul proprio territorio. Il problema è trovare una risposta consona alla difesa della propria sovranità, ma nel contempo non vigorosa al punto da indurre gli Stati Uniti a schierarsi a fianco dei “sionisti revisionisti” nella guerra nucleare che vuole Tel Aviv

L’Iran, più che Hezbollah, sta cimentandosi nel difficile esercizio di commisurare la propria legittima difesa alla necessità di non offrire un’opportunità a Netanyahu, il cui obiettivo è spingere gli Stati Uniti a distruggere il Paese persiano [1].

L’Iran non vuole nemmeno favorire una vittoria elettorale di Trump, grande alleato di Netanyahu, mentre negozia dietro le quinte con la squadra di Biden. Al punto che il segretario di Stato, il khazaro Antony Blinken, avrebbe dovuto fare uno scalo spettacolare in Iran [2], che però è stato rinviato nel mezzo del vertice sul cessate-il-fuoco e sugli ostaggi [3] promosso dal team di Biden.

L’ex diplomatico britannico Alastair Crooke sostiene [4] che lo scenario di una rappresaglia iraniana contro Israele implica due fasi: 1) l’uso dell’arsenale di missili deterrenti iraniano e gli immensi danni conseguenti [5]; 2) la reazione di Netanyahu: incitare gli Stati Uniti a distruggere l’Iran, o usare le proprie armi nucleari tattiche (sic), come ha spiegato senza mezzi termini l’ex colonnello Douglas Macgregor [6].

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