[SinistraInRete] Alberto Bradanini: La visita di Meloni a Pechino e il senso delle relazioni Italia-Cina

Rassegna 10/09/2024

Alberto Bradanini: La visita di Meloni a Pechino e il senso delle relazioni Italia-Cina

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La visita di Meloni a Pechino e il senso delle relazioni Italia-Cina

di Alberto Bradanini

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xi.jpeg1. Sebbene sia trascorso appena un mese, che nel vortice di un mondo in ebollizione sembra un secolo, resta d’interesse gettare uno sguardo sul viaggio in Cina, a fine luglio, della Presidente del Consiglio. A Pechino, Giorgia Meloni è stata ricevuta con ogni decoro, alla luce della tradizionale ospitalità cinese, ma anche degli interessi che la Cina mira a tutelare nel suo rapporto con l’Italia, membro formale del G7 e una delle prime otto/nove economie al mondo. Qualche settimana prima si era recato a Pechino anche il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, A. Urso, mentre il capo di Stato S. Mattarella concluderà in autunno un’insolita triade di viaggi istituzionali italiani in Cina.

Per comprendere il senso di tali interlocuzioni, in particolare la visita di G. Meloni, di cui questo scritto si occupa, è necessario scendere sotto la superficie per catturare quel prisma di sottintesi/malintesi solitamente rimosso per pigrizia, convenienza o pavidità. Un esercizio questo che offre altresì l’occasione per toccare altri aspetti di natura internazionale, scollegati dalla visita, ma utili alla riflessione.

A Pechino, G. Meloni ha incontrato i vertici della Repubblica Popolare, il presidente Xi Jinping, il primo ministro Li Qiang, il presidente dell’Assemblea Nazionale del Popolo, Zhao Leji, tutti consapevoli, ça va sans dire, che i due paesi hanno un peso economico e politico ben distinto, oltre ad appartenere a diversi sistemi di alleanze.

Deve rilevarsi che le intese raggiunte non hanno per i due paesi una valenza di impegni formali. L’Italia, infatti, quale membro della gabbia europea, non può sottoscrivere accordi bilaterali veri e propri, una competenza questa che spetta solo alla Commissione Ue, sul cui sostegno l’Italia non ha mai potuto contare.

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Goffredo Fofi: Crescere

gliasini

Crescere

di Goffredo Fofi

Goffredo Fofi ci ha mandato queste riflessioni inquiete. Le pubblichiamo perché ci esortano provocatoriamente ad aprire un dibattito su di noi, senza nessuna pretesa di interpretare un evento terribile né di dire una verità su una giovane vita o la tragicità del crescere. (Gli asini)

buco nero seconfdo 1320x1407.jpg“L’estate sta finendo / e un anno se ne va/ Sto diventando grande / lo sai che non mi va” diceva una canzone balneare di molti anni fa, parlando per voce di un ragazzino.

Ma “l’estate” è già passata, e siamo da tempo all’inverno – l’inverno del pianeta o, con maggiore certezza – del genere umano, e di questo sembrerebbe che si rendano conto, con palese o segreta immediatezza, piuttosto i giovani, gli adolescenti, che non gli adulti. I quali non cessano di pontificare, per bocca di filosofi e psicologi e teologi e quant’altro, sul disagio dei più giovani, pronti a sparare le loro miserabili cartucce a ogni, ricorrente e spaventante, fatto di cronaca che questo disagio dimostra in modi sanguinosi e quasi sempre dall’interno dell’istituzione fondante e centrale della società in cui viviamo, la famiglia.

La “sacra famiglia”, dissacrata vertiginosamente dalla società dei consumi e da altre “virtù” repubblicane che, tutte, hanno al loro centro – anche quando dicono il contrario – il Dio Denaro. L’orrore suscitato da certi fatti di cronaca come quello che ha sconvolto poco tempo fa (ma davvero in profondità?) una cittadina lombarda che chi scrive ha conosciuto durante gli anni delle ultime lotte operaie viene facilmente rimosso dalle spiegazioni e dai consigli degli esperti, primi fra tutti giornalisti-teologi e soprattutto i giornalisti-psicologi.

Sì, chi mai studierà quanto male hanno fatto e continuano a fare gli psicologi con le loro spiegazioni facili-facili e i loro ipocriti consigli alle famiglie e agli insegnanti? Con la loro super-presenza di guru che, beati loro, sanno tutto di come funziona la psiche umana e di conseguenza la società?

Ricordo con disagio la grande voga, e le grandi speranze suscitate nel declino del movimento del ‘68 dalla corsa di tanti giovani ex-militanti alla facoltà di psicologia di Padova – speculare a quella di altre corse, certo meno dannose, alla facoltà di sociologia di Trento.

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Luca Benedini: Effetti culturali dell’economia neoliberista III

sinistra

Effetti culturali dell’economia neoliberista III

di Luca Benedini

(terza parte: un atteggiamento egocentrico di fondo che si sta rivelando sempre più distruttivo sul piano ambientale ed umano e – grazie anche all’insipienza diffusasi durante il ’900 nella cosiddetta sinistra – un “sistema di potere” particolarmente efficace)*

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neoliberismo apLa scarsa attenzione neoliberista per la salvaguardia dell’ambiente, della salute pubblica, della natura

Un’altra emblematica tendenza sociale attuale è il disinteresse di fondo con cui i neoliberisti trattano sia la prevenzione delle malattie, degli squilibri climatici e dei dissesti idrogeologici, sia la tutela della biodiversità e di una ben sviluppata fertilità della terra, un disinteresse che è nel contempo una sorta di “educazione delle masse” a dare anch’esse poca importanza a tutte queste cose: sarebbe pericoloso se le classi popolari pensassero che la loro salute è importante, più importante dei profitti delle grandi aziende industriali, commerciali, ecc., e se pensassero che anziché ridurre il più possibile le tasse ai ricchi e lasciare in tal modo al lumicino le finanze pubbliche – pur preservando comunque una certa tendenza della pubblica amministrazione (P.A.) al clientelismo e alla corruzione, tendenza che ai ricchi fa molto comodo… – bisognerebbe investire con diffusa attenzione e con oculatezza consistenti quantità di soldi pubblici per tutelare il clima planetario, l’assetto naturale di colline, monti, fiumi, mari e coste, la qualità intrinseca di terreni e acque, le specie viventi, la presenza diffusa di macchie di alberi e altri aspetti cruciali dell’ambiente e del paesaggio (investimenti che, per di più, in questo tipo di progettualità andrebbero fatti possibilmente prima che dagli squilibri di questi fattori derivino drammatiche devastazioni degli ecosistemi e della vita di questa o quella comunità locale)…

La tipica tendenza del pensiero neoliberista nei confronti delle problematiche ambientali, climatiche, sanitarie, sociali, ecc. è: “Lasciamo che esplodano, così potremo guadagnarci sopra in un modo o nell’altro…

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Gianandrea Gaiani: Istruttori europei in Ucraina: un monito da Poltava (e Stoccolma)

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Istruttori europei in Ucraina: un monito da Poltava (e Stoccolma)

di Gianandrea Gaiani

Benché qualche media abbia continuato a sostenere che l’attacco missilistico russo effettuato il 3 settembre a Poltava (Ucraina Orientale) avesse colpito obiettivi civili, non ci sono più dubbi circa il fatto che almeno 2 vettori russi (ipersonici Kinzhal o balistici Iskander) abbiano distrutto il 179° Centro di Formazione interforze delle forze armate ucraine situato secondo fonti russe in via Zinkovskaya. Blogger militari russi hanno sostenuto che la struttura ospitasse un centro di addestramento per la guerra elettronica.

Secondo il ministero della Difesa russo nel centro di Poltavaistruttori stranieri stavano addestrando specialisti di guerra elettronica di tutte le formazioni e unità militari delle forze armate ucraine, oltre agli operatori di veicoli aerei senza pilota coinvolti negli attacchi alle strutture civili sul territorio russo.

Il giorno dell’attacco le forze armate ucraine hanno confermato che l’obiettivo colpito era militare. In una nota riferirono che ci sono “decine di morti e centinaia di feriti: abbiamo perso i nostri coraggiosi ucraini, i nostri fratelli e sorelli, i soldati” aggiungendo che ci sarà un’indagine per accertare se è stato fatto abbastanza per proteggere “la vita e la salute dei soldati” che si trovavano nell’istituto militare colpito.

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Nico Maccentelli: Cosa aspettiamo? I tempi per una nuova sinistra sono maturi…

nicomaccentelli

Cosa aspettiamo? I tempi per una nuova sinistra sono maturi…

di Nico Maccentelli

Dopo decenni di inciuci italici tra i piccoli soggetti della sinistra radicale, dopo il fallimento del Noveau Front Populaire in Francia, nonostante la vittoria elettorale (Melenchon non aveva fatto i conti con massoni ben più potenti i golpismo permanente di Davos…) e nell’era di una sinistra liberale che da Blair in poi ha assunto il ruolo internazionale di massima espressione del suprematismo atlantista, finalmente una nuova sinistra dalla Germania: il BSW di Sahra Wagenknecht.

Le elezioni regionali in Turingia e Sassonia, infatti, parlano chiaro:
A) vincono i partiti che rimettono al centro la sovranità nazionale poiché è chiaro anche alla popolazione meno acculturata e alle fasce più popolari che da tale sovranità passano i bisogni e gli interessi sociali della popolazione
B) il declino della sinistra neoliberale nelle sue varianti è determinato dal suo posizionamento a zerbino nei confronti del neoliberismo atlantista, europeista e guerrafondaio
C) se si afferma la destra più estrema è perché la sinistra non fa ciò che le masse popolari si aspettano, ossia tutelare i loro bisogni e interessi mettendoli al centro

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Redazione: Dalla Germania buone notizie

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Dalla Germania buone notizie

di Redazione

Panico negli ambienti euroatlantici per i risultati delle elezioni regionali nella parte orientale della Germania. Tiene solo il partito democristiano, mentre i socialdemocratici, che guidano il governo nazionale, hanno avuto una batosta tremenda. Cancellati i liberali. Qui il giochino sporco messo in atto da Macron in Francia, di mettere insieme la “sinistra” col “centro” per fermare la destra non ha funzionato, perché il sistema elettorale è proporzionale e non maggioritario e ciò ha evitato le pastette e la trappola politica. I vincitori sono indubbiamente, nell’ordine, il partito di estrema destra AfD e il partito di sinistra di Sahra Wagenknecht.

La propaganda bellicista nostrana (e non solo) si sbraccia per assimilare questi due partiti e affibbiare patenti aberranti agli uni e agli altri.

Ma è così?

AfD viene etichettato come nazista dai sostenitori del nazismo ucraino e sionista. E già farebbe ridere così. Abbiamo sempre sostenuto che il nazismo pericoloso che avanza nel mondo è quello della NATO. Tuttavia non si può negare che l’avversione alle burocrazie dominanti europee di AfD non è affatto basato su elementi di rottura, ma da una contrapposizione di interessi tra due settori della borghesia.

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Tommaso Nencioni: Crisi dell’impero tedesco

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Crisi dell’impero tedesco

di Tommaso Nencioni

Nel suo ultimo libro il sociologo tedesco Wolfgang Streeck descrive il processo di costruzione europea post-Maastricht come processo di costruzione di un impero liberale a trazione tedesca. Quando Streeck parla di impero non definisce per forza un potere che si irradia dal centro alla periferia attraverso la conquista militare; piuttosto come un insieme di realtà statuali che cedono sovranità a un centro a loro esterno, a prescindere dalla violenza con cui il processo è portato a termine. La descrizione del processo di costruzione europea come strutturarsi di un centro forte nell’ex area del marco e di una periferia mediterranea e orientale (tralasciando qui la questione del ruolo giocato dalla Francia, decisiva ma non fondamentale per la tesi che qui si vuole sostenere) può essere accettata abbastanza pacificamente. Allo stesso tempo Streeck indica, come precondizione per lo strutturarsi di un impero su basi liberali, la presenza al potere nei paesi periferici di una élite che si faccia carico di accettare le condizioni poste dal centro imperiale, a ciò dovendo la propria legittimazione dall’alto; e di veicolare al proprio corpo elettorale, rendendoglielo digeribile, il messaggio che ciò che va a vantaggio del centro imperiale avrà ricadute positive anche sulle periferie. Magari in base a un disegno non immediatamente riconoscibile, giacché nel breve periodo si renderanno necessari dei “sacrifici”.

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Enrico Grazzini: La moneta bancaria è la causa principale delle crisi del debito e delle crisi finanziarie

economiaepolitica

La moneta bancaria è la causa principale delle crisi del debito e delle crisi finanziarie

di Enrico Grazzini

9791259672940 0 200 0 0.jpgEsistono tre tipi fondamentali di moneta: la moneta bancaria, creata dalle banche commerciali; le monete metalliche e le banconote, moneta legale; e la moneta riserva delle banche commerciali utilizzata per i pagamenti interbancari [1]. La banca centrale crea moneta dal nulla (moneta fiat) moneta di riserva solo ed esclusivamente per le banche commerciali e queste ultime creano moneta dal nulla (moneta bancaria) solo ed esclusivamente per l’economia reale e finanziaria, ovvero per le imprese, gli individui e gli enti pubblici -. I due circuiti – quello di banca centrale e quello delle banche commerciali – sono separati ma collegati [2].

Solo le banche commerciali hanno il privilegio di avere un conto corrente presso la banca centrale e di ottenere moneta legale di prima emissione: il pubblico – cittadini/e, imprese, enti pubblici – non ha accesso diretto alla moneta di banca centrale e alla moneta legale (moneta sicura perché coperta dallo Stato).

Circa l’80-90% della moneta che circola nell’economia reale è moneta bancaria. Il resto sono (oltre che le monete spicciole per le piccole spese) banconote emesse dalla banca centrale: tuttavia per avere le banconote di moneta centrale occorre avere prima un conto bancario. Infatti la banca centrale non emette banconote direttamente per il pubblico. Quindi tutte le monete che circolano nell’economia reale e nell’economia finanziaria hanno in qualche modo origine solo ed esclusivamente nel sistema bancario.

La banca commerciale crea moneta bancaria dal nulla quando concede un credito: la moneta creata dalla banca è moneta scritturale, ovvero la banca segna all’attivo il credito che il creditore dovrà restituire con l’interesse e segna al passivo il deposito bancario creato per il cliente [3].

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Il Lato Cattivo: Persistenze e metamorfosi della questione ebraica

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Persistenze e metamorfosi della questione ebraica

Una rilettura di Abraham Léon

di Il Lato Cattivo

vncldx bmb.jpg«Ma in realtà la vita ci mostra a ogni passo, nella natura e nella società,
che vestigia del passato sopravvivono nel presente».
(Lenin, Stato e rivoluzione)

La presente nota mira a presentare e attualizzare il contenuto dell’opera di Abraham Léon, La concezione materialistica della questione ebraica (scritta nel 1942, pubblicata postuma nel 1946, e meglio nota in Italia con il titolo: Il marxismo e la questione ebraica1), in un’ottica non slegata dalla congiuntura internazionale attuale e, più specificatamente, dai rivolgimenti che hanno caratterizzato il contesto mediorientale dopo il 7 ottobre 2023. L’interrogativo soggiacente a cui ci si propone non già di rispondere, ma di fornire un impianto concettuale, concerne nientemeno che la perennità dello Stato di Israele. Con gli occhi incollati alle immagini dei massacri e delle vessazioni inflitte ai palestinesi, rischiamo di non vedere il dispiegarsi di macro-processi al tempo stesso più sotterranei e più potenti. Il contrattacco iraniano della notte fra il 13 e il 14 aprile 2024 in risposta al bombardamento del consolato d’Iran a Damasco, non è che il più eclatante, e senz’altro non l’ultimo, di una serie di episodi recenti che stanno via via svelando le numerose fragilità di Israele – fragilità che non sfuggono ai commentatori delle più varie estrazioni, israeliani compresi. Alcuni titoli apparsi recentemente, provenienti da voci anche eminenti, sono perlomeno sintomatici in questo senso: Israel is losing this war2; Israel’s Self-Destruction3; The Collapse of Zionism4; Hamas is winning5. Nonostante la loro diversità, queste analisi trovano un terreno d’incontro nel constatare che la supremazia su cui Israele può far leva, sia in termini di alleanze internazionali che di autonoma force de frappe, non basta a dissolvere il grande punto interrogativo che ha cominciato ad aleggiare sul suo futuro.

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Pino Cabras: Spendete molto di più in armi: ce lo chiede la NATO!

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Spendete molto di più in armi: ce lo chiede la NATO!

di Pino Cabras

Essere il Numero Due di qualcuno che si chiama Stoltenberg è un lavoro sfigato, ma qualcuno lo deve pur fare. Il signor Angus Lapsey se ne fa carico e si guadagna la pagnotta con dichiarazioni come questa: «I paesi della NATO dovranno aumentare la loro spesa militare al 3% del PIL e oltre». Pensate, già ora le economie europee, massacrate dal vassallaggio agli Stati Uniti stanno annaspando per soddisfare l’esosa richiesta del 2% del PIL. Figuriamoci come boccheggeranno per un incremento di oltre la metà delle spese esistenti. E mica basta. Lapsey l’Insaziabile aggiunge un minaccioso «e oltre».

Uno si chiederà, com’è la situazione ora, nel pieno di una guerra sempre più diretta tra NATO e Russia?

Secondo i dati più recenti del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), la spesa militare totale dei paesi NATO nel 2023 è stata intorno a 1.286 miliardi di dollari, una cifra che rappresenta circa il 53% della spesa militare globale.

Per quanto riguarda la Federazione Russa, la spesa militare nel 2023 è stata stimata in 109 miliardi di dollari. In altri termini, la spesa militare della NATO supera di gran lunga quella russa, con una proporzione di circa 12 a 1 nel 2023.

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Federico Losurdo: Il nuovo patto di stabilità, la finanziarizzazione dell’economia

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Il nuovo patto di stabilità, la finanziarizzazione dell’economia

di Federico Losurdo

Anche dopo la sua riforma, il patto di stabilità e crescita continua ad apparire “stupido”. Ma dietro le regole e i numeri contenuti nel PSC si cela da sempre un obiettivo politico chiaro: comprimere la spesa pubblica degli Stati membri per agevolare la privatizzazione dei servizi sociali

L’Unione economico-monetaria, perfezionata dal PSC nel 1997, si sarebbe dovuta ancorare ai codici normativi dell’integrazione attraverso il diritto, il “credo” ordoliberale. Un’Unione vincolata a un sistema di norme giuridiche sovranazionali giustiziabili, preordinate a compensare il vuoto di solidarietà tra gli Stati membri (Joerges-Giubboni, 2013). La politica monetaria veniva in tal modo federalizzata e, al contempo, depoliticizzata, immunizzandola da possibile “derive” keynesiane nella gestione macroeconomica (Ciocca, 2024).

 

Il credo ordoliberale e le sue aporie

La “fedeltà” del PSC al paradigma dell’integrazione attraverso il diritto è dubbia già solo guardando alla sua incerta base giuridica.

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Alberto Giovanni Biuso: Babilonia

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Babilonia

di Alberto Giovanni Biuso

La natura profondamente teologica dell’opera narrativa e drammaturgica di Friedrich Dürrenmatt si esprime nei temi, nel lessico, nel significato complessivo dei suoi singoli romanzi, racconti, commedie e drammi. A volte però lo fa in modo palese e diretto, come nel caso di Un angelo è sceso a Babilonia (in «Teatro», a cura di Eugenio Bernardi, trad. di Aloisio Rendi, Einaudi-Gallimard, Torino 2002, pp. 335–419).

Nella Babilonia del re Nabucodonosor, un’immensa città fatta di burocrati, mercanti, militari, teologi e mendicanti, appare un angelo del Signore a portare con sé una splendente fanciulla appena creata dal nulla. Kurrubi, questo il suo nome, è destinata al più miserabile degli umani che l’angelo riuscirà a trovare. Il problema è che Nabucodonosor si è messo in testa di eliminare dal suo regno tutti i mendicanti, trasformandoli in impiegati dello Stato. Ne è rimasto uno solo, Akki, che si ostina a rifiutare l’offerta del sovrano. Il quale prova a fare un ultimo tentativo travestendosi anche lui da mendicante per convincere Akki a cambiare mestiere. L’angelo e Kurrubi incontrano dunque due mendicanti e non uno solo, come invece si aspettavano. Hanno quindi inizio una serie di equivoci, malintesi, ambiguità, incomprensioni ed epifanie, nella cui costruzione Dürrenmatt è davvero maestro in ogni suo testo.

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Paolo Bartolini: Quello che non c’è

sinistra

Quello che non c’è

di Paolo Bartolini

Io non so se il 15% di italiani sia una cifra credibile per riferirci a quell’area del dissenso di cui ha parlato in un recente post il filosofo Andrea Zhok. Ritengo tuttavia che sia molto probabile che quest’area, nel medio-lungo periodo, venga assorbita dentro il perimetro delle destre reazionarie.

Il motivo è presto detto: lo scontento di una parte della popolazione per le sceneggiate del finto bipolarismo centro-destra/centro-sinistra, si nutre troppo spesso di induzioni al riduzionismo, di contrapposizioni falsate (la più incredibile è la fissa polemica relativa alla cosiddetta ideologia gender, che nasconde a malapena sessismo e maschilismo mischiati a un tradizionalismo opprimente). Persi nelle catacombe di Internet i dissidenti/dissenzienti finiscono per mescolare un po’ di tutto, facendo grande confusione e nutrendo l’ego di leader narcisisti e superficiali. Eppure, liquidare quest’area abitata da persone un po’ conservatrici e un po’ socialisteggianti usando l’etichetta del rossobrunismo, mi pare un riduzionismo simmetrico e complementare a quello dei sovranisti/populisti. Detto questo evidenzio di seguito, per punti e in maniera sintetica, alcune direttrici politiche che permetterebbero di ascoltare cosa si agita nella pancia di questa fetta di società senza però cadere in derive destroidi, cospirazioniste e ultraconservatrici.

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