[SinistraInRete] Roberto Iannuzzi: Crisi strategica di Israele e crescente rischio di un conflitto regionale

Rassegna 12/08/2024

Roberto Iannuzzi: Crisi strategica di Israele e crescente rischio di un conflitto regionale

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Crisi strategica di Israele e crescente rischio di un conflitto regionale

di Roberto Iannuzzi

Il crollo del paradigma israeliano della deterrenza, la deriva etnonazionalista del paese, e il rischio di una nuova “Nakba” palestinese, spingono la regione mediorientale verso l’abisso

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2048x1365Lo sciopero generale è l’ultimo nemico, in ordine di tempo, del premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Il ritrovamento dei corpi di 6 ostaggi nei tunnel di Rafah che, secondo il governo, Hamas avrebbe ucciso all’approssimarsi dell’esercito israeliano, ha scatenato l’ira popolare contro il primo ministro e il suo esecutivo, accusati di aver troppo a lungo sabotato il negoziato per il rilascio degli ostaggi.

In quasi 300.000 sono scesi in piazza a Tel Aviv, dando vita alla più ampia manifestazione di protesta dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, mentre altre 200.000 persone sfilavano a livello nazionale.

Ma Netanyahu pare inarrestabile. Parlando ai giornalisti riuniti in conferenza stampa, ha ribadito che non intende abbandonare il Corridoio Philadelphia, l’esile striscia di terra lungo il confine con l’Egitto che né il Cairo né Hamas ritengono accettabile rimanga sotto il controllo israeliano nel caso di un cessate il fuoco.

Una simile decisione è stata criticata da Washington e dagli stessi vertici militari israeliani, i quali hanno confermato al loro premier di poter riacquistare il controllo del Corridoio in ogni momento qualora dovesse ricominciare il contrabbando di armi fra Egitto e Gaza (contrabbando peraltro negato sia dal Cairo che da Hamas).

La scelta di Netanyahu, di fatto, condanna al fallimento i negoziati per il raggiungimento di una tregua, allontanando a tempo indeterminato la prospettiva di una sospensione permanente delle ostilità.

Un perpetuo stato di contraddizione 

Che le proteste di piazza possano portare a un ripensamento del premier al momento pare poco verosimile.

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Jeffrey D. Sachs: Come i Neocons hanno scelto l’egemonia invece della pace a partire dai primi anni ’90

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Come i Neocons hanno scelto l’egemonia invece della pace a partire dai primi anni ’90

di Jeffrey D. Sachs

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finalhorz.jpgNel 1989 sono stato consulente del primo governo post-comunista della Polonia e ho contribuito a elaborare una strategia di stabilizzazione finanziaria e di trasformazione economica. Le mie raccomandazioni del 1989 richiedevano un sostegno finanziario occidentale su larga scala per l’economia polacca, al fine di prevenire un’inflazione incontrollata, consentire una valuta polacca convertibile a un tasso di cambio stabile e un’apertura del commercio e degli investimenti con i Paesi della Comunità Europea (oggi Unione Europea). Queste raccomandazioni sono state ascoltate dal Governo degli Stati Uniti, dal G7 e dal Fondo Monetario Internazionale.

Sulla base dei miei consigli, è stato istituito un fondo di stabilizzazione da 1 miliardo di dollari in Zloty, che è servito da supporto alla nuova valuta convertibile della Polonia. Alla Polonia è stata concessa una sospensione del servizio del debito dell’era sovietica, e poi una cancellazione parziale di quel debito. Alla Polonia è stata concessa una significativa assistenza allo sviluppo sotto forma di sovvenzioni e prestiti da parte della comunità internazionale ufficiale.

Le successive prestazioni economiche e sociali della Polonia parlano da sole. Nonostante l’economia polacca abbia vissuto un decennio di crollo negli anni ’80, nei primi anni ’90 la Polonia ha iniziato un periodo di rapida crescita economica. La valuta è rimasta stabile e l’inflazione bassa. Nel 1990, il PIL pro capite della Polonia (misurato in termini di potere d’acquisto) era pari al 33% della vicina Germania. Nel 2024, aveva raggiunto il 68% del PIL pro capite della Germania, dopo decenni di rapida crescita economica.

Sulla base del successo economico della Polonia, nel 1990 sono stato contattato da Grigory Yavlinsky, consigliere economico del Presidente Mikhail Gorbaciov, per offrire una consulenza simile all’Unione Sovietica e, in particolare, per aiutare a mobilitare il sostegno finanziario per la stabilizzazione e la trasformazione economica dell’Unione Sovietica.

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David Insaidi: Germania, guerra e crisi sconvolgono la politica

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Germania, guerra e crisi sconvolgono la politica

di David Insaidi

Germania, guerra e crisi sconvolgono la politica nei due Lander tedeschi spicca l’affermazione della neonata forza politica “Bundnis Sahra Wagenknecht”, la quale ha raggiunto il 15,8% dei consensi in Turingia e l’11,8% in Sassonia (peraltro in elezioni che hanno visto un’elevata partecipazione al voto), risultando in entrambi i casi la terza forza politica.

Insomma, assistiamo a una chiara sconfitta per il Governo Scholz.

Certo, va tenuto presente che si tratta di due Lander che facevano parte della ex Repubblica Democratica Tedesca (DDR) e quindi presentano una loro specificità, il che in ogni caso testimonia di come, nonostante la tanto sbandierata riunificazione, in questi decenni non ci sia mai stata una vera integrazione.

Tuttavia, in attesa di conoscere come voteranno gli altri tedeschi, non si può non notare come tale risultato si presenti assai simile a quello delle recenti elezioni in Francia, dove abbiamo assistito alla debacle di Macron.

A che cosa sono dovuti questi risultati? Con tutta probabilità i fattori principali sono due e, neanche a dirlo, strettamente collegati tra di loro.

Il primo è di sicuro il problema della guerra.

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Il Chimico Scettico: Il Potere, la Scienza e …

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Il Potere, la Scienza e …

di Il Chimico Scettico

Alberto Fernández, presidente argentino, chiuse il paese in un lockdown che durò sette mesi. Nel frattempo vedeva le sue amanti nel suo ufficio alla Casa Rosada e picchiava la moglie. È il potere, potrebbe dire qualcuno, il potere corrompe. Oppure potrebbe essere qualcosa di diverso.

Prendiamo la “Scienza”, quella predicata con la S maiuscola. “L’uso della Scienza come principio di autorità (il contrario della scienza) e con finalità di esercizio arbitrario del potere è un po’ come afferrare la testa di una donna e portarsela alle palle”, mi scrive Francesca Capelli. Ma se di fatto l’autorità scientifica maschile configura un potere, c’è da stupirsi se si configura in quel modo? Una certa categoria di uomini, in generale, il potere lo concepisce così – se non include l’afferrare la testa di una donna e portarsela alle palle non è vero potere. Non so se ve lo ricordate, ma l’Italia è stata governata un po’ troppo a lungo da un soggetto del genere. Ovviamente esiste una popolazione maschile che il potere non lo vive così, una popolazione che probabilmente include parricidi in pectore, edipi, soggetti con l’istinto del protettore, ma non si limita a loro. Una popolazione che può essere ridotta dagli altri a un problema di omosessualità latente (perché, di nuovo, gli altri sono fatti così e se non concepisci il potere come loro non hai le palle).

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comidad: Capitalisti col denaro pubblico, compreso Soros

comidad

Capitalisti col denaro pubblico, compreso Soros

di comidad

La gran parte del dibattito pubblico è basata su suggestioni, astrazioni ed elucubrazioni, in modo da marginalizzare le poche notizie concrete; addirittura si può determinare un fenomeno di condizionamento per il quale una parte dell’opinione pubblica diventa impermeabile a qualsiasi elemento di fatto. Un ulteriore esempio di cortina fumogena è la gestione della vicenda del disastro del panfilo Bayesian, infatti ogni giorno spunta un nuovo testimone o un nuovo video che sembrano aprire chissà quale prospettiva di indagine. In tal modo si perde di vista l’unico dato di fatto stabilito dagli “inquirenti”, e cioè che tutti gli indagati dell’equipaggio sono volati via, sono uccel di bosco, con tanto di autorizzazione della magistratura che ha concesso loro di lasciare l’Italia; perciò se ci fossero stati un crimine premeditato ed eventuali mandanti, si perderebbe ogni possibilità di farseli rivelare. Nelle fiction il poliziotto dice al sospettato di tenersi a disposizione e di non lasciare la città, ma qui siamo nella realtà e, quando ci potrebbero essere di mezzo i veri potenti, la magistratura non finge neanche di voler fare le indagini; perché anche la mera finzione potrebbe essere fraintesa e diventare rischiosa.

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Leo Essen: Urgenza del Rifiuto del lavoro

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Urgenza del Rifiuto del lavoro

di Leo Essen

Il «Rifiuto del lavoro» e la «Redistribuzione del tempo di lavoro necessario residuo» erano scritti su tutte le bandiere dell’Autonomia. E fa bene Bifo a ricordarlo con questo prezioso libretto giallo scritto nel 1993, quando gli Autonomi si vedevano ormai solo sui libri di scuola.

Cosa si rifiuta con il Rifiuto del lavoro? Certo non l’attività umana, ciò che Marx chiama il metabolismo tra uomo e natura. Lavoro e Attività non sono la stessa cosa. Potremmo dire che il lavoro è ciò che ci piace fare, e l’attività è il contrario; ma vediamo subito che una tale distinzione è illusoria.

Da buon fenomenologo – ha studiato a Bologna con Anceschi – Bifo non cede allo psicologismo o empirismo ingenui. Il lavoro non ha nulla a che fare con il piacere e il dispiacere, col piacere che crede di provare il Prof e il dispiacere che, sempre il prof, crede provi la cassiera dell’Esselunga. Ci sono cassiere che amano il lavoro, e ci sono Prof che detestano ripetere ogni anno l’avvio dell’istituzione cosiddetta totale.

Libro importante, scritto semplice, che tutti dovrebbero leggere, soprattutto quei perbenisti che usano l’etichetta Rifiuto del lavoro per bollare di infamia una serie di lavori, in genere lavori manuali semplici, come appunto quello della cassiera, lavori che fanno gli altri (gli sfigati); lavori sfigati contrapposti ad altri lavori, quelli che fanno loro (o che vorrebbero fare loro) e che in genere hanno a che fare con l’arte, la cultura, il teatro, il cinema e (come ripiego) il Prof.

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Nico Maccentelli: Se si va con un ladro…

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Se si va con un ladro…

di Nico Maccentelli

Schermata 2024 09 02 alle 18.51.27.png… non ci si può poi stupire se non trovi più il portafoglio. L’intera operazione del Nouveau Front Populaire delle sinistre francesi alle scorse elezioni è stato un potente assist a Macron, che è il nemico principale per le classi subalterne poiché diretta espressione delle oligarchie imperialiste atlantiste.

Questo argomento l’avevo già affrontato qui.

Infatti, scrivevo riguardo:“… al Front Populaire costituitosi in Francia, è ben evidente che il cuore del progetto guerrafondaio della NATO resta tutto ed è quello che per il nemico di classe conta realmente, in mezzo alla fuffa che la guerra stessa e la sua economia farà sparire come neve al sole. Questa è la tonnara di cui parlavo all’inizio. Una tonnara politica dove, spiace dirlo, gli attori finali sono degli utili idioti.”

A questo punto, sarebbe interessante sapere che ne pensa la base sociale che ha votato per il FP, i lavoratori, la gente delle banlieu, le componenti sociali scese in piazza contro Macron e le sue politiche, dagli aumenti del gasolio alle pensioni. Cosa ne pensa chi avrebbe vinto, riguardo la parte finale del copione macroniano: ossia del blocco anticostituzionale messo in atto contro il partito maggioritario della coalizione elettorale vincente? Questa base, composta da milioni di francesi, sarebbe stupita di questo?

In realtà tutto è andato secondo i piani dell’oligarchia imperialista espressa dal governo precedente, che poi è quello attuale degli”affari correnti”, e quindi nulla di cui stupirsi, come mostra di esserlo invece il Marrucci nel suo pippone su Ottolina tv. La scoperta dell’acqua calda. Pippone che tuttavia merita comunque di essere visto poiché fa una cronistoria puntale di tutta la vicenda francese del dopo elezioni europee e, per chi volesse saperne di più, rimando a questo contributo.

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Il Pungolo Rosso: Un terremoto politico nella Germania (e nell’UE) in crisi

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Un terremoto politico nella Germania (e nell’UE) in crisi

di Il Pungolo Rosso

37ed9e4d8b2a172d6abd4b1b708fc679 U40723070353sId 1440x752IlSole24Ore Web.jpgLe elezioni di domenica in Turingia e Sassonia, per quanto abbiano coinvolto meno del 10% della popolazione totale della Germania, sono state senza dubbio una scossa tellurica nella politica tedesca e, di conseguenza, europea.

L’affermazione prepotente dell’AfD nella destra e quella della BSW, l’Alleanza Sahra Wagenknecht, nella (per così dire) sinistra indicano, dopo le europee, una chiara linea di tendenza, probabilmente non di breve periodo.

Sulla stampa italiana assatanata di russofobìa, la chiave di lettura dominante è quella della vittoria dei filo-russi o filo-putiniani. Certo, dopo la batosta elettorale subita dal bellicista Macron, questa seconda legnata sulla testa di una coalizione come quella di Berlino sempre più allineata agli ordini dei comandi NATO, riempie Putin e i suoi di soddisfazione. Veder precipitare nel baratro dopo la Truss e Sunak, anche la belva verde Baerbock e l’ameba Scholz, pronto a firmare ogni fornitura di armi a Kiev fino all’istante prima rifiutata… li si può capire. Per noi le cose, però, stanno diversamente. E sebbene il fattore guerra in Ucraina sia stato di grande peso negli esiti delle ultime elezioni, bisogna scavare più a fondo: guardare ai cambiamenti in atto da tempo, da molto prima del febbraio 2022 (che li ha solo accelerati), nella divisione internazionale del lavoro e all’acutizzazione della concorrenza internazionale che hanno penalizzato tanto la Germania quanto l’UE provocando in tutti i paesi europei, i più ricchi inclusi, un crescente malessere sociale.

Da almeno cinque anni la Germania ha cessato di essere il traino dell’economia europea ed è entrata in stagnazione. È venuto al pettine un triplo nodo su cui ora l’economia tedesca è incagliata, con inevitabili riflessi sulla vita sociale e politica del paese: il boom post-unificazione fondato sul lavoro e le materie prime a basso costo, l’ossessione del pareggio di bilancio, il rapporto con gli Stati Uniti.

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Francesco Tucci: Ripoliticizzare l’economia

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Ripoliticizzare l’economia

Alcune riflessioni su un libro di Clara E. Mattei

di Francesco Tucci

0e99dc 319eebc264da4640af6fa9b0b73aee8emv2Francesco Tucci riflette su L’economia è politica (Fuori scena, 2023), testo di Clara E. Mattei che si pone il fine, attraverso un’analisi radicale del sistema economico contemporaneo, di ripoliticizzare il modo in cui guardiamo alle relazioni economiche, mettendo a critica il metodo di studio degli economisti mainstream, spiegando come la depoliticizzazione sia stata funzionale sul piano ideologico al mantenimento dell’ordine contemporaneo, discutendo l’incompatibilità tra capitalismo e democrazia.

* * * *

In conclusione alla sezione introduttiva del proprio volume, Clara Mattei dichiara esplicitamente quali siano gli obiettivi intellettuali ma soprattutto politici del proprio scrivere:

Voglio invece chiarire quali sono i meccanismi oppressivi e quali i nemici da combattere. Scrivo queste pagine esplicitamente militanti in opposizione alla tipica maniera distaccata degli economisti. Ciò non significa rinunciare al rigore scientifico nell’indagine. Al contrario, vuol dire rivendicare l’inestricabile posizionamento sociale dell’intellettuale, che non può che essere situato nel mondo e, come ricordava Gramsci, organico alla lotta di classe (Mattei, 2023, pag. 30).

In questo breve passaggio troviamo tutti i temi che animano L’economia è politica, uscito nel novembre 2023 per Fuori Scena. Clara E. Mattei è professoressa associata al Dipartimento di Economia della New School for Social Research, e la sua ricerca nel corso degli anni si è concentrata in particolare sulla relazione tra la filosofia del pensiero economico e le ideologie politiche. Tra i temi sollevati, a mio avviso ne emerge soprattutto uno, che rappresenta indubbiamente la spina dorsale del libro. L’economia è politica è infatti un volume che attraverso un’analisi radicale del sistema economico contemporaneo si pone il fine di ripoliticizzare il modo in cui guardiamo alle relazioni economiche, le percepiamo e ne discutiamo all’interno della società.

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Andrea Zhok: Usa, Israele e quei toni da sicari della mafia

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Usa, Israele e quei toni da sicari della mafia

di Andrea Zhok*

Ieri il senatore americano Lindsey Graham ha proclamato in diretta televisiva l’intenzione (si presume a nome dell’amministrazione americana) di uccidere il leader di Hamas Yahya Sinwar: “Sinwar, noi non abbiamo intenzione di metterti sotto processo, noi ti uccideremo.” 

Tralasciamo bazzecole come il fatto che negli stessi contesti in cui chiudono un sito di analisi geopolitica come “The Cradle”, con l’accusa di “fomentare l’odio”, poi ritroviamo serenamente ministri come l’israeliano Ben Gvir o senatori come Graham a promettere a reti unificate eccidi o assassini. 

Ciò che credo meriti un’adeguata valutazione è il fatto che questi toni da sicari della mafia si trovano a livello istituzionale soltanto in alcuni specifici contesti, ovvero nell’ambito della politica americana e israeliana. Toni simili li si può trovare occasionalmente nei filmini Home Made di qualche tagliagole islamista o nei proclami dell’ISIS (e qualcuno direbbe che è una conferma di chi c’è davvero dietro l’ISIS), ma a livello ufficiale, istituzionale, governativo non mi vengono in mente altre nazioni, neanche proverbiali “stati canaglia” che si permettano queste uscite. 

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Piccole Note: L’unipolarismo Usa, i Brics e il mondo multipolare

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L’unipolarismo Usa, i Brics e il mondo multipolare

di Piccole Note

Il multipolarismo dei Brics non è un blocco contrapposto all’unipolarismo Usa, ma un’altra e più realistica visione del mondo

L’annuncio della richiesta formale di adesione della Turchia ai Brics, riferito ieri anche dall’autorevole Bloomberg (come abbiamo riportato), non era veritiero, come da affermazioni successive di Ömer Çelik, vicepresidente e portavoce dell’AKP (il partito al governo), il quale però ha confermato la sostanza della questione: “Il nostro Presidente [Erdogan] ha dichiarato più volte che vogliamo diventare membri dei BRICS. La nostra richiesta su questo tema è chiara, il processo è in corso”.

Tempi più lunghi, quindi, ma la via è tracciata. I media, peraltro, hanno rilanciato la notizia della presenza di Erdogan al vertice dei Brics che si terrà a Kazan a fine ottobre (Ansa), al quale parteciperà per la prima volta anche il presidente della Bolivia Luis Arce, come annunciato dal ministro degli Esteri Celinda Sosa.

Al club dei Brics intende unirsi anche l’Azerbaigian, con richiesta avanzata subito dopo la visita di Putin a Baku del 20 agosto. Insomma, il club sta dimostrando un’attrattiva sempre più forte e i suoi membri aumentano via via, mentre, all’opposto, il club del G 7 – da non confondersi col G 20 al quale partecipano diversi Paesi Brics – è sempre più offuscato e sclerotizzato, sempre più un organismo residuale di un passato che non vuol passare e incapace di riformarsi.

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Gaia Marx & Terra Zasulich: Kapitalocene

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Kapitalocene

di Gaia Marx & Terra Zasulich

E’ in uscita in Italia per Orthotes la traduzione italiana di On ne dissout pas un soulèvement. 40 voix pour les Soulèvements de la Terre. Un abécédaire Collectif (Seuil): Abbecedario dei Soùlevements de la Terre. Comporre la resistenza per un mondo comune. Nel contesto della traversata delle lotte per l’acqua che vede due appuntamenti, uno al campeggio di Ecologia Politica Network in Val di Susa e uno al Climate Camp di Vicenza, pubblichiamo una voce dell’abbecedario, ringraziando la casa editrice

In che epoca viviamo? Un’epoca in cui la Terra e tutto ciò che non è umano si trasforma più velocemente delle nostre istituzioni, mentre ai tempi della modernità era statico o si modificava solo al ritmo molto lento della geologia e dell’evoluzione dei viventi. In un momento in cui il clima sta andando fuori controllo, in cui incendi e siccità ci rendono più fragili, le istituzioni faticano a staccarsi dalla corsa alla crescita e le classi dirigenti sono bloccate nella difesa poliziesca dello status quo produttivo, basato sull’ineguaglianza. L’immobilità ha cambiato faccia. Il terreno della modernità sta scivolando via e la Terra ci chiede di sollevarci con lei.

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Federico Giusti ed Emiliano Gentili: Garibaldi fu ferito

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Garibaldi fu ferito

(E il lavoro dipendente non se la passa meglio)

di Federico Giusti ed Emiliano Gentili

«Mai così tanti occupati dai tempi di Garibaldi» tuona Meloni, evidentemente in cerca di gloria. Tralasciando Garibaldi e i sempre paradossali richiami storici della destra, è vero che l’occupazione è aumentata: «Il numero di occupati a marzo 2024 supera quello di marzo 2023 dell’1,8% (+425mila unità)»1, mentre «Il numero di occupati a luglio 2024 supera quello di luglio 2023 del 2,1% (+490mila unità)»2.

Ma alla luce di questi dati si deve festeggiare innalzando peana all’operato della destra governativa oppure, superata la superficialità dei messaggi politici a mezzo stampa, entrare nel merito delle questioni?

Siamo per la seconda ipotesi e per questo ci soffermeremo su alcuni punti dirimenti:

  • innanzitutto, per l’ISTAT risultano “occupate” persone che abbiano lavorato almeno un’ora durante il lasso di tempo utile per il rilevamento dati (una settimana), per cui «sono conteggiati tra gli occupati anche gli irregolari e quelli che contribuiscono al compenso familiare pur non risultando in alcun modo in attività»3;

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