Rassegna 24/09/2024
Alain Badiou: La rivoluzione culturale
La rivoluzione culturale
di Alain Badiou
Tratto da Alain Badiou, Pietrogrado, Shangai. Le due rivoluzioni del XX secolo, Mimesis, 2023, Titolo originale: Petrograd, Shanghai, La Fabrique Éditions, 2018. Traduzione italiana di Linda Valle
1. Perché?
Perché parlare della “Rivoluzione culturale” – il nome ufficiale di un lungo periodo di gravi disordini nella Cina comunista tra il 1965 e il 1976? Per almeno tre motivi.
Primo motivo. La Rivoluzione culturale è stata un riferimento costante e vivo per l’azione militante in tutto il mondo, e in particolare in Francia, almeno tra il 1967 e il 1976. Fa parte della nostra storia politica, ha fondato l’esistenza della corrente maoista, l’unica vera creazione degli anni Sessanta e Settanta. Posso dire “noi”, io c’ero e in un certo senso, per citare Rimbaud, “sono qui, sono sempre qui”. Nell’instancabile inventiva dei rivoluzionari cinesi, ogni genere di traiettoria soggettiva e pratica ha trovato la sua nominazione. Già cambiare la soggettività, vivere in modo diverso, pensare in modo diverso, i cinesi – e poi noi – lo chiamavano “rivoluzionamento”. Dicevano: “cambiare l’uomo in ciò che ha di più profondo”. Ci hanno insegnato che nella pratica politica bisogna essere sia “l’arciere che il bersaglio”, poiché la vecchia visione del mondo è ancora molto presente in noi. Alla fine degli anni Sessanta siamo andati ovunque, nelle fabbriche, nelle case popolari, nelle campagne. Decine di migliaia di studenti diventavano proletari o vivevano in ostelli operai. Anche per questo c’erano le parole della Rivoluzione culturale: “grandi scambi di esperienze”, “servire il popolo” e, ancora fondamentale, “legame di massa”. Combattevamo contro la brutale inerzia del Partito comunista francese, il suo violento conservatorismo. Anche in Cina veniva attaccato il burocratismo del Partito, per cui si utilizzava l’espressione “lotta al revisionismo”. Anche le scissioni, gli scontri tra rivoluzionari di diverso orientamento, si dicevano alla cinese: “stanare la banda nera”, sbarazzarsi di coloro che “sembrano di sinistra e in realtà sono di destra”.
Antonio Castronovi: La Pace, Trump, Putin e lo spettro del rossobrunismo
La Pace, Trump, Putin e lo spettro del rossobrunismo
di Antonio Castronovi
Con in calce tre commenti di Alessandro Visalli, Fabrizio Marchi e Giulio Bonali
Viviamo nell’epoca dei paradossi e dei conflitti identitari, in cui il Bianco è Nero e il Nero è Bianco, in cui la Sinistra non sembra sinistra e la Destra non sembra destra, in cui Pace è sinonimo di Guerra, in cui Democrazia è sinonimo di Oligarchia e in cui Libertà è sinonimo di Dittatura e di Censura.
La confusione semantica nell’uso delle parole e del loro significato contribuisce ad annebbiare le coscienze e a depotenziare qualsiasi anelito di rivolta e di opposizione al regime oligarchico e tecnocratico che domina l’Occidente e ci impedisce la comprensione della natura dei conflitti che attraversano il cuore dell’Impero anglosassone e delle sue élite dominanti.
Emblematico è il caso delle elezioni statunitensi in cui si fronteggiano la “democratica” Kamala Harris e il “repubblicano” Donald Trump, che nel linguaggio orwelliano rappresentano la destra e la sinistra, in cui la sinistra spinge per la guerra alla Russia e la destra “frena” e promette una soluzione pacifica del conflitto che insanguina l’Ucraina, salvo verifica.
Nel mondo orwelliano chi parla di pace è un nemico della democrazia e della libertà, è un putiniano amico dei dittatori, quindi va censurato, zittito. Negli USA, si sa, non ci vanno per il sottile, e sono più pratici e sbrigativi: li ammazzano, soprattutto se sono ai vertici del potere o vi aspirano. Inutile citare i fratelli Kennedy o riandare indietro nel tempo fino all’assassinio di Abramo Lincoln.
Già, la guerra civile americana! Abramo Lincoln era il presidente repubblicano degli USA e rappresentava il Nord industriale che voleva emanciparsi dal colonialismo inglese e propugnava politiche protezionistiche per sostenere la nascente industria, concentrata nel Nord.
Piccole Note: Il cyberattacco in Libano e l’attacco Nato alla Russia
Il cyberattacco in Libano e l’attacco Nato alla Russia
di Piccole Note
Il cyberattacco esplosivo in Libano, avvenuto nella ricorrenza della strage di Sabra e Chatila e l’attacco ucraino-Nato al deposito di munizioni di Tver. La linea di faglia tra Oriente e Occidente s’infiamma
Nelle stesse ore in cui Israele metteva a segno il secondo cyberattacco esplosivo in Libano, con un bilancio provvisorio di 500 feriti e 25 morti, la Nato (ufficialmente gli ucraini) faceva saltare in aria un grande deposito di munizioni russo a Tver, a soli cento chilometri da Mosca, in uno degli attacchi più spettacolari messi a segno da Kiev dall’inizio della guerra (hollywoodiano come il cyberattacco ai danni del Libano). Operazione significativa anche perché segnala come il niet di Biden all’Ucraina all’utilizzo dei missili a lungo raggio sia superabile.
L’incendio divampa
La linea di faglia tra Oriente e Occidente, lungo la quale divampano gli incendi mediorientale e ucraino, ha registrato una giornata di picco, rilanciando l’opzione della guerra globale oggi ribadita dall’approvazione dell’europarlamento di una mozione che consiglia ai Paesi membri di revocare le restrizioni all’uso dei missili a lungo raggio contro la Russia e il contemporaneo disvelamento, da parte degli Stati Uniti, dei piani per ingaggiare una guerra con la Cina entro il 2027.
comidad: Adesso le procure fanno propaganda elettorale per Salvini
Adesso le procure fanno propaganda elettorale per Salvini
di comidad
Qualcuno ricorderà il Matteo Salvini in veste di squadrista mediatico che, alla testa di una banda di giornalisti come lui, andava a citofonare a un presunto spacciatore. Per quel gesto Salvini non ha avuto conseguenze giudiziarie. L’unica obiezione che tempo dopo i magistrati gli mossero fu di aver ostacolato le indagini dando modo con quel clamore di trasferire la droga da un posto all’altro. E che fine fa la dignità della persona, criminale o meno che sia? E non conta niente l’aver istigato altri a commettere analoghe molestie?
Anche giuristi pronti a stigmatizzare il comportamento di Salvini esortarono però a non lasciarsi andare al “toto-reati”. Si può capire l’opportunità di tanta indulgenza, dato che lo squadrismo mediatico verso i deboli fa sempre comodo al potere: lo si è visto in epoca psicopandemica, quando la figura del giornalista/provocatore tornava utile per ridicolizzare i cosiddetti “negazionisti” e “no-vax”. In base alla Costituzione si potrebbe privare un cittadino della libertà ma non della dignità, quindi torturare e umiliare non sarebbe ammesso; ma questa è la fiaba per l’intrattenimento, mentre nella pratica reale del potere la privazione della dignità della persona è la premessa indispensabile per estorcere la disposizione servile a sottoporsi a forche caudine come la mascherina e il green pass.
Thierry Meyssan: Il 10 settembre i coloni israeliani sono diventati immigrati illegali
Il 10 settembre i coloni israeliani sono diventati immigrati illegali
di Thierry Meyssan
Siamo abituati a vedere Israele commettere atrocità prendendo a pretesto la propria sicurezza e gli anglosassoni prenderne le difese nel Consiglio di sicurezza. Siamo spettatori di crimini che non comportano alcuna conseguenza giudiziaria. Questa situazione sta per finire. La Corte internazionale di giustizia ha tolto di mezzo il paralogismo di Tel Aviv e ha riconosciuto lo Stato di Palestina membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Ormai non si potrà più fingere di non vedere la sofferenza dei palestinesi e costoro potranno perseguire i loro carnefici
Il 10 settembre i coloni israeliani, che sostengono di adempiere a un piano divino insediandosi in Cisgiordania (per loro: Giudea-Samaria), sono passati dallo status di cittadini israeliani residenti in territori contesi, a quello d’immigrati illegali nello Stato sovrano di Palestina.
All’apertura della settantanovesima sessione, l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha infatti reso esecutiva la risoluzione ES-10/23 dello scorso 10 maggio [1]. Così lo Stato di Palestina è diventato membro a pieno titolo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu). Nessuno quindi può più opporsi all’esercizio dei suoi diritti di Stato sovrano.
Il riconoscimento della Palestina come Stato sovrano modifica l’interpretazione dell’Accordo interinale sulla Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza (il cosiddetto Accordo di Oslo II).
Fabrizio Poggi: Missili a lunga gittata a Kiev: quali sarebbero i primi obiettivi della Russia
Missili a lunga gittata a Kiev: quali sarebbero i primi obiettivi della Russia
di Fabrizio Poggi
Dunque la questione, così come l’ha esposta in modo sintetico e preciso Vladimir Putin, è chiara. Quando il discorso verte «sull’impiego di armi di alta precisione a lunga gittata di produzione occidentale, è completamente un’altra storia»: si tratta dell’aperta entrata in guerra di USA, UE, NATO contro la Russia e non più per interposta Ucraina. E la Russia non può che rispondere in maniera adeguata all’attacco portato dall’Occidente e non dai militari di Kiev.
Non si tratta del disco verde concesso alla junta di Kiev a colpire il territorio russo: si è già a un livello oltre il quale c’è lo scontro totale che i guerrafondai del complesso militare-industriale occidentale vogliono a tutti i costi e a cui i sanguinari criminali dei governi euroatlantici apportano il proprio nefando contributo.
Tra l’altro, come aveva già dichiarato il Ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, l’Occidente ha già da molto tempo eliminato ogni limitazione all’impiego di armi a lunga gittata per colpire il territorio russo. Ora stanno solo cercando di presentare la cosa al pubblico in maniera più carina ed elegante, anche con la messa in scena della visita a Kiev di Antony Blinken e David Lammy di mercoledì scorso.
Francesco Prandel: Se questa è una scuola
Se questa è una scuola
di Francesco Prandel
La scuola dovrebbe sempre avere come suo fine che i giovani ne escano con personalità armoniose, non ridotti a specialisti. Questo, secondo me, è vero in certa misura anche per le scuole tecniche, i cui studenti si dedicheranno a una ben determinata professione. Lo sviluppo dell’attitudine generale a pensare e giudicare indipendentemente, dovrebbe sempre essere al primo posto, e non l’acquisizione di conoscenze specializzate.[Albert Einstein]
Nel suo libro “Gli anni difficili” Albert Einstein scriveva «non sbagliò quella persona spiritosa che definì l’educazione con queste parole: ”L’educazione è ciò che rimane dopo che si è dimenticato quanto si è imparato a scuola”». A che cosa educa, oggi, la scuola italiana? Che cosa resta agli studenti quando hanno dimenticato il teorema di Ruffini e le operette morali di Leopardi? La risposta si può agevolmente reperire esaminando tre fatti che hanno interessato le nostre scuole negli ultimi anni, dai quali risulta chiaro come la scuola italiana si rapporta alla società nel suo complesso. In questo rapporto, più che in quanto viene insegnato o non insegnato nelle classi, si inscrivono a mio parere i reali criteri educativi adottati dalla scuola. Elenco di seguito questi tre fatti, in ordine cronologico, dandone una breve descrizione.
1) La digitalizzazione della didattica. A partire dalla “buona scuola” di Matteo Renzi in poi, le nostre scuole si sono progressivamente dotate di dispositivi digitali ad uso didattico. Alla digitalizzazione della didattica hanno dato un notevole impulso i fondi PNRR recentemente elargiti, in virtù dei quali molte scuole hanno incrementato ulteriormente la loro dotazione digitale. A quanto si apprende dal Piano Scuola 4.0 “nell’anno scolastico 2017- 2018 la percentuale di docenti che utilizzava almeno settimanalmente le tecnologie digitali per fare didattica era del 44,5%, nel 2020-2021 è salita all’84,4%.”.
Giorgio Gattei: Il prestito e le tasse, anche. Cronache marXZiane n. 15
Il prestito e le tasse, anche. Cronache marXZiane n. 15
di Giorgio Gattei
1. Se la moneta è “Dio” (vedi la Cronaca precedente), di quanto “Dio” ci sarà bisogno sul pianeta Marx, quel corpo teorico celeste comparso improvvisamente nel cielo dell’economia e a cui Karl Marx, che più di tutti l’ha investigato, ha dato il suo nome?
Intanto facciamo il punto su quanto abbiamo finora appreso, e cioè che la moneta non deriva affatto dall’iniziativa spontanea degli “scambisti democratici” sul mercato, come l’ha raccontata Aristotele e si continua a ripetere, bensì dalla pratica di “buon vicinato” di prestare qualcosa a qualcuno con l’impegno di farsela restituire in futuro (che poi non sarebbe altro che lo sviluppo di quella originaria “economia del dono”, studiata da Marcel Mauss, che impone comunque l’obbligo di ricambiare il dono ricevuto e addirittura ad abundantiam). Se poi a certificazione del prestito concesso venisse redatta una qualche scrittura con l’indicazione di quanto prestato e del nome del debitore, saremmo davanti a una promessa di pagamento, a queli “pagherò” che sarebbero stati all’origine della moneta «prima delle sue origini», per dirla con il bel titolo di un libro di O. Bulgarelli (2001). Quella primitiva “scrittura monetaria” (se tale ci azzardassimo di chiamarla) resterebbe però nelle mani del creditore finché il debitore non avesse restituito quanto ricevuto in prestito, dopo di che gli sarebbe riconsegnata liberandolo dalla sua obbligazione. Se così può essere stato, come la documentazione storica sembra provare, allora la moneta avrebbe trovato la sua origine in una relazione di debito/credito piuttosto che in uno scambio tra compratori e venditori, ma questa interpretazione alternativa (“cartalista” come è stata chiamata, ma il termine è equivoco e non ha fatto presa) ha potuto farsi strada soltanto nel corso del Novecento, man mano che venivano alla luce le “pratiche monetarie” di Sumeri e Babilonesi e sulle quali abbiamo adesso almeno i due testi riepilogativi di D. Graeber, Debito. I primi 5000 anni (2012) e La natura della moneta (2016) di G. Ingham. ma qui soprattutto merita citare la succosa sintesi di P. Tcherneva, Il cartalismo e l’approccio alla moneta come entità guidata dalle tasse (2019, in rete) che ha ispirato questa “Cronaca marXZiana”.
Roberto Iannuzzi: La Germania da locomotiva d’Europa a epicentro della crisi continentale
La Germania da locomotiva d’Europa a epicentro della crisi continentale
di Roberto Iannuzzi
A più di due anni dal discorso di Scholz sulla “Zeitenwende” (svolta epocale) tedesca, la Germania sta diventando un grave fattore di instabilità, e un simbolo del declino del continente europeo
Il modello tedesco non funziona più. La maggiore economia d’Europa (circa il 24% del PIL dell’UE) è in recessione, e non è un fenomeno temporaneo: il PIL della Germania non cresce da circa sette anni a questa parte.
Non è però solo l’economia che non funziona. Il cancelliere Olaf Scholz guida il governo più impopolare della storia moderna del paese: più di tre quarti dei tedeschi sono insoddisfatti del suo operato.
Alle recenti elezioni regionali in Turingia, la formazione di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD) ha raggiunto il 32,8%, diventando il primo partito. Un risultato di poco inferiore (30,6%) lo ha ottenuto nella vicina Sassonia, altro stato dell’ex Germania Est.
Molto bene (15,7% in Turingia, 11,8% in Sassonia) ha fatto un altro partito considerato “antisistema”, il BSW guidato da Sahra Wagenknecht e fuoriuscito da Die Linke, formazione di sinistra ormai in crisi.
Cruciale per l’ascesa dell’estrema destra, in particolare, fu la cosiddetta “estate d’immigrazione” del 2015, quando oltre un milione di profughi, provenienti in gran parte dalla Siria devastata dalla guerra, giunsero in Germania.
Fulvio Grimaldi: Grilli arroccanti, Conti arrembanti
Grilli arroccanti, Conti arrembanti
Tutti e due raccapriccianti
di Fulvio Grimaldi
La rissa ha della farsa, visti i due soggetti: una macchietta che dà in escandescenze perché gli hanno rubato la materia prima che gli aveva assicurato, oltre ai 300.000 euri per meriti di fondazione e consulenza, una ripresa di visibilità nel logorio finale della carriera di comico; l’altro, un astuto leguleio, pescato nel vuoto morale di uno studio di avvocati per ricchi.
Ma ha anche della cupa tragedia dove due avvoltoi si sbranano sulla questione di a chi tocchi il privilegio imperiale di spolpare la carcassa di una giovane, onesta, bella e prosperosa donna, trucidata a tradimento con colpi nella schiena.
E dovremmo appassionarci a questo fenomeno, laterale rispetto al centro della scena sulla quale certi ceffi si ritrovano a disputare se si debba far morire tutti in guerra subito, o solo dopo averci tutti avvelenati con vaccini sperimentali a mRNA, al suono titanicico di un’orchestra mediatica con, in alternativa, direttori NATO, ONU, od OMS.
Poi ci sono i colpetti di scena stupefacenti che ci distraggono un attimo dal farsesco dramma: il trasloco di Virginia Raggi dall’estremo positivo Di Battista all’estremo negativo Grillo. Poi di sarebbe Nicola Morra (costui un amico), ex coraggioso presidente della Commissione Antimafia, ora candidato in Liguria per Uniti per la Costituzione, ma detto vicino a Grillo.
Fabrizio Poggi: I droni della Nato contro la Russia e la domanda inquietante che inizia a girare a Mosca
I droni della Nato contro la Russia e la domanda inquietante che inizia a girare a Mosca
di Fabrizio Poggi
«Non si tratta del permesso o del divieto concessi al regime di Kiev di colpire il territorio russo. Esso già così lo sta facendo, con velivoli senza pilota, apparati aerei e altri mezzi», ecc. ha dichiarato Vladimir Putin nel suo conciso quanto preciso “avviso ai naviganti” (euroatlantici) ormai diventato l’ennesimo altolà alla spavalda volontà bellicista USA-NATO.
Dunque, velivoli senza pilota, apparati aerei, droni; che stanno volando verso il territorio russo, lanciati non solo dal territorio ucraino. Lo scorso 11 settembre, il governatore della regione di Murmansk, Andrej Cibis, ha informato dell’abbattimento di tre droni ucraini e i media locali hanno scritto che erano stati lanciati dal territorio finlandese e che, prima dell’attacco, due aerei spia svedesi stavano incrociando lungo la frontiera russo-finlandese. Pare che l’obiettivo potesse essere l’aerodromo di Olen’ja, dove si presumeva fossero dislocati i bombardieri a lungo raggio “Tu-22M3”.
Lo Stato maggiore finlandese ha ovviamente “prontamente respinto” ogni addebito: «il territorio finlandese non è mai stato utilizzato e mai verrà impiegato per simili azioni ostili nei confronti della Russia».
Alessandro Arrighetti, Sergio De Nardis e Fabrizio Traù: Il presunto declino della manifattura italiana
Il presunto declino della manifattura italiana*
di Alessandro Arrighetti, Sergio De Nardis e Fabrizio Traù
Alessandro Arrighetti, Sergio De Nardis e Fabrizio Traù criticano la narrativa dominante secondo cui il settore manifatturiero sarebbe responsabile del declino dell’economia italiana, per la sua presunta incapacità strutturale di adattarsi ai cambiamenti tecnologici e organizzativi. Gli autori mostrano come l’interpretazione corrente si basi su erronei presupposti teorici e in particolare sull’idea che la crescita economica dipenda esclusivamente dall’aumento dell’efficienza allocativa delle risorse e dalla competitività di prezzo
1. Nella narrazione corrente, il sistema economico italiano è prevalentemente rappresentato come una realtà affetta da una indubbia tendenza al declino. Per lo più, l’attenzione viene attirata sul tendenziale ristagno della crescita aggregata, conseguenza di una insoddisfacente dinamica della produttività e a sua volta ragione di una vera e propria riduzione, nell’arco dell’ultimo ventennio, dei redditi da lavoro in termini reali.
Mentre è di piena evidenza che la società italiana sia stata caratterizzata da un periodo di generale impoverimento e da un forte aumento delle disuguaglianze, di cui porta tuttora le ferite, appare invece del tutto infondata la deduzione che vorrebbe far derivare questo fenomeno da un complesso di (crescenti) inadeguatezze del sistema industriale, e di quello manifatturiero in particolare – nel cui ambito spiccherebbero un’insufficiente competitività e soprattutto una strutturale incapacità di adeguamento dei processi produttivi agli sviluppi delle tecnologie “avanzate”.
Paolo Ferrero: Israele e armi all’Ucraina, criminali e apprendisti stregoni cercano la terza guerra mondiale
Israele e armi all’Ucraina, criminali e apprendisti stregoni cercano la terza guerra mondiale
di Paolo Ferrero
La scelta del governo israeliano di compiere due atti terroristici contro Hezbollah e ieri di attaccare direttamente il Libano è finalizzata ad allargare il conflitto in Medioriente e tendenzialmente a far scoppiare la terza guerra mondiale. E’ infatti evidente che se la guerra con Hezbollah prende forma sono destinati a entrare in gioco pesantemente anche gli alleati dei libanesi, Iran compreso. Il governo iraniano ha fatto tutto il possibile per evitare la guerra – compreso il non rispondere agli attentati terroristici di Israele nei suoi confronti – ma certo la determinazione con cui Israele cerca lo scontro apre la strada a ogni scenario.
Inoltre, la trasformazione in bombe attivate da remoto di mezzi di comunicazione di massa diffusissimi, utilizzati confidando nel loro carattere innocuo, apre una nuova frontiera del terrorismo, con un aumento esponenziale dell’insicurezza quotidiana. Se poi a dar vita a questo nuovo livello di terrorismo che può colpire ognuno di noi e dei nostri familiari in ogni momento, non è un gruppo di scatenati pazzoidi ma lo stato sionista, presentato come il guardiano e l’avanguardia della civiltà occidentale, il gioco è fatto: il mondo è tragicamente più insicuro di ieri.