La scomparsa di Mario Albanesi, giornalista con la schiena dritta

ambienteweb.org – 26/09/2024

 

Nelle prime ore del 26 Settembre è venuto a mancare Mario Albanesi, volto noto al pubblico di TeleAmbiente per la realizzazione di numerosissimi editoriali fino al 2022. Per ricordarlo pubblichiamo un suo scritto autobiografico. Grazie Mario, che la terra ti sia lieve (Mario Albanesi, 07/10/1932 – 26/09/2024).

 

Sono nato il 7 ottobre 1932 a Genova e a poco più di otto anni, nel 1941, la mia famiglia subì gli effetti di un bombardamento aereo che rese inabitabile e parzialmente distrutta la nostra casa sita nella borgata di Oregina sulle alture di Genova dove vivevamo, costringendoci ad un lungo pellegrinaggio durato due anni, comune a tutti i “sinistrati”, fatto di mobili in magazzino, ricerche di camere d’albergo di fortuna, approdato poi, finalmente, al reperimento fortunoso di un appartamento in salita San Barnaba che ebbe il potere di cambiare la mia vita.

San Barnaba si trova a metà strada fra il centro di Genova e Oregina, e al tempo esistevano alcune case relativamente isolate dalla città, dove trovai un gruppetto di ragazzi differenti da quelli che avevo conosciuto in borgata. C’erano fra gli altri Giorgio Farina divenuto poi un pittore, Antonio Conte in seguito regista teatrale di lavori per bambini e Arnaldo Bagnasco che si rivelò da adulto un attore-regista, nonché un grande funzionario quando prese servizio in Rai: uno dei pochi, raffinati esperti di teatro del servizio pubblico radiotelevisivo, conduttore tra l’altro di programmi innovativi come “Mixer cultura”.

All’epoca del trasloco con la mia famiglia al palazzo n.26 di salita di San Barnaba, avevo undici anni e appena frequentato una parte della terza elementare a causa della difficilissima situazione della popolazione civile costretta a vivere alla giornata in rifugi antiaerei, sotto gli incessanti bombardamenti terroristici anglo-americani diretti agli abitanti civili di una zona di Genova dove non c’erano obiettivi militari.

Il 25 aprile del 1945 a tredici anni, ultimo giorno di guerra per Genova, corsi il pericolo più grande quando nella mia cameretta da letto arrivo un proiettile di mitraglia da 30 millimetri sparato dai tedeschi in fuga che si conficcò nell’infisso della finestra lanciando una miriade di schegge che non mi colpirono perché in quel momento ero andato in cucina.

Finito il conflitto ripresi affannosamente a studiare da dove ero rimasto per recuperare il tempo perduto finendo le elementari e in seguito l’istituto tecnico.

Un vero capolavoro lo fece l’amico Arnaldo Bagnasco studente universitario, che riuscì a farmi frequentare senza essere iscritto e per due anni, il corso che egli seguiva normalmente presso la facoltà di Economia e Commercio che allora si trovava in via Bertani vicino alla celebre funicolare ad acqua.

I colleghi studenti non erano al corrente del marchingegno escogitato da Arnaldo con la segreteria e mi ritenevano uno di loro visto che all’inizio di ogni lezione apponevo regolarmente la firma sulle presenze, al punto che dilettandomi con il canto e la musica in pubblici spettacoli trasmessi dalla Rai che più volte mi aveva scritturato, essi rivendicavano la mia appartenenza campanilistica all’Ateneo genovese (ci sono registrazioni a questo proposito).

Purtroppo, i molteplici interessi che avevo non corrispondevano agli scarsi mezzi mezzi economici a mia disposizione, quindi decisi di aggiungere alla massa notevole di cognizioni che avevo già assunto, altri elementi continuando a studiare da autodidatta; scoprendo quanto sia bello ragionare da soli sui problemi più diversi fino a giungere ad allargare le proprie vedute esulando dal campo tecnico in cui si era ristretti per entrare in quelli della politica, del costume, dell’informazione; facendo i primi passi nel mondo del giornalismo, occupandomi di cronaca nera e bianca, ovvero seguendo le attività della questura e degli ospedali, portando le notizie in mio possesso alla redazione de “Il Lavoro”, un quotidiano socialista genovese di cui fu direttore anche Sandro Pertini.

Vicino ai trenta anni, ai primi degli Anni Sessanta, interrotti da tempo anche gli allenamenti di atletica leggera per mancanza di tempo e per l’attenzione dedicata alle apparecchiature elettroniche di carattere industriale ideate e realizzate da me che si erano affermate sotto il marchio “Telepan”, cercai una migliore definizione della mia immagine/persona.

Fu così che attraverso numerosi viaggi in Gran Bretagna, scoprii che esisteva una organizzazione che raggruppava tecnici ingegneri molti dei quali non avevano conseguito una laurea attraverso un regolare corso.

Nell’intento di migliorare la mia posizione nel senso di una maggiore regolarità, rivolsi domanda di iscrizione precisando che qualche volta gli acquirenti delle mie apparecchiature erano usi sottolineare l’utilizzazione dei prodotti ideati “dall’ingegnere Albanesi”, la domanda venne accolta, subordinandola però ai risultati di esame (una sorta di tesi che nel mio caso era stata orientata sulle misure radio elettroniche), assicurandomi che fra le file dei loro iscritti figuravano engineers del suono e delle più diverse tipologie non meno bravi di quelli laureati e che di fronte a possibili contestazioni giudiziarie era regolare si riconoscessero ingegneri anche in funzione del ramo, in particolare quello elettronico che non prevede rischi e pericolosità di sorta a differenza dei progettisti di ponti, di costruzioni edilizie le cui relative garanzie (sia pure sulla carta) possono fornirle solo i laureati regolari e che abbiano sostenuto l’esame di Stato.

Per me non fu certo un punto di arrivo o lo fu per brevissimo tempo perché nel frattempo era caduta completamente ogni velleità industriale dovuta al rapido affermarsi di nuovi trovati tecnici che nel giro di pochi mesi lasciavano il posto ad altri in un disordinato mercato sempre alla ricerca frenetica di novità, spesso affatto necessarie da un punto di vista sociale.

Non mi rimaneva che la ricerca ingegneristica “di nicchia” (da qui gli studi sui microfoni) e il giornalismo inteso nella sua parte più nobile, quella che va al di là della cronaca quotidiana, espressa sotto forma di commenti formativi meglio conosciuti come editoriali orientativi, destinati nel mio caso a suggerire al grosso pubblico come difendersi da un mainstream degenerato dal pensiero unico, espressione dei potenti e del grosso capitale.

L’avvento in Italia della libertà di antenna a metà degli Anni Settanta a seguito di una sentenza della Corte costituzionale (N. 202 del 1976), aprì la porta a nuove possibilità di rompere il monopolio dell’informazione fino allora detenuto dalla RAI.

Io fui pronto a raccogliere l’enorme opportunità che veniva offerta e partecipai con grande entusiasmo alla costruzione delle prime radio e televisioni “libere” cominciando da Radio Città Futura impiantata sulla torretta di uno dei palazzoni di piazza Vittorio a Roma di cui fui redattore e responsabile delle attrezzature tecniche di trasmissione.

Fu una esperienza indimenticabile dialogare a tutte le ore con gli ascoltatori e sentire la voce di quanti avevano qualcosa da dire senza “filtri” e limiti di sorta; a RCF nacque anche la Federazione Radio Emittenti Democratiche (FRED), dalla quale poi derivò il Coordinamento nazionale Nuove Antenne (CONNA) di cui attualmente sono presidente e direttore del suo giornale di categoria Nuove Antenne fondato nel 1985.

Ma ben presto ci si accorse che forze oscure del “sistema”, calpestando il pronunciamento costituzionale, erano determinate a riconquistare il terreno perduto ricorrendo ai loro uomini politici più corrotti che non esitarono a emanare in modo strisciante leggi liberticide, regolamenti che imponevano oneri insostenibili, impegni burocratici tesi a fiaccare i coraggiosi che nonostante tutto continuavano a difendere la finestra di libertà aperta dalla Consulta.

Essi, come era facilmente prevedibile, finirono per vincere costringendo le emittenti alla chiusura in massa le cui frequenze di trasmissione furono assorbite da grossi gruppi che lungi dal rappresentare l’alternativa al servizio pubblico radio Tv voluta dalla Corte Costituzionale, tacitamente unendosi, soffocarono ogni intento libertario, lasciando ai piccoli mezzi di informazione la “libertà” di dire la loro, ben sapendo che per le dimensioni e la ridotta platea di ascoltatori che avevano non sarebbero mai stati in grado di influenzare in modo determinante l’opinione pubblica.

Durante il periodo di affermazione delle radio e delle televisioni libere, non mancò da parte mia un “ritorno di fiamma” in direzione dell’elettronica applicata funzionale alle esigenze delle varie stazioni.

Le ultime apparecchiature costruite sono state utilizzate principalmente da Radio Radicale che per un lungo periodo riuscì a trasmettere in tutta Italia facendo uso esclusivo delle attrezzature elettroniche di mia progettazione alcune delle quali sono tutt’ora in servizio.

Va da sé però che cadendo gli interessi pionieristici di carattere industriale per cui l’invenzione, la scoperta, la messa a punto, risultando ormai distaccate dal ritmo e dalle speranze dell’essere umano acquistando la fredda meccanicità del mercato che per ragioni di concorrenza pretende dissennate innovazioni continue con grande spreco di risorse, il campo dell’informazione mi apparve di gran lunga più interessante, al punto da quasi dimenticare i trascorsi tecnici che hanno finito per spingermi in direzione di un enciclopedismo espresso dalla lunga opera informativa che ho intrapreso a cominciare dal 1993 per conto del Consorzio Teleambiente di Roma, pubblicando in seguito per tre anni consecutivi i miei commenti sul blog di Casaleggio/Grillo e per Pandora Tv diretta da Giulietto Chiesa.

(Mario Albanesi)

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