[JugoInfo] Il regime di Kurti elimina le rappresentanze serbe in Kosovo

Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ETS – 25/09/2024

[srpskohrvatski / italiano]
Il regime di Kurti elimina le rappresentanze serbe in Kosovo
1) In Kosovo proseguono le provocazioni contro la minoranza serba / Cronologia minima del ritiro della Serbia dal Kosovo nell’ultimo anno
2) Brnabić, Zaharova e Vučić sull’aggravarsi della repressione antiserba in Kosovo-Metohija
3) Provocazioni pan-albanesi a Leposavić, Istok, Kosovska Mitrovica, Prekovac, Mitrovica (12.9.2024.) incluso il furto della documentazione archivistica di Stato
4) FLASHBACK: Gorazdevac, 13 agosto 2003 (Enrico Vigna)
5) FUORITEMA: Controspionaggio turco arresta un kosovaro legato al Mossad (3 Settembre 2024)
Pogledaj takodjer / Vedi anche:
VIDEO: Ulicama Njujorka kruže tri kamiona koji prikazuju teror Kurtija nad Srbima na KIM / Per le strade di New York in occasione della Sessione dell’ONU un camion mostra il terrorismo di Kurti contro i serbi del Kosovo (Politika 24.9.2024.)
VIDEO: Vučić na 79. zasedanju Generalne skupštine Ujedinjenih nacija: Danas svi govore o Ukrajini, niko ne sme da priča o Srbiji (Politika 24.9.2024.)
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In Kosovo proseguono le provocazioni di Stato contro la minoranza serba
12 AGOSTO 2024

Dopo un periodo di apparente tranquillità e nel silenzio della maggior parte dei media europei, nel mese di agosto sono riesplose le tensioni nel nord del Kosovo tra la popolazione di etnia serba, che costituisce la maggioranza nella cittadina settentrionale di Mitrovica e che non riconosce l’indipendenza di Pristina dichiarata nel 2008, e il governo kosovaro guidato da Albin Kurti, che prosegue le provocazioni contro la minoranza etnica del Paese. Nonostante, infatti, un accordo mediato nel 2013 dall’Unione Europea tra Serbia e Kosovo preveda il riconoscimento dell’autonomia su tutta una serie di questioni amministrative alla popolazione serba, il governo di Pristina continua a violare il rispetto dell’accordo per l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, previsto da Bruxelles. A tal proposito, le tensioni sono riemerse quando Kurti ha deciso unilateralmente lo scorso 5 agosto di chiudere nove filiali delle Poste di Serbia in Kosovo: tre a Mitrovica, una a Zubin Potok, due a Zvečan e tre a Leposavić. Il fatto non ha suscitato solo la reazione contrariata dei serbi Kosovari e del governo di Belgrado, ma della stessa Unione europea: «Si tratta di un passo unilaterale e non coordinato, che viola gli accordi raggiunti nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue», si legge nella dichiarazione rilasciata dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). Ad alimentare gli sconti si aggiunge poi la questione della riapertura del ponte sul fiume Ibar che taglia in due la città di Mitrovica separando la minoranza serbo-ortodossa dalla maggioranza albanese-musulmana. In entrambi i casi – la chiusura degli uffici postali serbi e la riapertura del ponte – secondo diversi esponenti delle istituzioni serbe, si tratta di un modo per procedere alla pulizia etnica dei serbi del Kosovo.

Il governo di Pristina ha giustificato la chiusura delle filiali dicendo che operavano senza licenza e senza la registrazione presso le agenzie kosovare competenti. Tuttavia, in merito non era stato raggiunto alcun accordo tra Pristina e Belgrado, come sottolineato dall’Ue: «Nell’ambito degli accordi sulle telecomunicazioni raggiunti nel 2013 e del piano d’azione concordato nel 2015, entrambe le parti hanno deciso di discutere i servizi postali in una fase successiva». Per questo, i negoziatori Ue hanno intenzione di «inserire la questione nell’agenda della prossima riunione del dialogo», chiedendo allo stesso tempo al governo kosovaro di «riconsiderare la sua decisione e di trovare una soluzione negoziata». Le filiali delle Poste di Serbia hanno una rilevanza fondamentale perché i cittadini kosovari serbi ricevono ancora stipendi, pensioni e assegni per le famiglie in dinari dal governo di Belgrado che non riconosce lo Stato del Kosovo. La situazione si è complicata dopo che, dallo scorso primo febbraio, il governo di Pristina ha vietato di effettuare pagamenti in dinari su tutto il territorio nazionale, imponendo quindi anche ai serbi di utilizzare l’euro. Secondo il primo ministro serbo Milos Vucevic, le azioni unilaterali di Pristina, la completa illegalità e il terrore nella provincia del Kosovo-Metohija (nome con cui i serbi continuano a chiamare l’ex provincia del Kosovo, indipendente dal 2008) mirano «ad una totale pulizia etnica dei serbi».

Secondo i rappresentanti serbi, la stessa finalità starebbe dietro alla volontà di riaprire il ponte che divide le due comunità – serba e albanese – nella città di Mitrovica. Il ponte è chiuso ai veicoli dal 2011, quando la popolazione di etnia serba ha iniziato a erigere barricate per impedire l’attraversamento da parte della popolazione albanese. Ora centinaia di serbi sono tornati a protestare contro l’apertura del ponte, temendo che ciò possa alimentare nuovi scontri violenti tra le due etnie, conducendo alla pulizia etnica dei serbi. «La chiusura di questo ponte ha salvato la coesistenza in Kosovo e il concetto politico (di convivenza tra serbi e albanesi) per il quale la Serbia è stata bombardata per 78 giorni. Questo ponte sul fiume Ibar ha fermato la pulizia etnica del 1999 e del 2000», ha detto Nikola Kabasic, ex giudice dimessosi nel novembre 2022 insieme ad altri funzionari serbi. La decisione di Pristina ha suscitato nuove polemiche tra il Kosovo e i suoi alleati occidentali: questi ultimi, infatti, vorrebbero che la questione fosse risolta nell’ambito del dialogo Belgrado-Pristina mediato dall’Ue, evitando azioni unilaterali da parte del Kosovo, sostenuto proprio da USA, Ue e NATO. Nel frattempo, la missione NATO nello Stato autoproclamatosi indipendente, la Kosovo Force (KFOR), ha dichiarato che manterrà una presenza fissa sul ponte e «continuerà a condurre pattugliamenti regolari nelle aree circostanti per garantire stabilità e sicurezza, a beneficio di tutte le comunità locali», sottolineando l’urgenza di tornare al dialogo mediato dall’Ue.

Quella in corso è solo l’ultima di una serie di questioni che ha contribuito a rinfocolare lo scontro tra serbi e albanesi kosovari e tra Belgrado e Pristina, il cui perno ruota attorno al mancato riconoscimento dell’autonomia amministrativa dei serbi, da un lato, e alla controversa indipendenza unilaterale del Kosovo, sostenuto dall’Occidente, dall’altra. Già a partire dal 2022, erano esplose le tensioni a causa del divieto imposto da Pristina di entrare nel Paese utilizzando i documenti di Belgrado e dell’obbligo di reimmatricolare le auto con targa serba. Da allora erano seguite violente proteste e dimissioni di massa da parte di deputati, giudici e poliziotti serbi. Gli ultimi scontri si erano verificati nel 2023, in seguito alle elezioni di aprile, quando erano stati eletti sindaci di etnia albanese. Le elezioni non erano state partecipate né riconosciute dalla comunità serba. Le recenti provocazioni del governo di Pristina, dunque, non fanno altro che acuire i contrasti destabilizzando l’area dei Balcani, mentre l’Ue si è dimostrata incapace finora di prendere provvedimenti determinanti per attenuare le tensioni a lungo termine.

[di Giorgia Audiello]

Cronologia del ritiro della Serbia dal Kosovo nell’ultimo anno
Fonte: canale Telegram @ruserbia – Sulla Serbia in russo, 21.9.2024.
https://t.me/ruserbia/22981

Almeno nell’ultimo anno e mezzo, la vita dei serbi nel nord del Kosovo è stata piena di tensione costante, a volte settimanale, a volte addirittura quotidiana.
Così, nel maggio dello scorso anno, le forze speciali del Kosovo, utilizzando bombe shock e gas lacrimogeni, hanno preso i “sindaci” albanesi negli edifici di tre comuni nel nord del Kosovo, abbattendo le bandiere serbe e installando quelle del Kosovo.
L’estate scorsa si è assistito a un’ondata di arresti di importanti serbi del nord del Kosovo, e la situazione si è aggravata alla fine di settembre, quando un gruppo armato guidato dall’ex vicepresidente della Lista serba si è scontrato con la polizia del Kosovo. Poi furono uccisi un “poliziotto” albanese e tre serbi del Kosovo e di Metohija.
Già nel novembre dello stesso anno iniziò la reimmatricolazione di massa delle targhe. All’inizio del 2024, le auto con tali targhe provenienti dalla Repubblica del Kosovo hanno cominciato a entrare liberamente nel territorio della Serbia centrale.
All’inizio dell’anno la Banca centrale di Pristina ha vietato l’uso dei dinari, dopodiché la polizia del Kosovo ha chiuso le filiali della Cassa di risparmio postale e poi delle Poste serbe nel Kosovo settentrionale. Anche il processo di sostituzione delle licenze serbe con quelle del Kosovo è stato completato e, nell’ultima azione avvenuta di recente, alcune delle restanti istituzioni serbe nel nord del Kosovo sono state chiuse.

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Ana Brnabić: Situacija na KiM najozbiljnija do sada, Kurti želi da izazove rat (Četvrtak, 12.09.2024.)
TRADUZIONE:
Ana Brnabić: La situazione in Kosovo è la più grave fino ad ora, Kurti vuole iniziare una guerra
 
Giovedì, 12.09.2024.
La presidente dell’Assemblea nazionale della Serbia, Ana Brnabić, ha sottolineato che la situazione in Kosovo e Metohija è finora la più grave, perché a quanto pare il primo ministro delle istituzioni temporanee di Pristina, Albin Kurti, vuole effettuare la pulizia etnica dei serbi e provocare un conflitto con Belgrado.
 “Questo perché mi sembra che Kurti non abbia altra scelta o via d’uscita dalla sua politica, se non quella di provocare un conflitto armato, cioè una guerra con Belgrado, ed è per questo che finora è il più arrogante e spericolato, perché è completamente messo con le spalle al muro e questa è la sua unica via d’uscita”, ha detto a Euronews.
D’altra parte ha sottolineato che “è nel nostro interesse che il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, cerchi di preservare la pace”.
Con il fatto che, come ha aggiunto, non dobbiamo permettere il maltrattamento del popolo serbo in Kosovo e Metohija, così come la confisca delle proprietà e la mancanza di qualsiasi sicurezza giuridica.
Brnabić ha menzionato che la vita dei serbi in Kosovo e Metohija è estremamente difficile, perché non possono più ricevere il salario né comprare merci dalla Serbia centrale.
“Assolutamente tutto porta a ciò di cui ha parlato anche Aleksandar Vučić al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, cioè che consapevolmente si provocano e si causano condizioni impossibili per la vita dei serbi in Kosovo e Metohija; con ciò Albin Kurti provoca consapevolmente la pulizia etnica e questo è ormai chiaro a tutti.” , ha sottolineato.
Secondo lei, il grosso problema è che tutto questo avviene sotto l’occhio vigile della comunità internazionale, vale a dire EULEX e KFOR.
Brnabić ha sottolineato che è positivo il fatto che la deputata Claudia Teni, membro delle file repubblicane, abbia inviato una lettera al segretario di Stato americano Anthony Blinken, chiedendo cosa faranno gli Stati Uniti d’America perché i diritti dei serbi in Kosovo e Metohija sono minacciati.
“È una cosa significativa e direi davvero il risultato degli sforzi di Aleksandar Vučić in tutti questi anni per stabilire una comunicazione diversa con lo Stato americano, e naturalmente dell’attuale ministro degli Esteri Marko Đurić, già ambasciatore serbo negli Stati Uniti, perché adesso abbiamo un gruppo serio e forte che si occupa di questi problemi e che rappresenta non direi solo gli interessi della Serbia, ma la verità e la giustizia”, ​​ha detto Brnabić.
A questo proposito ha sottolineato che la scorsa settimana il rappresentante speciale della Germania per i Balcani occidentali, Manuel Sarrazin, ha affermato che il CEFTA potrebbe essere possibile senza il cosiddetto Kosovo.
“In effetti, è incredibile sentire una cosa del genere dal signor Sarrazin, che è uno dei più grandi sostenitori della quasi indipendenza del Kosovo, ma anche sostenitore di Albin Kurti; il che significa che è lampante per tutti cosa sta facendo Kurti”, ha detto Ana Brnabić, secondo Tanjug.
Risposta del rappresentante ufficiale del Ministero degli Esteri russo M.V Zakharova ad una domanda dei media in relazione alle repressioni antiserbe in Kosovo
Fonte: canale Telegram del Ministero degli Esteri della Federazione Russa, 13.9.2024.
<https://t.me/MID_Russia/45211>

Domanda: Gli eventi in Kosovo e Metohija si stanno sviluppando secondo uno scenario tragico, si sta preparando una catastrofe umanitaria su vasta scala. I serbi che vivono nella regione sono sull’orlo della sopravvivenza. Come potreste commentare questo?

M.V. Zakharova: In effetti, il cosiddetto Primo Ministro Kurti sta brutalmente sfollando i serbi che vivono in Kosovo e Metohija dalle loro terre natali , utilizzando a questo scopo un intero arsenale di strumenti repressivi e misure intimidatorie.
Con l’aiuto della “polizia” e delle “forze speciali” di Pristina sono state liquidate le strutture amministrative serbe rimaste nel nord della regione. Le autorità municipali di Kosovska Mitrovica, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic, l’ufficio dell’Ente di governo serbo per il Kosovo e Metohija, una filiale del Fondo pensionistico e di assicurazione sanitaria e altre istituzioni socialmente significative sono state chiuse con la forza.
A seguito di un raid punitivo con uso sproporzionato della forza, gli immobili sono stati sequestrati e trasferiti in uso ad organi illegittimi dell’autoproclamata “repubblica”. La documentazione e le attrezzature per ufficio sono state confiscate, gli edifici sono stati transennati, le bandiere serbe strappate e agli ingressi sono stati affissi cartelli in albanese. I kosovari annunciarono “l’abolizione delle istituzioni serbe parallele”, interrompendo così l’accesso dei serbi ai servizi di base nel loro luogo di residenza.
I rappresentanti della Missione UE sullo Stato di diritto in Kosovo, che da tempo si sono trasformati in istigatori e complici della politica criminale di Kurti, hanno osservato ciò che accadeva regolarmente, senza interferire. Le capitali occidentali hanno rimproverato con riluttanza i loro reparti di Pristina per la “mancanza di coordinamento” e hanno chiarito ancora una volta che non mettevano in dubbio la legalità della persecuzione dei serbi. L’unico requisito per Kurti è coordinare le fasi con i curatori esterni . Non adottano alcuna misura di influenza sul “primo ministro”, al contrario, incoraggiano implicitamente la pulizia etnica e la creazione di una nuova realtà culturale e demografica nelle aree popolate dai serbi. Le autoproclamate “autorità” regionali vedono perfettamente che l’Occidente ha dato loro completa “mano libera”. C’è un’inerzia a lungo termine nel proteggere gli albanesi e nel colpire i serbi.
Gli organi provvisori dell’autogoverno di Pristina si muovono sistematicamente verso l’obiettivo di eliminare definitivamente la popolazione ortodossa e di svuotare così di significato il concetto di Comunità dei comuni serbi del Kosovo. Questo piano barbarico rappresenta una minaccia diretta per i serbi rimasti nella parte settentrionale della regione.
Esprimiamo la nostra solidarietà alla comunità serba del Kosovo e Metohija e invitiamo le presenze internazionali che operano nella regione sulla base della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ad adempiere adeguatamente ai loro mandati e a garantire la protezione dei serbi dagli attacchi ai loro diritti e alla sicurezza . La piena responsabilità del fallimento della normalizzazione e della crisi alimentata da Pristina ricade sui paesi occidentali.

Vucic sulla protezione dei serbi del Kosovo: le firme europee sugli accordi non garantiscono e non significano assolutamente nulla
Fonte: canale Telegram @balkanist2019, 14.9.2024.
<https://t.me/balkanist2019/11382>
La Serbia chiede il ritorno allo status quo:

• elezioni nel nord del Kosovo
• formazione della polizia serba nel nord del Kosovo e Metohija, ritorno dei giudici
• ritiro della polizia del Kosovo dal nord e di altre autorità
• formazione immediata e urgente della Comunità dei Comuni serbi
• applicazione delle garanzie dell’Unione europea per il rilascio di tutti i serbi dalle carceri di Pristina
• garantire il flusso di fondi e beni ai serbi dalla parte centrale della Serbia
• riconoscimento del Kosovo e Metohija come territorio sotto protezione speciale, che si trova in una situazione socialmente pericolosa
• assistenza finanziaria ai serbi del Kosovo (libri di testo e pasti gratuiti per gli scolari)
• materiali edili gratuiti per chi vuole costruire
• posti di lavoro per specialisti e aumento dei salari per i serbi del Kosovo
• costruzione e ristrutturazione di asili nido
• protezione delle autorità serbe; Belgrado creerà le proprie strutture governative alternative nella zona di confine sul lato serbo, dove i cittadini potranno elaborare tutti i documenti necessari
• creazione di una procura speciale serba e di altri organi giuridici per il Kosovo e Metohija per indagare sui crimini contro i serbi del Kosovo e Metohija
• Tutti gli atti di Pristina contrari all’Accordo di Bruxelles vengono riconosciuti dalla Serbia come non validi

“Non proclamiamo lo stato di occupazione, perché così facendo riconosceremmo il loro esercito. Questo è inaccettabile, non riconosciamo il territorio del Kosovo e Metohija come un altro Stato”.


=== 3 ===
Provocazioni pan-albanesi a Leposavić, Istok, Kosovska Mitrovica, Prekovac, Mitrovica
Fonte: @vestniksrb 12.9.2024.

<https://t.me/vestniksrb/14758>


(…) La “polizia del Kosovo” ha fatto irruzione nella Banca popolare serba a Leposavić e ha iniziato a sequestrare documenti e denaro. Insomma, un vero e proprio furto. Sono in corso perquisizioni anche negli altri edifici della banca.
I militi hanno arrestato Tomislav Pantic, 80 anni (!) del comune di Istok. È accusato (chi ne dubiterebbe) di crimini di guerra. L’uomo non è fuggito dopo la guerra, ha vissuto in Kosovo per 30 anni e ora “all’improvviso” è accusato di crimini di guerra.
Non hanno potuto arrestare tre giovani a Kosovska Mitrovica a causa della mobilitazione dei serbi, così hanno deciso di rinchiudere un pensionato in una città dove praticamente non ci sono serbi. Inoltre, molto probabilmente uno degli albanesi vuole solo prendersi la casa, da qui l’accusa.
Nel villaggio di Prekovac, vicino alla città di Novo Brdo, è stato arrestato S.I., serbo, impiegato delle Poste di Serbia, a causa di armi presumibilmente illegali (apparentemente, ancora una volta, in un’auto è stato trovato l’intero arsenale di un’unità delle forze speciali… Sappiamo che tali messinscena hanno già avuto luogo). È stato detenuto per 48 ore.
A Mitrovica in Kosovo un serbo è stato letteralmente rapito nel centro della città a causa degli avvenimenti avvenuti nel villaggio di Banjska. Scrivono che è già stato rilasciato dopo l’interrogatorio.
Ministarstvo kulture: u toku nasilno odnošenje arhivske građe u Leposaviću (Četvrtak, 12.09.2024.)
TRADUZIONE:
Ministero della Cultura: è in corso la rimozione forzata del materiale d’archivio di Leposavic
Giovedì, 12.09.2024.
Il Ministero della Cultura della Repubblica di Serbia e l’Archivio di Stato della Serbia informano il pubblico internazionale e nazionale che il materiale d’archivio appartenente al fondo archivistico della Repubblica di Serbia viene prelevato con la forza da Leposavic.
Come dichiarato nel comunicato, con questo atto la polizia del Kosovo commette violenze contro il patrimonio culturale della Repubblica di Serbia.
“Il materiale d’archivio è stato sempre rubato e portato via durante le occupazioni (prima e seconda guerra mondiale), quindi le ultime violenze da parte della polizia del Kosovo risvegliano il ricordo di tali atti di vandalismo. Quando il materiale d’archivio viene gestito oltre le procedure previste dalle autorità internazionali standard e leggi in materia di archiviazione in tutti gli stati, allora si parla di rapina”, conclude la nota.


=== 4: FLASHBACK ===
Gorazdevac, 13 agosto 2003. Una delle tante tragiche storie, “non casualmente” obliate, del martoriato popolo serbo del Kosovo Metohija

a cura di Enrico Vigna, 13 agosto 2024

Quel 13 agosto di ventuno anni fa, era una giornata molto calda nell’enclave di Gorazdevac, oltre alla tensione per le violenze e i tentativi di assalti intorno al villaggio, c’era un’afa pesante e soffocante, come le giornate che si vivevano tra le case dei serbi e di alcune famiglie rom. Quasi come se tutti fossero in attesa di altre violenze, altre sparatorie, altri incendi, altri morti. Nonostante questo, tutto appariva uguale al giorno prima, tutto pareva immobile come le loro vite chiuse, assediate dentro l’enclave. Così, come in altri giorni, alcuni ragazzi e ragazzini, con incoscienza o solamente voglia di vivere una normalità propria di ogni ragazzo giovane, ma a loro negata, in un Kosovo “liberato” dalla NATO e sotto tutela della KFOR, decisero di andare al fiume Bistrica, che scorre a poche centinaia di metri dalle case, a cercare refrigerio dalla calura estiva, a passare qualche momento di spensieratezza, di giochi nell’acqua e momenti di leggerezza.

Ma quel 13 agosto non era un giorno uguale agli altri per i ragazzi dell’enclave serba, quel giorno  cambiò la vita di tutti loro e, tragicamente, per due finì lì la loro breve esistenza.

Quel giorno alcuni assassini, eroici “liberatori” del Kosovo, commisero un atto criminale e barbaro, ignobile e senza alcuna giustificazione, con un vile attacco terroristico spararono 87 colpi con fucili automatici, contro i ragazzi inermi, mentre facevano il bagno nel fiume: due di loro Pantelija Dakić (12 anni) e Ivan Jovovic (19 anni) furono uccisi mentre semplicemente nuotavano, e altri quattro: Marko Bogičević (12 anni), Dragana Srbljak (13 anni), Bogdan Bukumirić (14 anni) e Djordje Ugrenović (20 anni) rimasero gravemente feriti. Colpiti da mani assassine mentre aspiravano semplicemente. ai loro sogni di gioventù.

Difficile trovare parole da scrivere di fronte a una fine ingiustificata delle giovani esistenze di Panta e Ivan, uccisi alle soglie della vita. Sono stati uccisi non perché avessero qualche colpa e non perché avessero fatto del male a qualcuno, ma perché erano serbi, perché erano nati serbi nella loro stessa terra, il Kosovo e Metohija. Ricordarli significa riaffermarli come un simbolo del martirio e della sofferenza del popolo serbo in KosMet, della dignità calpestata, del diritto alla vita e alle proprie radici per ogni popolo e ribadire un atto per la verità e la giustizia.

Il fatto che dopo ventuno anni, gli autori di questo crimine non sono mai stati trovati e EULEX ha ufficialmente chiuso le indagini, ha un significato  preciso di quale sia stata e sia tutt’oggi la realtà  e i risultati prodotti dall’aggressione e i bombardamenti alla RFJ del 1999, per LIBERARE il Kosovo. Questo è stato solo uno delle migliaia di crimini, commessi dal giugno 1999 in poi in quella martoriata provincia jugoslava e serba. Mentre il mondo occidentale “democratico e diritto umanista”, senza pudore, si è conformato all’ideologia dell’ingiustizia, delle falsità storiche e dell’egemonismo unipolare atlantista.

Il padre dell’assassinato Pantelija Dakić, Milisav, ha affermato che dopo ventuno anni, non si aspetta più che le cosiddette autorità del Kosovo attuale, trovino o dicano chi siano gli assassini, la sua unica speranza è che la Serbia ci riesca. “…Sono passati 21 anni. Onestamente non mi aspetto che questa banda che governa oggi il Kosovo, trovi chi ha assassinato mio figlio e Ivan. Mi aspetto che il nostro Paese lo faccia, ma è già passato troppo tempo…Quando andai sul posto per controllare, c’era un sentiero battuto, è lì che sono arrivati gli assassini, hanno controllato, osservato e poi commesso il crimine…Per dieci anni nessuno è venuto a chiedere nulla riguardo all’omicidio di mio figlio…Non mi aspetto che questi qui trovino l’assassino, ma spero che un giorno la verità venga fuori. Resto forte e conservo la forza per portare avanti questa battaglia di verità e giustizia e poi sarò un uomo sereno e potrò morire…”, ha detto Milisav Dakić. Il padre dell’assassinato Pant ha ricordato quel giorno di 21 anni fa: “…Due figli e una figlia erano al fiume  Bistrica. Il fratello più giovane che era lì con il fratello, era accanto a Pant ferito e non lo ha lasciato finché non sono arrivato io, i proiettili fischiavano accanto a loro…Ho preso Pant tra le mani e se avessi cominciato subito la ricerca, visto che conosco il terreno, avrei trovato gli assassini. Sono stato fermato da Pant, perché l’ho preso tra le mani e l’ho portato subito alla base della KFOR, dove questa gente non voleva accettarci, allora siamo andati all’ospedale di Pec. Là siamo stati ricevuti con applausi dispregiativi e un’accoglienza di scherno, come se fossimo a un matrimonio…e invece mio figlio stava morendo…Io mi sono seduto accanto a Pant e Bogdan e gli tenevo le mani. Ho visto un uomo con un cappotto. La quarta parte del cranio di Bogdan era stata spinta fuori e non mostrava segni di vita, un uomo con ago e filo è andato verso di lui. L’ho allontanato perché non sapevo con quale intenzione avesse e cosa volesse fare. Pant era accanto a lui. Sono andato in un’altra stanza per meno di un minuto. Prima Pant respirava profondamente, all’improvviso sono entrati 50 soldati in equipaggiamento da guerra, sono entrati e mi hanno detto che Pant era morto. Non credo che una cosa del genere possa accadere in 1-2 minuti, poi sono andati via e ho il  dubbio che quella banda di criminali abbia prelevato gli organi di Pant, ho un dubbio grandissimo….”, ha dichiarato Milisav Dakic.

Questa storia è un emblema della sofferenza del popolo serbo in Kosovo e Metohija, dal giugno 1999, dopo l’arrivo delle forze internazionali nella provincia meridionale serba. Le vittime sono un risultato di una folle ideologia di odio, da parte di terroristi e criminali auto proclamatisi “liberatori”, supportati, armati e protetti dai paesi NATO, per una cinica strategia di distruzione della RFJ, per meri scopi di interessi geopolitici. Un odio esasperato rivolto contro tutto il popolo serbo, le sue radici, storia e cultura nella terra kosovara e questa ideologia quasi psicopatica, che però non è folle, ma è stata pianificata scientificamente, è diventata forma politica di dominio e terrore contro i serbi, ma anche contro le altre minoranze, a cominciare dai rom, per finire all’uccisione di tutti quegli albanesi kosovari ( forse la maggioranza delle persone perbene e oneste) che non accettavano questa follia pianificata. Purtroppo questa condizione non è stata abbandonata e guida le “autorità” del cosiddetto “stato Kosova” ed è la realtà del Kosovo tutt’oggi.

Sopravvissuto di Goraždevac: “ Le ferite del corpo sono guarite, ma il dolore nell’anima non si è mai interrotto”.

“…Ancora oggi mi sento esattamente lo stesso di quel giorno: il dolore non si ferma. Le ferite nel corpo sono guarite, ma il dolore nell’anima mai…”, ha affermato Bogdan Bukumirić, che fu curato per sei mesi per le gravi ferite riportate in quella giornata atroce. Bukumirić, che nel 2003 aveva 15 anni, ha condiviso i suoi ricordi che, come dice lui, non lo abbandonano mai, e nella conversazione con il giornale “KosovoOnline”, ha ricordato i suoi amici uccisi Pantelija Dakić e Ivan Jovović. “…Tutti passavano davanti a casa mia perché era la più vicina al fiume e quel giorno i miei amici mi invitarono ad andare, io resistetti, lo chiesi anche a mio padre, che sembrava avere una premonizione. Mi disse ‘aspetta un pò, l’acqua è fredda’, ma dopo mi ha lasciato e siamo andati al fiume, l’acqua era molto fredda, quindi sono uscito velocemente e sono rimasto con i miei amici che avevano già acceso il fuoco per arrostire il mais…Ero accanto a Pant, dopo 10, 15 minuti è iniziata una prima raffica di fuoco. All’inizio non sapevamo cosa stesse succedendo, poi tre proiettili mi hanno colpito al lato sinistro attraversandomi. Tenete presente che volevo vedere il mostro, il criminale che sparava. Mi sono voltato verso di loro nella speranza di vederne la figura, nel caso fossi riuscito a sopravvivere. Poi sono stato colpito da due proiettili sopra il petto. Quando sono caduto un proiettile mi ha preso in testa e l’ottavo proiettile ha sfiorato la caviglia della mia gamba sinistra”, ha dettoGoraždevac, già dal 1999, i serbi avevano imparato a riconoscere da dove proveniva il rumore degli spari, così andarono tutti al fiume nella speranza che non fosse successo nulla ai loro figli. La lotta per salvare la vita ai ragazzi feriti è cominciata subito dopo che i boia avevano terminato il loro sanguinoso banchetto ed erano fuggiti. “…Mi hanno messo in macchina e mi hanno trasferito alla base della Kfor a Goraždevac, ma lì non c’era un medico che potesse prestarmi i primi soccorsi, quindi mi hanno trasferito all’ambulatorio del villaggio, dove mi hanno fasciato e alleviato le ferite. Nel frattempo, la gente del posto e la mia famiglia chiedono alla Kfor di trasferirmi all’ospedale di Peč, ma ricevono la risposta che questo non poteva essere fatto per motivi di sicurezza,” raccontaBogdan.

I suoi ricordi rammentano che con suo fratello e i suoi vicini si erano recati alla base con un’auto con targa serba e la loro macchina si era fermata proprio accanto al mercato di Pec.

“…Un vicino era seduto sul sedile posteriore accanto a me e mi incoraggiava continuamente dicendomi che sarebbe andato tutto bene. Quando la nostra macchina si fermò, ci hanno aggredito, volevano tirarci fuori dall’auto, hanno demolito l’auto, il mio vicino che guidava venne colpito con pugni, pietre e il vicino che era accanto a me, mi ha protetto da tutto e dai colpi…”.

Secondo quanto gli è poi stato raccontato, dice che sono passati due veicoli della Kfor, che lo hanno trasferito su un veicolo, mentre i vicini e il fratello sono stati trasferiti su un altro. Da lì furono trasferiti all’ospedale di Pec e lui fu messo nella stanza dove giaceva Pantelija assassinato.

“…Il padre di Pantelia teneva sia la sua che la mia mano. All’ospedale erano allegri, suonavano musica ad alto volume, c’erano anche altri feriti. Dopodiché un medico e uno della Kfor vennero a prestare i primi soccorsi, ma il padre di Pant non lo permetteva perché il medico di Goraždevac, che era con noi, notò che davo segni di vita e insistette perché mi trasferissero nella parte settentrionale di Kosovska Mitrovica, ma occorreva chiedere l’autorizzazione al comando di Pec e il comando a Pec doveva chiedere al comando di Pristina e così via…”, dice Bogdan.

Dopo tre ore c’è stata la decisione di trasferirlo, dopodiché hanno permesso che lui e Marko Bogičević venissero trasportati in elicottero verso Mitrovica, ma poi si sono diretti verso Prizren, dove hanno lasciato Marko alla base tedesca della KFOR.

Bogdan fu poi trasferito nella parte meridionale di Mitrovica, nella base francese della Kfor. La dottoressa Milena Cvetković dell’ospedale KBC di Kosovska Mitrovica nord, quando ha scoperto dove si trovava e, sotto la propria responsabilità, si è diretta in ambulanza verso l’ospedale della base francese. Dopo aver insistito fortemente per essere presente mentre gli operavano la milza, ha poi chiesto cosa sarebbe successo alla ferita sulla testa. “…Quando le dissero che avevano chiamato un neurochirurgo da Pristina, lei non sapeva quale medico avevano chiamato, se era francese o albanese, andò nel panico e insistette perché mi trasferissero nella parte nord di Mitrovica. All’inizio non accettarono ma poi dopo molte discussioni accettarono. Lì avrei dovuto essere portato con un elicottero serbo dell’Associazione Auto-Moto, ma non gli permisero  di sorvolare il confine amministrativo, allora il medico mi ha trasferito in ambulanza a Raška in Serbia, da dove venni poi portato in elicottero all’ospedale di Belgrado…”, ha raccontato Bogdan. Come afferma anche oggi, quando ricorda tutta la situazione, si sente assolutamente lo stesso del primo giorno. “…Quel mostro criminale che a quel tempo uccise e ferì noi ragazzi innocenti, se ne va libero, forse lo vediamo tutti i giorni, forse mi guarda e ride, non lo so. Ogni giorno mi aspetto, ogni secondo mi aspetto che qualcuno mi chiami e mi dica: ‘…il mostro è stato arrestato. Sarebbe un po’ più facile per me…E’ inverosimile che in un’area così piccola, non sia stato possibile trovare chi ha sparato. Perché la comunità internazionale non ha fatto nulla? Neanche sui fatti di Stari Gracko, né sull’autobus Nis Express, essi sono qui per fare qualcosa, penso che sia giusto sapere chi è stato e fargli rispondere dei loro crimini, dei miei due compagni morti, delle mie ferite…Coprire un crimine è un reato molto grave. Noi vittime e le nostre famiglie abbiamo il diritto di sapere chi è stato, e io vorrei fargli solo una domanda: perché i ragazzi, perché noi …”, ha detto Bogdan.

Il suo messaggio è rivolto innanzitutto alla comunità internazionale: per riavviare le indagini, sottolineando che ci sono prove, perché nel rapporto si afferma che sono stati ritrovati 87 bossoli. Ma l’indagine su quel delitto è stata ufficialmente sospesa e chiusa nel 2010. Oggi, Bogdan Bukumirić vive a Belgrado, si è realizzato come padre di famiglia, e la sua forza  per vivere, come afferma con un sorriso, gli viene data dalle sue due figlie.

Da 21 anni il Bistrica per Bogdan Bukumirić non è più un’oasi dove ha trascorso l’infanzia con gli amici e ha cercato refrigerio dalla calura estiva, dal 13 agosto 2003 Bistrica è per lui un fiume di sangue.

L’assassinio ed il ferimento dei ragazzi serbi sul fiume Bistrica è considerato uno dei quattro più grandi crimini contro i serbi dal 1999, dall’arrivo della missione internazionale KFOR in Kosovo.

Il villaggio di Goražvdevac è un villaggio di dolore e sofferenza, ma anche un villaggio di valorosi, che ancora sopravvivono nei loro focolari e proteggono la dignità serba. Nonostante la tragica perdita e le pressioni quotidiane, i serbi di Goraždevac sopravvivono nella loro terra, custodendo le tombe dei loro figli e antenati caduti e le radici dell’esistenza serba in Metohija, che esiste ininterrottamente da secoli in quelle terre e che nessuno potrà cancellare. In una nota consegnata ai media, le famiglie inconsolabili, sottolineano che ”… ancora aspettiamo giustizia, ma in assenza della giustizia umana,  possiamo solo sperare almeno in quella, sempre gradita, di Dio…”.

Davanti alla chiesa di San Geremia a Goraždevac si è svolta la cerimonia commemorativa in onore di Ivan Jovović e Pantelija Dakić, uccisi sul fiume Bistrica21 anni fa

La cerimonia commemorativa è stata celebrata dal metropolita Teodosije di Raška-Prizren con la concelebrazione del parroco di Gorazdevac padre Nenad Našpalić, del parroco di Osojana, Dalibor Kojić e dei monaci del monastero di Visoki Dečani.

“…Ventuno anni, fratelli e sorelle, da quando qui in questo villaggio sul fiume Bistrica accadde questo sventurato evento in cui pagarono coloro che sono i più puri davanti a Dio, cioè i giovani, Ivan e Panto e gli altri feriti. Oggi siamo tutti riuniti qui a celebrare per loro un servizio commemorativo con preghiere per le loro anime innocenti, per coloro che furono immolati come agnelli giovani e puri. Per loro che sono un impegno per tutti noi che siamo di Gorazdevac… la nostra consolazione e speranza per Ivan e Panta e per tutti gli altri che soffrono, soprattutto per i bambini non solo in Kosovo e Metohija ma in tutto il mondo, che soffrono ancora oggi, è quella che il mondo si converta alla pace, come bene comune… “, ha detto il metropolita Teodosije nel suo discorso.

 

PROGETTO  enclavi “ SOS Kosovo Metohija

Esattamente un anno dopo, nel 2004, arrivai a Gorazdevac, con la scorta armata della KFOR, come delegato di SOS KosovoMetohija-SOSYugoslavia, con la delegazione del sindacato Samostalni della Zastava di Kragujevac…Iniziò quel lontano giorno di 20 anni fa il nostro Progetto nell’enclave di Gorazdevac, con i lavoratori licenziati della Zastava di Pec e i bambini dell’enclave. Andai al monumento che ricorda Pant e Ivan, portai dei fiori, ma ero lì davanti in silenzio, e ricordo che sempre in silenzio, chiesi scusa e perdono come, purtroppo, cittadino di un paese che ha supportato, finanziato e armato quei criminali e assassini, definiti “liberatori” e portatori di democrazia e libertà…..Nella verità storica solamente criminali terroristi che hanno aperto vigliaccamente il fuoco, uccidendo e ferendo semplici ragazzi inermi.

Progetto Enclave Gorazdevac     

Nel viaggio di solidarietà condotto con SOSKosovoMetohija-SOS Yugoslavia, abbiamo realizzato il video documentario “Kosovo 2005, viaggio nell’apartheid”, una documentazione in dettaglio di come vive questa gente, della loro tremenda realtà. Aiutiamoli almeno con cibo, materiale scolastico, farmaci…

Aiutiamoli a non sentirsi soli e abbandonati da tutti, diamo un po’ di speranza a quelli che pagano le conseguenze della guerra, nel cuore d’Europa, e che nonostante tutto, hanno il diritto alla speranza che la solidarietà non sarà negata loro. Sostenete per quanto possibile, questo ulteriore sforzo.

Enrico Vigna, SOSKiM-SOSYU e Rajka Veljovic, Ufficio adozioni e rapporti internazionali, Sindacato Samostalni Zastava KG

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Raccogliendo questo appello, rinnoviamo il nostro impegno per l’enclave di Gorazdevac

Insieme ai nostri referenti locali abbiamo deciso di destinare un primo kit di generi di emergenza per ciascuno dei 210 bambini e ragazzi ancora presenti nell’enclave

Enrico Vigna presidente di SOSYugoslavia-SOSKosovoMetohija

=== 5: FUORITEMA ===
https://www.analisidifesa.it/2024/09/il-controspionaggio-turco-arresta-un-kosovaro-legato-al-mossad/

 
Il controspionaggio turco arresta un kosovaro legato al Mossad

 
3 Settembre 2024

I servizi di sicurezza turchi hanno arrestato un cittadino kosovaro, Liridin Rexhepi, sospettato di essere il direttore finanziario delle operazioni del Mossad, il servizio segreto israeliano, in Turchia. L’arresto sarebbe avvenuto il 30 agosto a Istanbul mas la notizia è stata diffusa solo oggi dall’agenzia di stampa pubblica turca Anadolu. I servizi segreti turchi (Millî İstihbarat Teşkilatı – MIT), che stavano monitorando il sospetto da quando era entrato nel Paese cinque giorni prima, lo hanno osservato mentre effettuava trasferimenti di denaro a persone che lavorano per il Mossad in Turchia e in Siria.

Secondo quanto riportato da Anadolu, questi trasferimenti di denaro provenienti dai Paesi dell’Europa orientale e in particolare dal Kosovo, sarebbero stati utilizzati per pagare le riprese con i droni e le “operazioni psicologiche contro i politici palestinesi”.

Rexhepi ha ammesso di aver effettuato trasferimenti di denaro a informatori tramite Western Union ed è stato incarcerato in attesa di una comparizione in tribunale. Parte dei fondi è stata trasferita a informatori in Siria utilizzando anche criptovalute.

Da gennaio sono state arrestate in Turchia circa trenta persone sospettate di spionaggio per Israele, accusate in particolare di preparare rapimenti. Ma già nel 2021 e 2022 la polizia turca aveva arrestato diverse decine di persone sospettate di spiare i palestinesi residenti in Turchia per conto dei servizi segreti israeliani.

Nella primavera del 2022, i media israeliani hanno riferito di tentati attacchi a turisti israeliani a Istanbul, sventati grazie alla cooperazione tra i servizi segreti turchi e israeliani. Israele e Turchia sono come noto ai ferri corti dall’inizio delle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza.

Di questo tema, oltre che dei rapporti bilaterali, parleranno domani ad Ankara il presidente Recep Tayyp Erdogan e l’omologo egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, alla sua prima visita ufficiale da capo di Stato in Turchia. Il presidente Al Sisi aveva già visitato la Turchia in qualità di ministro della Difesa nel maggio 2013.

CANALE TELEGRAM: https://t.me/jugocoord
 
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ETS
C.P. 252 Bologna Centro, I-40124 (BO) – ITALIA
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