[SinistraInRete] Raúl Rojas-Andrés,  Samuele Mazzolini, Jacopo Custodi: Podemos, ascesa e fallimento

Rassegna 04/10/2024

Raúl Rojas-Andrés,  Samuele Mazzolini, Jacopo Custodi: Podemos, ascesa e fallimento

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Podemos, ascesa e fallimento

di Raúl Rojas-Andrés,  Samuele Mazzolini, Jacopo Custodi

Il populismo di sinistra di Podemos è rimasto vittima della sua cultura elitaria. I leader della formazione viola sono riusciti a suscitare ammirazione intellettuale, ma non identificazione politica, e questo ha favorito il cortocircuito della sua operazione populista

populismo imperfetto.jpgQuest’anno ricorre un decennio dalla nascita di Podemos, il partito che è emerso sull’onda del movimento 15M e ha sfidato l’austerità nelle piazze delle principali città spagnole. Nei primi giorni, tutto sembrava possibile. Ben presto si è trovato in testa ai sondaggi nazionali con oltre il 20% di consensi, prevedendo di superare il Partito Socialista (PSOE) terremotando il sistema dei partiti che resisteva in Spagna dalla transizione alla democrazia alla fine degli anni Settanta.

Ma da allora molto è cambiato. Oggi, la rappresentanza di Podemos nel Parlamento spagnolo è scesa a soli quattro deputati. Al suo apice, ne aveva settantuno. Alle elezioni di giugno per il Parlamento europeo, Podemos e la sua costola, Sumar, hanno corso separatamente e hanno ottenuto rispettivamente solo il 3,3% e il 4,7%.

Podemos ha fatto irruzione sulla scena adottando una strategia populista ispirata alla sinistra latinoamericana e al lavoro del teorico politico argentino Ernesto Laclau. Si è discostato dalle logiche, dai discorsi e dai simboli tradizionali della sinistra spagnola. Invece di inquadrarsi in opposizione alla destra, ha cercato di fare appello al “popolo” in opposizione alla “casta”. Ma la sua strategia si trovò ben presto divisa in due fazioni opposte.

La prima, guidata da Pablo Iglesias e nota come “pablismo”, sosteneva un ritorno a un’identità apertamente di sinistra. La seconda, quella guidata da Íñigo Errejón, riuniva coloro che volevano mantenere la tabella di marcia populista: costruire ampie maggioranze attorno a un discorso volutamente ambiguo, abbastanza ampio da includere settori diversi e non politicizzati della popolazione. L’“Errejonismo” ha finito per lasciare il partito dando vita a un proprio gruppo, Más País, che ora fa parte di Sumar.

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Alessandro Simoncini: Jean Luc Nancy e il non finito della democrazia

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Jean Luc Nancy e il non finito della democrazia

di Alessandro Simoncini

Screenshot 2024 09 26 alle 15.49.04
1140x641.pngLa democrazia neoliberale di cui oggi sperimentiamo l’ormai lunga crisi, non è mai stata la democrazia trionfante e compiuta che si sarebbe dovuta affermare sulla spinta della vittoria epocale del mercato. Dopo quella che in modo hegelianamente perverso Francis Fukuyama definì la fine della storia, la sconfitta del “socialismo reale” e di ogni comunismo inteso come possibile alternativa politica, economica e sociale, non ha portato a una felice fine della democrazia[1]. Al contrario – sopravvissuta come uno zombie alla “fine della fine della storia” – più che realizzare una democrazia senza fine, almeno a partire dalla crisi degli anni ’70 la democrazia neoliberale ha covato a lungo in seno tutte le contraddizioni che rischiano oggi di condurre a una fine della democrazia di segno del tutto opposto a quella gaudente ed espansiva auspicata da Fukuyama[2]. Di tutto ciò era pienamente consapevole Jean-Luc Nancy, quando nel 2019 scriveva: “trent’anni dopo la caduta del muro di Berlino e della cortina di ferro i conti con i sogni sull’estensione mondiale della democrazia non tornano”[3]. A fare i conti con quei sogni, del resto, Nancy ha dedicato una parte significativa sua riflessione politica e testi molto rilevanti. Le pagine che seguono prendono in esame solo una piccola parte dell’una e degli altri.

 

  1. Critica dello spettacolo e della democrazia “gestionale”

Già alla metà degli anni ’90, nel suo Essere singolare plurale, un libro che non trattava ancora direttamente il tema della democrazia, Nancy sosteneva che le società democratiche capitalistiche realmente esistenti erano svuotate di ogni “«sociazione», di ogni «mettersi in società», per non parlare – aggiungeva senza nostalgie –, delle «comunità» e delle «fratellanze» con cui si forgiavano un tempo le scene primordiali”[4].

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Michele Paris: Iran: pioggia di fuoco su Israele

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Iran: pioggia di fuoco su Israele

di Michele Paris

Per la seconda volta quest’anno, la Repubblica Islamica ha mostrato la fragilità di Israele lanciando centinaia di missili sul territorio dello stato ebraico nella serata di martedì. L’attacco è la risposta all’assassinio di venerdì scorso del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e del comandante dei Guardiani della Rivoluzione, generale Abbas Nilforoushan, nonché di quello dello scorso mese di luglio del capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Questa operazione apre scenari imprevedibili in Medio Oriente, ma per il momento interrompe bruscamente l’ubriacatura sionista dopo i recenti atti di terrorismo in Libano e l’inizio dell’invasione di terra nel “paese dei cedri” che sembravano avere assestato un colpo quasi letale all’asse della resistenza.

Le immagini rimbalzate in rete della pioggia di missili iraniani su Tel Aviv e altre località israeliane sono state accolte con euforia nei territori occupati e tra le popolazioni di quasi tutti i paesi arabi. L’abbandono della prudenza da parte di Teheran ha nel contempo ridato fiducia ai nemici di Israele e prospettato ulteriori iniziative se dovessero esserci ritorsioni nei prossimi giorni. Le dichiarazioni ufficiali arrivate da Teheran parlano di un’offensiva autorizzata dal Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale con l’appoggio delle forze armate.

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Pierluigi Fagan: Sostiene Kepel

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Sostiene Kepel

di Pierluigi Fagan

Gilles Kepel è uno dei massimi arabisti e studioso del Medio Oriente contemporaneo, specializzato nella complicata galassia salafita, francese, di orientamento di “sinistra”. In una breve intervista per Repubblica, sostiene che c’è la possibilità che dietro le quinte di ciò che vediamo ci sia un conflitto interno il potere in Iran. Secondo lui, dal 7 ottobre, si sarebbe aperta una strana sequenza di morti sospette.

Si comincia a maggio con la caduta dell’elicottero che portava l’ex presidente Ebrahim Raisi che era considerato il più papabile futuro successore della guida suprema Ali Khamenei (85 anni), di area ultraconservatrice. Raisi aveva rivendicato la giustezza dell’azione Hamas del 7 ottobre. Darlo come obiettivo degli israeliani era pur possibile ma con relativi gradi di probabilità che scendevano ulteriormente se si immagina la logistica dell’eventuale azione.

A luglio, inaspettatamente, viene eletto presidente Masoud Pezeshkian, moderato e riformista.

Per partecipare ai festeggiamenti per l’insediamento del nuovo presidente, si trovava a Teheran Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, che muore in un attentato. Gli israeliani rivendicano l’azione, ma il NYT scopre che non si è trattato di un missile, un drone o un attacco aereo ma di una bomba piazzata nella sua camera di un albergo in un compound militare ultra-sorvegliato.

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coniarerivolta: Piove, governo ladro

coniarerivolta

Piove, governo ladro

di coniarerivolta

Sono stati giorni tristi, in cui abbiamo rivisto le immagini dei disastri provocati dalle piogge in Emilia-Romagna, a solo un anno e mezzo di distanza dall’ultima alluvione, e mentre il dibattito politico si concentrava sul balletto di responsabilità sulle ragioni per cui i cittadini di quella regione ancora aspettano i ristori dell’emergenza precedente, si è manifestato in maniera plastica come il Governo pensa di affrontare tali emergenze senza rischiare di sfidare il paradigma dell’austerità: sostanzialmente, senza fare niente, e addirittura raccomandando (o, come vedremo, obbligando) cittadini e imprese a vedersela da soli e a loro spese.

Andiamo con ordine: sappiamo bene che l’Italia è un paese fragile dal punto di vista idrogeologico, tanto più in quanto vittima di un modello di sviluppo che ha favorito una crescita disordinata del territorio a tutto vantaggio del profitto, con un continuo consumo di suolo che l’ha resa sempre più esposta agli eventi estremi (e a volte neanche gli eventi tanto estremi hanno causato disastri). Emblematica poi la situazione specifica dell’Emilia-Romagna dove un modello di sviluppo territoriale scellerato fondato su un uso intensivo e irresponsabile del territorio – promosso e sostenuto dalle amministrazioni del centro-sinistra neo-liberale – è, con ogni evidenza, alla base del disastro consumatosi nel maggio 2023 e ancora, in proporzioni meno drammatiche, pochi giorni fa.

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Norberto Fragiacomo: L’Occidente non lascia: raddoppia (e si gioca tutto)

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L’Occidente non lascia: raddoppia (e si gioca tutto)

di Norberto Fragiacomo

Cosa ci stia rivelando il duplice, feroce conflitto in corso in Ucraina e Medioriente fra “noi” (cioè l’occidente americano e i suoi scagnozzi) e “loro” è presto detto: che la presunta supremazia morale delle sedicenti “democrazie” sul resto del mondo è una colossale menzogna, un inganno in cui, ipnotizzati da un’efficientissima propaganda, ci siamo lasciati cullare per decenni.

Per dirla con il poeta il blocco NATO più Israele è ancora “quello della pietra e della fionda”, un soggetto fintamente plurale che esporta guerra, disordine e distruzioni nutrendosi – e nutrendo le proprie cittadinanze – di un razzismo spirituale che ricorda quello teorizzato da Benito Mussolini, ma è nello stesso tempo più ipocrita e più virulento poiché si ammanta di valori distorti (una democrazia ridotta a feticcio, ma di fatto negata, pseudodiritti civili che violentano la natura umana, incitando a un individualismo sfrenato e impotente ecc.) esibiti per nascondere la realtà di un insaziabile istinto predatorio che il fascismo perlomeno ostentava.

Si è ormai avverata la predizione orwelliana del prossimo avvento di un totalitarismo perfetto, capace di atrofizzare le menti e di capovolgere il significato delle parole: oggi la guerra è pace (servono “più missili all’Ucraina per fare la pace” salmodiano gli officianti atlantisti), la schiavitù è libertà (di schierarsi con chi è gradito al padrone), l’aggressione più barbara e indiscriminata è “legittima difesa”, se a scatenarla è il regime sionista.

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Nico Maccentelli: Laboratorio Palestina

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Laboratorio Palestina

di Nico Maccentelli

Antony Loewenstein: Laboratorio Palestina, Fazi Editore, 2024, pg. 336, € 20,00

laboratoriopalestina.jpgCome Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo

Per prima cosa due premesse. La prima: oggi più di ieri a fare qualsiasi critica a Israele si viene tacciati di antisemitismo. Nulla di più falso per quanto riguarda la gran parte di coloro, soggetti, movimenti od organizzazioni che sostengono la Resistenza Palestinese e il diritto del popolo palestinese ad avere una sua terra. Tanto più che i palestinesi sono semiti, per cui l’accusa oltre che essere falsa è pure demenziale, se non si sapesse che chi la formula è in perfetta malafede. Se l’hasbara, ossia quella rete ben organizzata dal sionismo per screditare e buttare fango su tali realtà solidali con il popolo palestinese e che è ramificata in ogni partito istituzionale, in ogni redazione mediatica, insomma ovunque viene prodotta informazione e politica, è così potente una ragione c’è.

E qui passiamo alla seconda premessa: la ragione sta nel fatto che senza Israele, l’Occidente collettivo, ossia quella parte di mondo dominata dall’unipolarismo atlantista a dominanza USA, avrebbe seri problemi di tenuta davanti all’avanzare di quell’altra parte di mondo che si sta affermando sul piano economico e geopolitico e con i conflitti in corso anche sul piano militare. La questione palestinese non è qualcosa di a sé stante ma è parte di quella guerra mondiale a pezzi, per parafrasare il papa, che rischia ogni giorno di più di diventare mondiale e nucleare. Per questa ragione, al di là degli appelli pelosi e ipocriti di tale Occidente a una tregua in Palestina e in Libano, la potenza militare di questo cane da guardia che non conosce limiti e regole, serve eccome.

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Andrea Fumagalli: L’arretratezza del rapporto Draghi sulla competitività europea

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L’arretratezza del rapporto Draghi sulla competitività europea

di Andrea Fumagalli

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1200x800.jpgQualche giorno fa, la commissione Europea ha reso pubblico il rapporto Draghi sul “Futuro della competitività europea”. Tale rapporto era stato commissionato all’ex governatore della Bce per avere un quadro analitico della realtà economica, produttiva e finanziaria del continente.

Il rapporto consta di due parti – parte A e parte B – e contiene 170 proposte concrete a livello generale poi declinate in sottoproposte di vario tipo.

La prima parte è un’analisi riguardante la strategia di competitività per l’UE che vede condensate in circa 60 pagine i punti chiave del rapporto Draghi.

La seconda parte approfondisce in 328 pagine i vari punti individuando dieci principali settori di intervento (energia, materie prime critiche, digitalizzazione e tecnologie avanzate, industrie ad alta intensità energetica, tecnologie pulite, automotive, difesa, spazio, industria farmaceutica e trasporti) e cinque policy orizzontali, rispettivamente accelerazione dell’innovazione, riduzione del gap delle competenze, sostegno agli investimenti, ripresa della competitività e rafforzamento della governance. Nella parte B sono contenute le proposte dettagliate corredate da grafici, dati e tabelle che spiegano in particolare i costi della sovranità nazionale e le potenzialità della sovranità europea.

Diverse sono state le reazioni politiche in Italia. Mentre partiti come il Partito Democratico, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Azione e Italia Viva hanno ampiamente concordato – anche se con sfumature diverse – che le proposte di Draghi sono un passo nella giusta direzione, la Lega, da un lato, il Movimento Cinque Stelle e Alleanza Versi Sinistra, dall’altro, con motivazioni antitetiche, hanno manifestato forti perplessità critiche.

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Stephen Brawer: Le tensioni mondiali sono frutto della resistenza dell’ordine coloniale contro il nuovo ordine multipolare

lantidiplomatico

“Le tensioni mondiali sono frutto della resistenza dell’ordine coloniale contro il nuovo ordine multipolare”

intervista a Stephen Brawer

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à“Il pensiero neomalthusiano è una delle cause principali di guerre e conflitti, e persino del possibile scoppio di una guerra nucleare globale. Il suo obiettivo rimane quello di mantenere il mondo coloniale e imperiale”, ha dichiarato a Magyar Demokrata Stephen Brawer, filosofo newyorkese e presidente del Belt and Road Institute in Svezia.

* * * *

Signor Brawer, mentre un nuovo ordine mondiale multicentrico continua a dispiegarsi davanti ai nostri occhi, il termine “élite globalista” viene spesso usato per descrivere il potere mondiale contestato. Come definirebbe questo gruppo, chi sono queste persone e da dove vengono?

Grazie per l’opportunità di condividere con voi il mio punto di vista e le mie intuizioni. L’idea di base a cui lei si riferisce è spesso indicata come ordine mondiale unipolare o ordine mondiale basato su regole, che è stato un fattore dominante nella struttura del potere globale. Al momento credo sia molto chiaro che la situazione si sta muovendo verso una situazione molto pericolosa in cui il mondo sarebbe nuovamente diviso in blocchi, come ai tempi della cosiddetta Guerra Fredda. Credo che se ci impegniamo a fondo possiamo sperare di evitarlo. Per quanto riguarda la domanda su chi siano queste élite, esiste una struttura di potere che ha una base storica. Di solito ciò a cui mi sono riferito richiede la necessità di comprendere il lungo arco della storia. In questo contesto, credo sia molto importante identificare l’idea di quella che è la struttura di potere anglo-americana, che è stata fondamentalmente la potenza dominante dalla fine della Seconda guerra mondiale.

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Fabrizio Poggi: “Corridoio finlandese”: la NATO sulle orme delle manovre di accerchiamento naziste

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“Corridoio finlandese”: la NATO sulle orme delle manovre di accerchiamento naziste

di Fabrizio Poggi

Ormai da tempo si parla del nuovo fronte di contrapposizione USA-NATO alla Russia nell’Artico, per il controllo strategico di un’area ricchissima di risorse, ma soprattutto destinata a soppiantare le rotte tradizionali negli scambi tra attori fondamentali della scena mondiale.

Oltre alla regione artica e immediatamente prossima a quella, c’è però anche un’area che sta assumendo, nei piani dell’Alleanza atlantica, un’importanza cruciale a ridosso dei confini nordoccidentali della Russia.

La NATO, ha detto Joe Biden, si è fatta più grande e più forte «di quanto non sia mai stata, con l’ingresso di due nuovi membri: Finlandia e Svezia», divenuti rispettivamente 31° e 32° elemento nell’aprile 2023 e nel marzo 2024.

Se il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, pochi mesi dopo l’ingresso della Finlandia, si era detto “stupito” della rapidità con cui Helsinki e Stoccolma abbandonavano quello status neutrale, che, «per decenni, aveva loro garantito un ruolo relativamente indipendente», ecco che oggi ci si può dire “colpiti” dalla celerità con cui la NATO si appresta ad allestire ben due quartier generali in prossimità dei confini (1.372 km, di cui 1.091 terrestri) tra Finlandia e Russia.

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Marinella Mondaini: “Deterrenza nucleare”. Le parole esatte di Putin e cosa cambia ora

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“Deterrenza nucleare”. Le parole esatte di Putin e cosa cambia ora

di Marinella Mondaini*

Mercoledì a Mosca, durante la “Riunione costante sulla deterrenza nucleare”, che si tiene due volte l’anno, è stato annunciato un avvenimento molto atteso. “All’ordine del giorno di oggi, ha detto Putin, abbiamo la questione relativa all’aggiornamento dei “Fondamenti della Politica Statale nel campo della Deterrenza Nucleare”.

Si tratta di un documento, che insieme alla Dottrina Militare, definisce ufficialmente e nei dettagli la strategia nucleare della Russia.

Di seguito le parole di Putin:

Innanzitutto è stato fissato il principio fondamentale dell’impiego delle armi nucleari, e precisamente che l’uso delle forze nucleari è una misura estrema per proteggere la sovranità del paese. Sottolineo che abbiamo sempre affrontato tali questioni con la massima responsabilità. Ben consapevoli del potere colossale che possiedono queste armi, abbiamo cercato di rafforzare la base giuridico-internazionale della stabilità globale e di non permettere la “proliferazione” delle armi nucleari e dei loro componenti.

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Pepe Escobar: A Kazan una Bretton Woods dei Brics?

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A Kazan una Bretton Woods dei Brics?

di Pepe Escobar

A meno di un mese dal cruciale vertice annuale dei BRICS che si terrà a Kazan sotto la presidenza russa, a Mosca e in altre capitali eurasiatiche le discussioni sono accese su cosa dovrebbe essere messo sul tavolo sul fronte della de-dollarizzazione e dei sistemi di pagamento alternativi.

All’inizio del mese Andrey Mikhailishin, capo della task force sui servizi finanziari del Consiglio d’Affari dei BRICS, ha dettagliato l’elenco dei principali progetti in esame. Tra questi vi sono:

  • Un’unità di conto comune – come l’Unità, i cui contorni sono stati rivelati per la prima volta in esclusiva da Sputnik.
  • Una piattaforma per i regolamenti multilaterali e i pagamenti in valute digitali dei BRICS, che colleghi i mercati finanziari dei membri dei BRICS: è il BRICS Bridge, che presenta analogie con l’ MBridge della Banca dei Regolamenti Internazionali, già in vigore. Questo integrerà i sistemi intrabancari già attivi, come l’SPFS della Russia e il CPAM dell’Iran, che regolano le transazioni finanziarie – e il 60% degli scambi commerciali – nelle rispettive valute.

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Il Chimico Scettico: Come va la guerra alla pseudoscienza?

ilchimicoscettico

Come va la guerra alla pseudoscienza?

di Il Chimico Scettico

La risposta è “malissimo”, altrimenti pseudoscienze, psedudomedicina, fake news e tutto il resto non esisterebbero più.

Da quant´è che CICAP si preoccupa di pseudoscienze, per esempio? Se la ragione sociale dell’associazione fosse la lotta alla pseudoscienza il bilancio sarebbe fallimentare, perché “lotta alla pseudoscienza” non credo che significhi “lotta completamente inefficace, ma giusta”. Altrimenti sarebbe bene precisare che si lotta contro un nemico che non può essere battuto ma se nessuno lottasse cosa succederebbe? Purtroppo la risposta alla domanda sembra essere: “assolutamente niente”.

Per fare un altro esempio, in Italia da quando e´ cominciata la lotta contro le fregnacce delle scie chimiche? Nel 2013? Dopo che la storia del fulminato terminale di turno che minacciava la giornalista ebbe un certo riscontro a che punto siamo oggi? 

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