[SinistraInRete] Dante Barontini: “State tranquilli…”, disse la rana mentre bolliva

Rassegna 06/10/2024

 

Dante Barontini: “State tranquilli…”, disse la rana mentre bolliva

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“State tranquilli…”, disse la rana mentre bolliva

di Dante Barontini

tranquilli rana bollivaLa frittata è fatta. Ora tutti i protagonisti, spalleggiati dai loro alleati, rimuginano sulle prossime mosse e lanciano bellicose minacce perché “gli altri” si fermino. E’ una danza tra soggetti che hanno bisogno di mostrarsi fortissimi, ma che sanno bene cosa rischiano. Eppure la logica di guerra, da sempre, spinge ad andare un passo oltre quel che si vorrebbe e potrebbe fare…

Stavamo camminando sul bordo del baratro da almeno tre anni, ma gli opinion maker dell’establishment – tutti o quasi, senza grandi distinzioni – ci dicevano ogni giorno di non preoccuparci. “Il nemico” c’è, è cattivissimo e crudele, ma in fondo “noi” (l’Occidente collettivo) siamo troppo forti e gli facciamo paura. Ergo, la sua faccia feroce è solo un bluff da andare a vedere, come a poker. Non c’è un vero pericolo se “agiamo subito”, perché se si aspetta troppo quel nemico può diventare molto più forte.

Non ci vuole una grande perspicacia per riconoscere in questo filo di “ragionamento” la narrazione di un guitto come Zelenskij o di un genocida come Netanyahu. Lo schema è identico, il “suggeritore” anche: l’imperialismo degli Stati Uniti.

Facile anche riconoscere nel “ragionamento” il riflesso narrativo di una condizione reale: l’Occidente neoliberista è in declino, sia sul piano economico (i suoi tassi di crescita sono ormai surclassati da oltre 20 anni, se non di più) che su quello “valoriale” (il doppio standard sistematico ha reso una barzelletta la pretesa di ergersi a “faro di civiltà”). La sua superiorità tecnologica è azzoppata, e sempre più spesso deve ricorrere alle sanzioni o dazi (o peggio, come ha mostrato per anni la vicenda Huawei) per proteggere i propri marchi dalla concorrenza. E neanche questo basta più (vedi la crisi dell’auto).

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John Bellamy Foster: La frattura ecologica nell’Antropocene

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La frattura ecologica nell’Antropocene

F. Querido, M. O. Pinassi e M. Löwy intervistano John Bellamy Foster

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sett24.jpgIn un’intervista rilasciata alla rivista brasiliana Margem Esquerda, John Bellamy Foster condivide con Fabio Querido, Maria Orlanda Pinassi e Michael Löwy, le esperienze formative che hanno contribuito al suo lavoro di giovane attivista e, successivamente, di autorevole studioso del marxismo ecologico. L’intervista si conclude con un messaggio alla sinistra ecologica in Brasile e altrove: «Quali che siano le soluzioni alla crisi planetaria attuale, esse devono, in termini storico-materialistici, sorgere a partire da formazioni sociali concrete, sulla base delle quali avverranno le nuove trasformazioni rivoluzionarie».

* * * *

Fabio Querido, Maria Orlanda Pinassi e Michael Löwy: Per iniziare, raccontaci un po’ della tua infanzia e giovinezza. Sei nato a Seattle, giusto?

John Bellamy Foster: Sì, sono nato a Seattle, stato di Washington. Quando avevo un anno, la mia famiglia si trasferì a Raymond, Washington, una città dove si lavorava il legname, dove mio padre faceva l’insegnante. A Raymond c’era una fabbrica di scandole di cedro rosso occidentale, di proprietà della Weyerhaeuser Company, che emetteva acido plicatico – responsabile dell’asma – nella polvere della pianta. Ho sofferto di asma cronica, insieme alle mie due sorelle. Quando avevo cinque anni ci siamo trasferiti a Ficrest, Washington, un sobborgo fuori Tacoma. All’epoca Tacoma era una delle città più inquinate degli Stati Uniti, a causa di una fonderia che rilasciava emissioni tossiche, e delle cartiere. Quando avevo sei anni, mia sorella minore, di tre anni, ebbe un grave attacco d’asma e fu portata d’urgenza in ospedale dove morì la notte stessa. Un paio di settimane dopo, anch’io ho avuto un grave attacco d’asma e sono stato portato d’urgenza in ospedale e ho rischiato di morire.

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Gilberto Trombetta: Una delle pagine più nere della storia d’Italia

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Una delle pagine più nere della storia d’Italia

di Gilberto Trombetta

“«L’Italia non aveva più soldi. Non avevamo niente. Niente». Andrea Monorchio smette di parlare, china il capo e chiude gli occhi. E in quel momento di raccoglimento rivede il baratro in cui stava per precipitare il Paese nell’estate del 1992. Per chi è Ragioniere generale dello Stato ed è chiamato a gestire le risorse dello Stato, il fallimento dello Stato rappresenta il fallimento di sé stesso. «E sapere che l’Italia rischiava di non poter pagare stipendi, pensioni e titoli pubblici era un’idea inaccettabile».”

Inizia così l’intervista sul Corriere della Sera ad Andrea Monorchio, ragioniere generale dello Stato dal 1989 al 2002.

Peccato che il racconto sia, se non completamente, quasi del tutto sbagliato.

L’Italia non rischiava il fallimento. L’Italia ha attraversato una pesante crisi dovuta all’insensata scelta di “proteggere” il cambio fisso, cioè l’adesione allo SME (il sistema monetario europeo, antesignano dell’euro), al mancato intervento di Bankitalia (figlio del divorzio del 1981) e alla scelta della Germania di non mantenere la parola data intervenendo in favore della Lira (un altro modo di far pagare ai Paesi europei la riunificazione tedesca).

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Gianpasquale Santomassimo: Nessun antisemitismo dilagante, solo contestazioni legittime

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Nessun antisemitismo dilagante, solo contestazioni legittime

di Gianpasquale Santomassimo

Le comunità ebraiche, come tutte le altre comunità religiose, hanno il compito di curare i rapporti tra la loro confessione religiosa e lo Stato repubblicano.

Se si trasformano nella emanazione di uno stato straniero (e di uno stato colonialista e razzista, terrorista e ormai genocida) si meritano allora critiche ed eventualmente anche insulti in alcune manifestazioni (per quanto “sionista” non dovrebbe essere un insulto nel loro mondo).

Non c’è nessun antisemitismo dilagante, ma solo contestazioni legittime all’operato criminale del loro stato di riferimento. Le posizioni di effettivo antisemitismo sono del tutto minoritarie, in quantità davvero modica rispetto a ciò che ci si poteva attendere.

Nessuno andrà a “cercare gli ebrei casa per casa” come strepitano i caporioni di quella comunità e i telegiornali amici.

La signora Segre non verrà deportata di nuovo ad Auschwitz, come paventa in ogni intervista. Continuerà nel suo alto magistero morale e interrogando la sua profonda spiritualità magari un giorno potrà trovare parole di accorata pietà per le vittime dei suoi correligionari o addirittura qualche parola di blanda condanna dei massacri che essi compiono.

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Alessandro Volpi: Il governo Meloni svende e BlackRock colonizza l’Italia

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Il governo Meloni svende e BlackRock colonizza l’Italia

di Alessandro Volpi

Altro che sovranismo, le privatizzazioni di Meloni sono vassallaggio nei confronti di BlackRock e degli altri grandi fondi

Quella che il fondo d’investimento americano BlackRock sta compiendo nei confronti del nostro Paese potrebbe essere definita come una vera e propria colonizzazione. Ma forse neppure una simile definizione è pienamente adeguata. Sace, il gruppo assicurativo finanziario controllato al 100% dal ministero dell’Economia, sta trattando con BlackRock la gestione di asset per 3 miliardi di euro. In pratica il fondo diverrebbe il partner pressoché esclusivo della società pubblica che si occupa di assicurazioni per le imprese italiane, gestendone la liquidità.

Nei giorni scorsi, lo stesso governo Meloni ha autorizzato BlackRock a superare la soglia del 3% in Leonardo, facendo del fondo americano l’unico azionista privato con tale quota. Si tratta di un ulteriore salto di qualità della presenza in Italia di una delle Big Three (i tre più grandi fondi del mondo, compresi Vanguard e State Street) che è già oggi il principale investitore estero nelle imprese quotate alla Borsa di Milano, per un totale di 17 miliardi di euro tra Intesa San Paolo, Unicredit, Bpm, Mediobanca, Stellantis, Ferrari e Prysmian. A cui vanno aggiunte le partecipazioni in Eni, Enel e nelle multiutility.

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Salvatore Bravo: Intelligenza artificiale

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Intelligenza artificiale

di Salvatore Bravo

 

Il taglio

L’intelligenza artificiale è solitamente presentata come una opportunità, essa dovrebbe essere d’ausilio ai più fragili e nel medesimo tempo emancipare dai lavori faticosi. La parte va riportata al tutto, per cui le tecnologie e il loro uso devono essere comprese alla luce del sistema capitalistico. Il capitalismo è nella sua essenza menzogna nella forma degli slogan. Per far accettare l’inaccettabile la campagna pubblicitaria è sempre in azione; ripetere il messaggio è il mezzo con cui vincere le resistenze fino a inocularlo nel sangue e nella carne dei sudditi. Le parole somatizzate dagli slogan divengono in tal modo automatismi a cui si dice il fatale “sì” irriflesso. Il capitalismo ha la sua forza nella capacità di porre in atto processi segnati da automatismi e dunque senza la mediazione della coscienza. La morte è in tal modo nel corpo del capitale.

L’intelligenza artificiale completa il ciclo di mutazione antropologica avviato dalla Rivoluzione industriale. L’uomo ibridato con la macchina si profila essere l’ordinaria normalità del futuro.

Il capitalismo è visione del mondo curvata sull’atomistica delle solitudini. La società non esiste, esistono solo gli individui in tragica lotta non solo per il profitto ma anche per il riconoscimento della presunta superiorità gerarchica.

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Enrico Tomaselli: La sottile linea rossa tra celodurismo e guerra aperta

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La sottile linea rossa tra celodurismo e guerra aperta

di Enrico Tomaselli

photo 2024 09 30 21 42 04.jpgContrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’attacco iraniano di ieri non apre una fase di guerra aperta tra Teheran e Tel Aviv. Nonostante tutto, siamo ancora nella fase della deterrenza – o, se si preferisce, del celodurismo.

Indiscutibilmente, e non poteva essere altrimenti, la rappresaglia iraniana è stata su una scala ben maggiore rispetto a quella dello scorso aprile, e aveva chiaramente lo scopo – ancora una volta – di inviare un messaggio a Israele e agli USA; messaggio sia sulla determinazione iraniana a non farsi intimidire, sia sulla propria capacità di risposta militare.

Con l’attacco di ieri, assai spettacolare, l’Iran ha quindi spostato un po’ l’asticella. Non c’è stato il largo preavviso della volta precedente, non c’è stato uso di droni (molto più lenti), la quantità di missili (quasi tutti balistici) è stata significativamente maggiore.

Altri elementi degni di nota dell’operazione sono stati: l’attacco più massiccio ad almeno 4 aeroporti (Tel Nof, Nevatim, Hatzerim, Lod), che rappresentano l’infrastruttura necessaria per l’aviazione – cioè lo strumento con cui maggiormente si manifesta la supremazia militare israeliana; la scelta di bersagli esclusivamente militari (l’occidente è risucchiato nel proprio ombelico, ma il resto del mondo vede la differenza con quanto fa Israele a Gaza e in Libano); la correlazione diretta tra bersagli e causale (aeroporto Nevatim, sede del Mossad e dell’unità 8200). E, ancora una volta, l’aver utilizzato solo una parte, e non la più avanzata, del proprio arsenale.

Al tempo stesso, non può sfuggire il fatto che ben tre degli obiettivi più rilevanti (Nevatim, Mossad, 8200) siano stati evacuati qualche ora prima, il che – al di là di una certa prevedibilità, e delle capacità d’intelligence – fa sospettare che qualcosa sia stato fatto volutamente filtrare, per ridurre al minimo il numero delle vittime.

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OttolinaTV: Ucraina, Libano, Cina: l’incredibile fenomeno editoriale che racconta la sconfitta dell’Occidente

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Ucraina, Libano, Cina: l’incredibile fenomeno editoriale che racconta la sconfitta dell’Occidente

di OttolinaTV

nwiunv.jpeg“Perché l’Occidente non accetta la propria sconfitta?”; eh, già: perché? A porsi la domanda nella prefazione della sua ultima fatica, La sconfitta dell’Occidente, è Emmanuel Todd, uno degli intellettuali francesi più originali e controversi degli ultimi decenni; celebre per aver previsto l’implosione dell’universo sovietico nel suo Il crollo finale del 1976 – come, d’altronde, di essersi completamente illuso sul crollo dell’impero USA e la rinascita europea nel suo Dopo l’Impero del 2003 – Todd ha l’innegabile pregio di porsi le domande fondamentali e di avere il coraggio di proporre delle risposte che, anche quando non sono del tutto condivisibili, danno un contributo fondamentale al dibattito. E lo fa da vero ottoliner: “La pace alle condizioni imposte dai russi” scrive infatti Todd “significherebbe una caduta di prestigio per gli Stati Uniti, il che significherebbe la fine dell’era americana nel mondo, il declino del dollaro, e quindi della capacità statunitense di vivere del lavoro complessivo del pianeta”, un lusso che gli USA, oggettivamente, non si possono concedere; secondo Todd, infatti, a partire dalla grande crisi finanziaria del 2008 “Gli Stati Uniti hanno rinunciato al controllo militare del mondo” e da allora “l’obiettivo principale è stato quello di rafforzare il controllo sugli alleati: dall’Europa occidentale al Giappone, passando per la Corea del Sud e Taiwan”. Dopo anni di tentato disaccoppiamento dall’economia cinese, infatti, gli USA importano ormai più dagli alleati vassalli che non dalla Cina e, ancor più che per i beni materiali, per i capitali che sostengono la finanza USA via paradisi fiscali, tutti rigorosamente sotto giurisdizione statunitense o, al limite, britannica. Ecco, così, che “La sopravvivenza materiale degli Stati Uniti dipende dal controllo dei propri vassalli”: “dal punto di vista statunitense quindi, la guerra deve continuare non per salvare la democrazia ucraina, ma per mantenere il controllo sull’Europa occidentale e sull’Estremo Oriente”.

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Gianmarco Pisa: Il «ritorno del rimosso». Dalla guerra imperialista al conflitto nucleare?

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Il «ritorno del rimosso». Dalla guerra imperialista al conflitto nucleare?

di Gianmarco Pisa

Una riflessione sulle dinamiche del mondo contemporaneo, i recenti sviluppi dello scenario internazionale, le contraddizioni aperte e le sfide poste ai movimenti di lotta contro l’imperialismo, contro la guerra imperialista, e per la pace

35ca7a6bc8056ac21c3ab97b1733febd XL.jpgLe coordinate dell’imperialismo

Se, riprendendo la celebre espressione di Jean Jaurès, “il capitalismo porta la guerra come la nube porta la tempesta”, e cioè la guerra è fattore intrinseco del modo di produzione capitalistico e naturale conseguenza della logica dell’accumulazione, della massimizzazione del profitto e dell’esasperazione della competizione su scala planetaria, che sono le fondamenta della logica e della struttura del capitalismo stesso, allora è a maggior ragione vero che l’imperialismo, in quanto «fase suprema del capitalismo», è sinonimo non solo di primato del capitale finanziario, ma anche, nuovamente, di guerra. Cosa significa, in tal senso, «fase suprema», è presto detto, tenendo a mente la fondamentale lezione di Lenin: l’imperialismo non è la fase “più avanzata” o “più evoluta”, quanto piuttosto la fase “terminale”, estrema e radicale, del modo di produzione capitalistico, nella sua evoluzione storica e sociale, giunto alla fase attuale del proprio sviluppo.

Ci allontaneremmo dal nucleo della riflessione se ci dilungassimo nella letteratura dedicata all’imperialismo e ai diversi modi di configurare la categoria stessa di imperialismo: seguendo ancora la traccia (teorica e politica) indicata da Lenin (1917), e quindi l’esigenza di una lettura e di un’interpretazione della categoria che siano, al tempo stesso, teoricamente solide (capaci di intercettare la sostanza del modo di produzione nella fase contemporanea del suo sviluppo storico) e politicamente efficaci (adeguate a fornire non solo categorie di interpretazione ma anche strumenti di lotta), vale la pena soffermarsi sui ben noti cinque “contrassegni”, vale a dire sulla caratterizzazione dell’imperialismo e su una possibile proiezione nell’attualità.

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Andrea Zhok: Iran, Israele e le future scelte dei BRICS

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Iran, Israele e le future scelte dei BRICS

di Andrea Zhok

La situazione sul piano strategico internazionale sembra oramai delinearsi in forma abbastanza esplicita.

Israele e gli USA si muovono all’unisono e sono disposti a tutto pur di perseguire il loro intento ultimo, che è l’eliminazione integrale dell’Iran come minaccia regionale.

Le cautele residue sono legate alle sole necessità di ridurre i possibili danni a città israeliane e alle basi americane nell’area.

La prima cosa che deve essere chiara è che l’Iran non ha nessuna possibilità di resistere a lungo a un attacco israeliano sostenuto dagli USA, anche se l’attacco rimane convenzionale. Il principale limite di Israele sta nell’entità delle risorse (umane, militari, finanziarie) necessarie per una guerra totale, ma questa entità è amplificata indefinitamente dal canale di rifornimento a perdere degli USA. La dirigenza iraniana lo sa bene e dunque continua a muoversi in maniera da lasciare margini a un raffreddamento del conflitto, effettuando sempre risposte misurate.

La seconda cosa chiara è che una sconfitta strategica dell’Iran, che lo sopprima come attore regionale, riconducendolo all’esistenza umbratile di un Iraq, non è solo una catastrofe per l’Iran, ma anche per Russia e Cina.

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Maurizio Boni: Ugledar come Bakhmut: l’inutile sacrificio dell’esercito ucraino

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Ugledar come Bakhmut: l’inutile sacrificio dell’esercito ucraino

di Maurizio Boni

Di fronte all’incalzare dell’esercito russo a Ugledar, nel sud della regione di Donetsk, dove le offensive di Mosca ai lati della città hanno determinato il crollo delle linee ucraine, il comandante in capo delle forze armate ucraine, generale Alexander Syrsky, avrebbe impartito troppo tardi l’ordine di ritirare le truppe dalla città praticamente circondata e che secondo alcune fonti sarebbe caduta nelle scorse ore.

Ciò che è rimasto del personale della 72a brigata meccanizzata ucraina che ha presidiato e difeso quel settore del fronte per ben due anni (il cui comandante, colonnello Ivan Vinnik, sarebbe stato rimosso dal comando dopo lo sfondamento russo), ha ricevuto troppo tardi l’autorizzazione ad abbandonare le posizioni mentre secondo alcune indiscrezioni Volodymyr Zelensky avrebbe ordinato al generale Syrsky di tenere Ugledar almeno sino alla fine della sua visita negli Stati Uniti per evitare che il peggio potesse accadere durante la presentazione pubblica del suo “Piano per la vittoria”.

Mentre scriviamo, poco si sa della sorte di quei soldati anche perché oramai tutte le vie di evacuazione da Ugledar sono esposte al fuoco delle forze armate russe e a detta degli stessi ucraini, se i soldati della brigata non riuscissero a disimpegnarsi dal contatto con le truppe russe, rimarrebbero loro solo un paio di giorni a essere ottimisti.

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Fabrizio Russo: Lo stato di salute della finanza USA

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Lo stato di salute della finanza USA

di Fabrizio Russo

A quanto pare l’intera economia statunitense, e quindi le sorti della finanza occidentale in buona sostanza, dipendono dal trend positivo del mercato azionario e dall’anticipare la Fed? E questo non solo va bene, sarebbe addirittura “ottimale”: pare ad alcuni che sia il miglior “affare” che il mondo abbia mai visto! Mi chiedo: sotto quale prospettiva “eterea” tutto ciò è considerato “sano”? A me pare molto (ma molto!) meno ottimale e assai poco sano: follie della visione del mondo neo-liberista!

Oggi l’economia USA, quella reale (non quella dei media scintillanti) – un sistema di fatto neofeudale, dove una nobiltà parassitaria e predatoria “aspira” praticamente tutti i guadagni della “Everything Bubble” (la “Bolla di tutti gli asset finanziari”) mentre l’80% più povero inciampa nella schiavitù del debito, rassegnato a servire il 10% più ricco che possiede il 90% degli asset i cui prezzi “spumeggiano” sempre più in alto – appare sempre più in bilico sul precipizio, aggrappata all’effetto ricchezza degli asset in ascesa, per gentile concessione della Federal Reserve. Perché, di fatto, è quest’ultima oggi la sua ultima ancora di salvezza… Beh, a me tutto questo appare decisamente folle!

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Paolo Ferrero: Prima Turingia ora Austria: la destra vince dove la sinistra non fa il suo mestiere

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Prima Turingia ora Austria: la destra vince dove la sinistra non fa il suo mestiere

di Paolo Ferrero

Il voto di domenica in Austria ci consegna il successo del Fpoe, partito nazistoide di estrema destra, che è oggi il primo partito del paese. Nelle settimane scorse erano state le elezioni in tre lander tedeschi che avevano evidenziato la forza crescente di Alternative für Deutschland, altro partito nazistoide di estrema destra.

Di fronte a questi successi delle destre estreme è assolutamente necessario dar vita a forme di isolamento politico istituzionale, come stanno facendo in Turingia gli altri partiti, dalla Linke alla BSW per arrivare alla SPD e alla CDU. Questo isolamento è un fatto molto rilevante perché è bene ricordare che la strada per la presa del potere dei partiti fascisti e nazisti, in Italia come in Germania, venne spianata dai partiti liberali e conservatori che collaborarono e in una prima fase sostennero decisamente le forze dell’estrema destra. Nelle elezioni democratiche nazisti e fascisti non hanno mai raggiunto la maggioranza da soli: sempre è stato decisivo il contributo dei partiti di centro.

Bene quindi l’isolamento istituzionale dei partiti neonazisti e questo dovrebbe portare a una seconda elementare considerazione: proprio per rendere più efficace l’isolamento delle destre è assolutamente necessario abbandonare il più rapidamente possibile i sistemi elettorali maggioritari che tanto piacciono alla classe politica italiana.

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