Il ddl sicurezza contiene un attacco al diritto di protesta come mai accaduto nella storia repubblicana, portando all’introduzione di una serie di nuovi reati con pene draconiane anche laddove le proteste siano pacifiche.
Così si colpiranno gli attivisti che protestano per sensibilizzare sul cambiamento climatico, gli studenti che chiederanno condizioni più dignitose per i propri istituti scolastici, lavoratori che protestano contro il proprio licenziamento, persone detenute che in carcere protestano contro il sovraffollamento delle proprie celle.
Se consideriamo anche altri provvedimenti contenuti nel disegno di legge, il carcere per le donne incinte e le madri con figli neonati, la stretta sulla cannabis light, il carcere per chi occupa un’abitazione, si vede bene come il governo abbia deciso con questo provvedimento di voler gestire numerose questioni sociali nella maniera più illiberale possibile, cioè reprimendole con l’utilizzo del sistema penale e del carcere anziché aprirsi al dialogo e all’ascolto, intervenendo al contempo con risorse finanziarie per alleviare le problematiche che attanagliano i cittadini, che è ciò che ci si aspetterebbe in una democrazia con un forte stato di diritto.
Come scrive Susanna Marietti sul Fatto Quotidiano, già dallo scorso maggio, agli inizi della discussione parlamentare, con un documento congiunto scritto da Antigone e Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), avevamo lanciato l’allarme su come lo Stato di diritto fosse pericolosamente sotto attacco. Ma, soprattutto, lo aveva lanciato l’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), che aveva usato parole nettissime al proposito. Non un’associazione, non una Ong, ma addirittura un’organizzazione intergovernativa.
Alcuni dei fatti sanzionati dalle nuove misure potevano già essere perseguite con reati esistenti. Il fatto di voler creare nuove fattispecie, ancor prima che una questione penale è una questione culturale: il governo con questo atto legislativo vuole orientare come prioritario l’impegno delle forze dell’ordine sulla repressione delle proteste e delle altre fattispecie previste nel disegno di legge. Vuole segnalare che questi (e non altri) sono “i problemi” del paese, attivisti climatici o lavoratori a rischio licenziamento che bloccano una strada, persone detenute che protestano pacificamente contro le condizioni poco dignitose in cui vivono, affrontandoli – come scrive Andrea Oleandri su Lavialibera – con lo strumento penale. |