[SinistraInRete] Enrico Tomaselli: La guerra alle porte

Rassegna 14/10/2024

Enrico Tomaselli: La guerra alle porte

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La guerra alle porte

di Enrico Tomaselli

000008 16 13 38 06.jpgUn errore facile da commettere, se si pensa all’attuale situazione mondiale, è quello di sopravvalutare l’importanza delle scelte opzionabili dalle varie leadership; o per meglio dire, non si tiene sufficientemente conto di quanto l’accumulo delle scelte pregresse (e delle loro conseguenze) finiscano per limitare sempre più lo spettro delle opzioni possibili, e quindi – di fatto – spostino il baricentro decisionale dalla volontà delle élite politiche all’incastro oggettivo degli elementi in campo.

Se prendiamo ad esempio in considerazione il conflitto ucraino, che ormai si avvia verso il suo terzo anno, dovremmo – con maggiore razionalità – riconoscere che le chance di una soluzione non militare sono ormai decisamente esigue, e ovviamente tendono a ridursi assai velocemente. E ciò, appunto, non dipende più tanto dalla mancanza di volontà di giungere a una composizione diplomatica, quanto dal fatto che i margini per una possibile soluzione di tal genere sono effettivamente minimi.

Ci sono, ovviamente, interessi contrapposti di non facile conciliazione, o tra i quali non è facile anche solo trovare una mediazione, sia che ci riferiamo all’interesse ucraino di mantenere/recuperare la propria integrità territoriale, sia che ci riferiamo a quello statunitense di destabilizzare la Russia – e naturalmente, agli opposti interessi russi.

Si è detto più volte che la guerra ha una logica propria, che conduce le cose verso esiti spesso assai diversi da quelli desiderati, e soprattutto imprevisti. E ciò vale, naturalmente, anche sul piano delle conseguenze politiche. Ora è chiaro che i calcoli con cui i due principali player della partita – Stati Uniti e Russia – sono entrati nel conflitto, non solo si sono rivelati (in misura diversa) errati, ma proprio in virtù della loro erroneità hanno determinato un mutamento degli obiettivi strategici.

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Franco Ferrari: Raniero Panzieri e la questione del potere

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Raniero Panzieri e la questione del potere

di Franco Ferrari

kjhvyxmlIl 9 ottobre 1964 muore improvvisamente a Torino, a soli 43 anni, Raniero Panzieri, intellettuale socialista, per diversi anni dirigente politico del PSI e poi dal 1961 promotore dei “Quaderni Rossi”, rivista di teoria e di intervento politico diventata nel tempo oggetto di una sorta di vera e propria venerazione.

Panzieri è stata una figura intellettuale importante, un attento e originale studioso di Marx e un critico acuto di molte delle tesi prevalenti nella sinistra tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni ’60, con la indubbia capacità di cogliere elementi nuovi presenti in una fase di tumultuoso cambiamento sociale dell’Italia di quel periodo.

L’obbiettivo limitato di queste note non è certo di ricostruirne, neppure sommariamente, la biografia, intensa per quanto breve (per questa si rimanda a Dalmasso 2015), né di esaminarne in dettaglio un pensiero complesso che, come sempre avviene nei pensatori originali, non può essere ridotto a un percorso lineare. La scomparsa improvvisa ha anche lasciato irrisolti molti nodi che poi altri, in direzioni diverse, cercheranno di sviluppare spesso con forzature che probabilmente lo stesso Panzieri non avrebbe accettato. Né si possono facilmente ridurre e semplificare, quasi in forma manualistica, le implicazioni e anche le contraddizioni del suo pensiero. Più modestamente si cercherà di individuare qualche nodo problematico attorno al quale ci si può interrogare anche nel presente, a sessant’anni dalla sua scomparsa.

 

Il socialismo di sinistra

Il primo punto che si vuole evidenziare è come si collochi Panzieri nella più generale storia del movimento operaio e socialista italiano.

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OttolinaTV: Umiliata in Ucraina e impantanata nel Pacifico, Kabala Harris dichiara guerra all’Iran

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Umiliata in Ucraina e impantanata nel Pacifico, Kabala Harris dichiara guerra all’Iran

di OttolinaTV

kamala harris 9b3edf94.jpegIntervistatore: “Quale paese straniero considera sia il nostro principale nemico?”

Kabala Harris: “Credo ovviamente ne venga subito uno in mente, che è l’Iran. l’Iran ha sangue americano sulle sue mani

Ottoliner buondì. Dopo due anni e mezzo vi cominciavate ad annoiare a sentir sempre parlare degli schiaffi che quotidianamente l’Occidente collettivo raccatta nella guerra per procura in Ucraina? Nessun problema: la guerra mondiale dell’imperialismo a guida USA contro il resto del mondo è pronta ad arricchirsi di un nuovo, entusiasmante capitolo! Per mesi, un po’ tutti (e noi per primi) ci siamo fatti mille pippe su come a volere una regionalizzazione dello sterminio di Gaza fosse Israele, mentre gli USA erano titubanti; la motivazione è nota e a chi ci segue ormai gli uscirà dalle orecchie: aprire un altro fronte, oltre a quello caldo in Ucraina e a quello in via di preparazione nel Pacifico, non è alla portata della superpotenza USA e dei suoi alleati. E visto che – da quando hanno raso al suolo l’intero paese per diventare energeticamente indipendenti e da quando la Cina è diventata la leader globale indiscussa delle rinnovabili – il Medio Oriente aveva cominciato a perdere la sua centralità, indebolire la deterrenza su uno dei due fronti principali per rimettere a ferro e fuoco l’Asia occidentale non sembrava avere molto senso, fino a quando qualcosa non è cominciata a cambiare piuttosto rapidamente. Le prime avvisaglie le abbiamo cominciate a registrare a inizio estate quando, mano a mano che Biden rincoglioniva sempre di più, Trump, da underdog ostracizzato dal sistema, cominciava a incassare il sostegno di pezzi sempre più consistenti di Stato profondo (a partire dai peggio sociopatici miliardari della Silicon Valley) e addirittura, cosa più unica che rara, cominciava a surclassare in donazioni la campagna dem.

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Piccole Note: L’intervista di Lavrov a Newsweek

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L’intervista di Lavrov a Newsweek

di Piccole Note

Mosca non vuole ripetere l’errore del 2014 quando si fidò degli accordi di Misnk. Il “cessate il fuoco” non è più una opzione, serve una soluzione definitiva

L’intervista rilasciata dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov a Newsweek rappresenta un ulteriore segnale di un cambiamento di approccio alla guerra ucraina da parte degli Stati Uniti, o almeno di una parte della sua leadership. Infatti, era da tempo che un media mainstream statunitense non osava interpellare un esponente della dirigenza russa, nel timore di conseguenze.

Tale cambiamento è dettato dall’amara constatazione che la guerra non va bene per la Nato. Ormai infranto il sogno di una vittoria strategica sulla Russia, la sua leadership vede, all’opposto, profilarsi all’orizzonte una sconfitta più che strategica, per le tante implicazioni esistenziali che ha dato e ha assunto il conflitto (anzitutto l’affermazione del multipolarismo e tutto ciò che comporta – fine dell’unilateralismo, de-dollarizzazione etc).

La Russia sta affondando come un coltello nel burro nelle linee difensive ucraine, con una velocità ridotta solo dalla necessità di contenere le perdite.

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Alastair Crooke: Perfidia a Teheran

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Perfidia a Teheran

di Alastair Crooke per Strategic Culture Foundation

L’Occidente è attualmente alle prese con almeno una, potenzialmente due, schiaccianti sconfitte, e quindi sorge spontanea la domanda: impareremo la lezione?

John Kerry, proprio la scorsa settimana al World Economic Forum, ha detto chiaramente la verità: “Il nostro Primo Emendamento rappresenta un ostacolo importante alla nostra capacità di essere in grado di eliminare [la disinformazione] dall’esistenza”.

Tradotto: Governare è tutto una questione di controllo narrativo. Kerry articola la soluzione dell’”Ordine Internazionale” al fenomeno indesiderato di un populismo incontrollato e di un potenziale leader che parla per il popolo: semplicemente, la “libertà di parola” è inaccettabile per le prescrizioni concordate dall’”inter-agenzia”, la distillazione istituzionalizzata dell’”Ordine Internazionale”.

Eric Weinstein chiama questo The Unburdening: il primo emendamento; genere; merito; sovranità; privacy; etica; giornalismo investigativo; confini; libertà… la Costituzione? Sparita?

La narrazione sgangherata della realtà odierna è che il lancio di martedì di 200 missili balistici da parte dell’Iran, di cui 181 hanno raggiunto Israele, è stato intercettato in modo schiacciante dai sistemi di difesa missilistica Iron Dome e Arrow di Israele, e senza vittime da mostrare per l’assalto. È stato “sconfitto e inefficace”, ha dichiarato Biden.

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Francesco Prandel: Perché la rivoluzione tarda ad arrivare?

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Perché la rivoluzione tarda ad arrivare?

di Francesco Prandel

Fortunata quella rivoluzione che non si conclude con l’investitura del suo principale nemico.

Jacob Burckhardt

Scrivo questo articolo per condividere qualche riflessione in merito al contributo «Violenza o non violenza: una questione di prospettive» recentemente apparso su “La Fionda” a firma di Giulia Grillo e “L’indispensabile”. Per esporle prendo le mosse da “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” di Thomas Kuhn. Questo perché, a mio avviso, le rivoluzioni scientifiche hanno qualche aspetto in comune con quelle sociali.

Il fisico ed epistemologo statunitense chiama “paradigma” l’insieme delle teorie e degli strumenti che individuano una tradizione scientifica ben consolidata e largamente accettata. L’adesione della comunità scientifica a un certo paradigma inaugura periodi di “scienza normale”, cioè fasi in cui gli scienziati mettono a frutto le potenzialità degli strumenti teorici e sperimentali che lo caratterizzano. Nel corso di queste fasi essenzialmente applicative, oltre che incorrere nei successi gli scienziati prima o poi si imbattono anche nei fallimenti, o “anomalie”, cioè in situazioni che configgono più o meno apertamente con il paradigma di riferimento, o di cui non si riesce a render conto rimanendo nell’ambito della sua giurisdizione.

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Alba Vastano: Scuola, prof. precari sotto scacco degli algoritmi e della politica

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Scuola, prof. precari sotto scacco degli algoritmi e della politica

di Alba Vastano

La svalutazione della funzione docente, che ha accompagnato il primato del mercato e dell’impresa, ha colpito in modo sempre più pesante precari e precarie, che invece di vedere risolta la loro condizione, come annunciato dai vari governi, hanno visto crescere il fenomeno a dismisura fino a riguardare un quarto del personale occupato”-

Quasi tutti i governi, fin dagli anni Settanta, hanno dovuto confrontarsi con il fenomeno del precariato nella Scuola, cresciuto moltissimo da allora, sia per l’aumento demografico che per l’elevamento dell’obbligo scolastico. Un fenomeno quello del precariato mai affrontato in modo strutturale, che ha visto generazioni di insegnanti lottare per raggiungere l’ambita immissione in ruolo, mentre perdevano progressivamente diritti fondamentali, come la retribuzione estiva e l’uguaglianza di trattamento con il resto del personale. Dagli anni Ottanta poi tutti i provvedimenti relativi alla Scuola sono stati improntati al risparmio e via via a tagli sempre più consistenti, essendo diventato il pareggio di bilancio un totem osservato dai governi di centro destra e di centro sinistra. 

Loredana Fraleone Prc,area scuola-Università e ricerca)

Settembre 2024, inizia un nuovo anno scolastico per prof, studenti e famiglie. Si torna nelle aule, perché lì è il vivaio dell’istruzione su cui si costruisce il futuro del Paese e si costruisce, soprattutto, la persona sociale, grazie ai tasselli quotidiani della conoscenza.

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Alexis Piat: Cinquanta sfumature di rosso. Il marxismo e la pluralizzazione del conflitto sociale

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Cinquanta sfumature di rosso. Il marxismo e la pluralizzazione del conflitto sociale

di Alexis Piat

IMG 20240505 214641.jpgIntroduzione: Il rosso delle origini – Marx e la teoria materialista del conflitto

1 – Pochi autori sono più difficili da leggere di Marx. Non perché la concettualità marxiana sia particolarmente astratta o complessa – se è indiscutibilmente così, queste dimensioni appartengono di diritto a qualsiasi grande pensiero – ma perché il lettore deve sempre assicurarsi di leggere Marx correttamente, senza le innumerevoli scorie lasciate dalla storia che ricopre il testo. Se tale recupero avviene, il lettore non legge più Marx: sogna il pensiero o la pratica di un altro, quello di Althusser nel migliore dei casi, quello di Stalin quando le cose vanno davvero male. Tutti sanno che per Marx «la lotta di classe è il motore della storia». Tuttavia, sarebbe difficile fare riferimento a una tale formula quando essa sembra essere una figura imposta di commento (al punto che è difficile rintracciarne l’origine), dal momento che invece non appare da nessuna parte, come tale, nell’opera di Marx. [*1]

2 – D’altra parte, è indiscutibile che la prima sezione del Manifesto del Partito Comunista si apre con l’affermazione che «La storia di ogni società fino ai giorni nostri è la storia delle lotte di classe» [*2]. Tuttavia, è necessario fare diverse osservazioni su questa affermazione. In primo luogo, non è strettamente equivalente alla formula generalmente utilizzata dal commento: è infatti descrittiva, piuttosto che analitica, e la storia stessa deve essere intesa come il periodo su cui i resoconti scritti danno conto, e non come la sostanza del futuro delle società umane [*3]. In secondo luogo, si colloca all’interno di un testo il cui statuto non è strettamente teorico: il Manifesto è un documento di propaganda e, per quanto sia una propaganda di ottima qualità, e direttamente radicata nella teoria, il suo rigore è subordinato alle necessità dell’azione rivoluzionaria.

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Fulvio Grimaldi: Regalo di Mazzucco a Israele

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Regalo di Mazzucco a Israele

di Fulvio Grimaldi

Un video del giornalista investigativo denuncia Hamas creatura consapevole di Israele. Peccato che i file di Wikileaks e l’evidenza politica e materiale dicano il contrario

israele palestina bandiereMassimo Mazzucco è un valido giornalista-regista investigativo. I suoi lavori, Il presunto allunaggio, l’autoattentato dell’ 11 settembre, il mega-imbroglio Ucraina, meritano le nostre standing ovations. E’ un amico, per quanto distanziatosi, forse in seguito ad alcune divergenze su interpretazioni dei fatti. Con il video sul 7 ottobre dell’attacco di Hamas ha, a mio avviso, indebolito la sua credibilità. Volente o nolente, il suo è stato il ricorso a uno dei classici sistemi messi in campo per demolire l’onorabilità e la verità di un protagonista della lotta contro il Potere.

E aggiungo una considerazione cruciale. Fosse anche fondata la tesi di un Hamas prezzolato a suo tempo e poi lasciato fare il 7 ottobre e quindi spinto nella trappola – e NON lo è – , diffonderla ora, per amore di scoop alla Fracassi, a detrimento dell’onorabilità e dell’integrità del cuore della resistenza palestinese e umana, significa assumersi una pensate responsabilità

Lo si è fatto molte volte e io ne sono stato testimone, in particolare al tempo delle guerre all’Iraq. Saddam Hussein, da sempre l’antagonista più coerente e pericoloso per americani e Israele, andava distrutto moralmente ancora prima che militarmente.

Si fece credere a un’opinione pubblica, che ne stava sostenendo la causa antimperialista e antisionista e costituiva massa critica nell’opposizione internazionale a contrasto della guerra (ricordate i milioni in piazza detti “La Terza Potenza Mondiale”?), che, dopotutto, il presidente iracheno aveva delle vergogne da occultare: era stato “l’uomo degli americani” i quali lo avevano armato per decenni e, in particolare, contro l’Iran. Quindi, agli occhi del suo popolo e dei suoi sostenitori internazionali, doveva risultare un inaffidabile doppiogiochista, al quale non andava concessa nessuna solidarietà.

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Roberto Iannuzzi: 7 ottobre. L’Occidente non ha ancora capito

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7 ottobre. L’Occidente non ha ancora capito

di Roberto Iannuzzi

Il 7 ottobre ha segnato un punto di non ritorno. L’angosciosa sensazione è che né Washington né i leader europei abbiano intenzione di compiere sforzi reali per cercare di arrestare la catastrofe

Il 7 ottobre ha segnato un punto di non ritorno. Non l’abbiamo ancora capito.

Quel tragico giorno in cui Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno assaltato avamposti militari e insediamenti israeliani – provocando 1139 morti, inclusi 71 stranieri, secondo il bilancio ufficiale – il tempo per una soluzione pacifica della questione palestinese era già scaduto.

Quel giorno abbiamo soltanto assistito alla drammatica quanto (prima o poi) inevitabile esplosione.

All’indomani di quel traumatico evento, la Casa Bianca e i governi europei hanno ricominciato a parlare di soluzione dei due Stati, come hanno fatto a ogni precedente esplosione di violenza in Palestina (salvo poi archiviare il problema fino alla crisi successiva).

Una soluzione che il premier israeliano Benjamin Netanyahu rifiuta apertamente non da oggi, ma da almeno un decennio (e che il suo partito, il Likud, ha respinto fin dalla sua fondazione).

Malgrado ciò, tale appello viene reiterato ancora adesso dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen (di nuovo come mera formula retorica), dopo un anno di guerra che ha ridotto l’intera Striscia di Gaza a un cumulo di macerie ed ha letteralmente incendiato il Medio Oriente.

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Leonardo Sinigaglia: “Gli interessi della maggioranza globale”. Cresce l’attesa per il vertice Brics di Kazan

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“Gli interessi della maggioranza globale”. Cresce l’attesa per il vertice Brics di Kazan

di Leonardo Sinigaglia

Mancano ormai meno di due settimane al XVI vertice BRICS, che si terrà nella città russa di Kazan. Si tratta del primo vertice che vedrà la presenza come membri a pieno titolo dei paesi che erano stati invitati a entrare nel gruppo durante il vertice di Johannesburg del 2023, e, con l’eccezione dell’Argentina, il cui ingresso è stato impedito dal fantoccio statunitense Javier Milei, parteciperanno a questo nuovo incontro. Ma Brasile, Russia, Cina, Sudafrica, Iran, UAE, Arabia Saudita, Egitto ed Etiopia non saranno gli unici partecipanti del vertice.

Come dichiarato dall’ex diplomatico Yuri Ushakov nel maggio di quest’anno, i BRICS rappresentano ormai gli interessi della maggioranza globale[1], di tutti quei paesi che non hanno potuto godere dei frutti della globalizzazione a guida statunitense ma che anzi hanno conosciuto proprio a causa del Washington consensus stagnazione economica, crisi sociali e gravi perdite di indipendenza nazionale. La crescente attenzione che i paesi del Sud del Mondo hanno per i BRICS è proprio un segnale di questa fondamentale comunanza di interessi. I BRICS, il cui acronimo venne inventato nei circoli economici occidentali con una funzione al limite tra descrittiva e canzonatoria, sono ormai una realtà globale che rappresenta un’alternativa materiale agli organismi espressione della volontà statunitense, una realtà globale che gode di riconoscimento e apprezzamento.

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Sergio Cararo: Un anno dopo il 7 ottobre

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Un anno dopo il 7 ottobre

di Sergio Cararo

Un anno fa scrivevamo a caldo su questo giornale che l’azione militare delle organizzazioni palestinesi il 7 ottobre aveva colto di sorpresa gli apparati di sicurezza israeliani ma anche il resto del mondo, sia quello più ostile che quello più vicino alla causa palestinese.

Adesso il mondo ha subito un brusco risveglio e la comunità internazionale dovrà dire e fare molto di più che dichiarazioni di circostanza e ulteriore complicità con Israele. E anche la sinistra italiana ed europea dovrebbero smettere di balbettare banalità e obsoleti luoghi comuni sulla questione palestinese”.

Ed è in tal senso che il genocidio di Gaza deve pesare anche sulle complicità che i governi occidentali avevano garantito e continuano ad assicurare ai progetti di uno stato canaglia come Israele.

Il bagno di sangue al quale abbiamo assistito in questo anno tra Gaza e Israele, ha indubbiamente alzato l’asticella dell’orrore al quale l’umanità del XXI Secolo sembra doversi abituare.

I nemici del popolo palestinese vorrebbero ancora oggi inchiodare la discussione e diffondere la narrazione secondo cui “tutto il male è iniziato il 7 ottobre”. Una tesi insostenibile da ogni punto di vista. Talmente insostenibile che milioni di persone in tutto il mondo l’hanno respinta scendendo per mesi nelle piazze al fianco dei palestinesi anche in moltissimi paesi occidentali.

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Clara Statello: “Explosion pagers”. Il Washington Post rivela: il piano di Israele ideato prima del 7 ottobre

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“Explosion pagers”. Il Washington Post rivela: il piano di Israele ideato prima del 7 ottobre

di Clara Statello

 

La minaccia di un attacco tecnologico, simile a quello lanciato da Israele, non riguarda soltanto gli attori della regione, ma tutto il mondo. La nuova guerra informatica non conosce confini.

Emirates ha vietato walkie-talkie e cercapersone a bordo dei propri aerei, in conseguenza ai due attacchi tecnologici condotti da Israele, in varie località del Libano, il 17 e 18 settembre. L’avviso è apparso nei giorni scorsi, sul sito ufficiale della compagnia. Il divieto riguarda sia il bagaglio a mano che quello inviato in stiva. Saranno sottoposti a confisca della polizia i dispositivi rinvenuti durante i controlli pre-imbarco, in violazione delle nuove restrizioni.

Come avevamo sottolineato in una precedente analisi, l’operazione denominata “explosion pagers” condotta dal’’intelligence israeliani contro Hezbollah, ha segnato uno spartiacque nella guerra elettronica e allertato molti Paesi per la sua potenziale minaccia alla sicurezza (e dunque alla libertà) dei propri cittadini.

 

La reazione dei servizi russi

I dispositivi elettronici da portare addosso, come quelli utilizzati da Israele per far esplodere i cercapersone dei membri di Hezbollah in Libano e Siria, rappresentano una minaccia diretta per la sicurezza della Russia e di altri ex stati sovietici.

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