[SinistraInRete] Mike Watson: “I meme e Mark Fisher”

Rassegna 23/10/2024

Mike Watson: “I meme e Mark Fisher”

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“I meme e Mark Fisher”

Un estratto dal libro di Mike Watson

Pubblichiamo, ringraziando l’autore e l’editore, l’introduzione di Mike Watson all’edizione italiana del suo “I meme e Mark Fisher: Realismo capitalista e scuola di Francoforte nell’era digitale” pubblicato da Meltemi con la traduzione di Mariaenrica Giannuzzi e una di Nello Barile

cibernetica sovietica2 1024x574.jpgI meme e Mark Fisher è stato scritto alla fine del 2020 in Finlandia, in un clima di paura e di attesa a livello globale, quando il lockdown per il Covid sembrava volgere definitivamente al termine. La sensazione prevalente era che, comunque fosse andata, il periodo successivo alla pandemia avrebbe rappresentato un cambiamento epocale. Per molti di noi a sinistra, abituati a successivi fallimenti elettorali e a una rapida ascesa dell’estrema destra in tutto l’Occidente, questo significava vivere nell’attesa di un disastro imminente. Persino la sconfitta di Donald Trump nel 2020 non era stata d’aiuto, poiché gli eventi del 6 gennaio avevano dimostrato che l’odio della destra si era talmente radicato nella psiche nazionale statunitense da minacciare di esplodere spontaneamente e mettere fuori gioco la democrazia in qualsiasi momento. Quattro anni dopo, questa possibilità è ancora un rischio molto concreto negli Stati Uniti. Nel Regno Unito, i primi ministri Tory che si sono succeduti hanno spostato il dibattito politico a destra, mentre in Italia l’estrema destra di Giorgia Meloni guida un governo di coalizione.

È naturale che in un momento così cupo ci si rivolga alla teoria politica e sociale del passato per cercare una via d’uscita, per dare forma a un contromovimento o, semplicemente, per imparare in che modo i nostri predecessori a sinistra hanno affrontato difficoltà che sembravano insormontabili. Così, alla fine del 2020, stremato da diciotto mesi di isolamento che mi avevano allontanato da quasi tutte le persone che conoscevo sia nel Regno Unito (dove ero nato), sia in Italia (dove avevo vissuto per dieci anni prima di trasferirmi in Finlandia), ho guardato al lavoro di Mark Fisher, recentemente scomparso, e anche alla seconda generazione della Scuola di Francoforte.

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Gennaro Scala: “La sconfitta dell’occidente”

comunismo e comunit

“La sconfitta dell’occidente”

di Gennaro Scala

Recensione del libro di Emmanuel Todd, La défaite de l’Occident, Gallimard 2024 / La sconfitta dell’occidente, Fazi Editore 2024

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t500x500.jpgGli USA vivono in una fase di nichilismo avanzato, prodotto dalla scomparsa del protestantesimo che è stata la religione che ha dato vita al capitalismo moderno. Secondo Todd, vi è una prima fase in cui la religione viene osservata ed è determinante nel formare la mentalità collettiva. Seguita da una seconda, la fase “zombie”, che vede venir meno l’influenza morale della religione e il ruolo della formazione di una mentalità collettiva viene coperto dalle ideologie politiche. Vi è infine un grado zero della religione che corrisponde a quello attuale in cui la scomparsa dei valori è totale. 

Il libro in oggetto che è uscito in Francia lo scorso gennaio, fornisce al mondo occidentale forse la descrizione più completa della sua reale condizione. Il libro parte dal conflitto tra Ucraina e Russia, che, naturalmente, Todd descrive quale esso è, cioè un confronto tra l’Occidente e la Russia, ma poi il discorso si allarga a un’ampia analisi della condizione reale degli Usa e dell’Occidente di carattere economico, sociale, antropologico, e anche filosofico, visto il ruolo centrale che ha nel libro il concetto di nichilismo.

Vi sono state varie analisi critiche della politica occidentale, ma il pregio del libro, unico nel panorama attuale, è quello di fornire un quadro generale delle condizioni reali dell’Occidente che sono agli occhi di Todd disastrose. Per questo non esito a dire che si tratta di un libro fondamentale, e mi auguro che il libro scritto da un intellettuale del livello di Todd possa cambiare il dibattito in corso, e riportarlo a termini più realistici, poiché i grossolani errori di valutazione nel caso di un conflitto con una potenza nucleare come la Russia possono essere molto pericolosi, ma non c’è molto da sperare, dato lo stato pietoso del mondo politico, mediatico e culturale occidentale.

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Eros Barone: Il compagno “Osvaldo”

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Il compagno “Osvaldo”*

di Eros Barone

06 giangiacomo e fidel le28099editore feltrinelli incontra castro a cuba foto di inge schoental feltrinelli grazia neri 2 scaled.jpg«Dunque… devo definire me stesso in quanto editore… in rapporto col mestiere che per il novanta per cento del mio tempo faccio da quasi quindici anni. Potrei cominciare dal mestiere… togliendo di mezzo la mia persona; oppure potrei cominciare dalla mia persona, ma in questo caso, purtroppo, non riuscirei a togliere di mezzo il mestiere… Ma non voglio definire l’editore, anzi l’Editore: a mio modo di vedere si tratta di una funzione indefinibile, o meglio definibile in mille modi. Basterebbe, a questo proposito, elencare tutti coloro che, facendo l’editore, hanno costruito una fortuna, ed elencare, d’altra parte, tutti coloro che (sempre facendo l’editore) una fortuna hanno distrutto. … il termine “fortuna” acquista un significato non soltanto economico, ma… “politico”. Lasciamo perdere, dunque, l’editoria fortunata a livello business: i mastodonti che possiedono mezzo milione di titoli, cinquanta staff redazionali, una dozzina di rivistacce per le “serve” intellettuali, o per gli intellettuali serva, le tipografie con le supermacchine degli “aiuti” americani, gli apparati di intimidazione e gli “uffici acquisto premi letterari”… Sarà un difetto, sarà un vizio: ma anche se auspico la fortuna economica della mia casa editrice, non posso fare a meno di ricordare che essa è nata soprattutto… da un’intenzione, addirittura da un bisogno e da un desiderio che esito a definire culturali soltanto perché la parola cultura… mi appare gigantesca, enorme, degna di non essere scomodata di continuo.»

Così, nel 1967, in un articolo scritto per la rivista «King», Giangiacomo Feltrinelli definiva il senso di un’attività politico-culturale che ha inciso, come poche altre, nella storia del nostro Paese. E aggiungeva: «Poiché la micidiale proliferazione della carta stampata rischia di togliere alla funzione di editore qualsiasi senso e destinazione, io ritengo che l’unico modo per ripristinare questa funzione sia una cosa che, contro la moda, non esito a chiamare “moralità”: esistono libri necessari, esistono pubblicazioni necessarie… occorre incontrare e smistare i messaggi giusti, occorre ricevere e trasmettere scritture che siano all’altezza della realtà…».

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Andrea Fumagalli: Manovra economica 2025 | Promesse al vento e fake news

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Manovra economica 2025 | Promesse al vento e fake news

di Andrea Fumagalli

Tutte le volte che viene presentata la legge di bilancio per l’anno a venire, la stampa mainstream dimostra il suo ruolo cortigiano. Non fa eccezione quella appena presentata. Perfino i media che hanno posizioni avverse al governo in carica si prestano a riportare fake news. In questo articolo, con tutta l’umiltà del caso, si cerca di fare un  minimo di chiarezza, cioè di fare quello che un tempo si chiamava “servizio pubblico” (oggi in via d’estinzione…)

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Sappiamo che l’informazione in Italia non offre certo un buon esempio in tema di trasparenza e obiettività. L’informazione economica, poi, sta ancora peggio.

Ieri il governo ha presentato la manovra finanziaria per il 2025 da inviare a Bruxelles per l’approvazione insieme al Piano Strutturale di Bilancio che dovrebbe ridurre il rapporto deficit/Pil al 3,3% nel 2025 e al 2,8% nel 2026: per scongiurare gli effetti della procedura di infrazione commutata all’Italia la scorsa estate.

L’ammontare complessivo è intorno ai 30 miliardi in linea con le manovre economiche degli anni precedenti.

I principali quotidiani si sono soffermati in particolare su alcune misure, che dovrebbero rappresentare le principali novità introdotte.

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comidad: L’Unifil ha lavorato per Israele e ora può sloggiare

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L’Unifil ha lavorato per Israele e ora può sloggiare

di comidad

Sembra passato un secolo, eppure era solo a marzo di quest’anno che la Meloni giocava a calcio balilla con i soldati della missione ONU in Libano siglata Unifil; e, tra una partita e l’altra, Giorgia ci ammoniva severamente, sentenziando che la pace non si fa dal divano, bensì si costruisce con la “deterrenza”. Qualcuno forse si ricorderà degli accesi dibattiti su pace e deterrenza che quella esibizione meloniana scatenò. Ogni volta che si cerca di trascinarci in queste discussioni astratte, occorre sempre ricordarsi di quel proverbio “alla cinese”: quando indichi la Luna, l’uomo sciocco guarda il dito, mentre l’uomo saggio guarda cosa stai facendo con l’altra mano. Che abbia ragione l’uomo saggio, oppure l’uomo sciocco, la cosa certa è che la Luna non ti deve distrarre.

Si può infatti discutere all’infinito sulla domanda se l’Unifil abbia costruito o meno la pace e la deterrenza; c’è invece una cosa che l’Unifil ha sicuramente costruito, cioè una linea di basi militari, composta da varie fortificazioni e bunker a protezione delle truppe ONU, tutto ciò occupando una discreta porzione di territorio libanese, di cui di fatto gli “indigeni” sono stati espropriati. Da quando è iniziata l’invasione israeliana del Libano le truppe ONU passano gran parte del tempo in quei bunker che, oltre che ben corazzati, hanno (a quanto si spettegola) interni sfarzosi da far invidia a un albergo a cinque stelle.

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Fabrizio Poggi: Il “piano della vittoria” arriva anche al Parlamento ucraino (con un punto molto interessante sulla NATO)

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Il “piano della vittoria” arriva anche al Parlamento ucraino (con un punto molto interessante sulla NATO)

di Fabrizio Poggi

Una raccolta di slogan slegati tra loro: così la portavoce del Ministero degli esteri russo Marija Zakharova ha definito il cosiddetto “piano della vittoria”, che l’ex presidente (il suo mandato è scaduto lo scorso 20 maggio) nazigolpista Vladimir Zelenskij ha avuto la compiacenza, tra una tournée estera e l’altra, di presentare alla Rada il 16 ottobre, dopo averne messo a parte, da un mese a questa parte, le cancellerie di mezzo mondo. Zakharova ha aggiunto che il “piano” altro non è che una «schiuma insanguinata sulle labbra di un assassino neonazista», con cui Zelenskij tenta di spingere la NATO alla guerra aperta con la Russia.

Nonostante già da tempo varie agenzie occidentali abbiano reso noti i punti principali del “piano”, nella relazione presentata il 16 ottobre al Parlamento ucraino ci sarebbero alcuni passaggi non passibili di esser resi pubblici; in particolare, secondo l’agenzia ucraina Strana, tali passaggi sarebbero contenuti all’interno dei punti secondo, terzo e quarto. Prima o poi verranno fuori.

In sostanza, nella parte pubblica del suo discorso, Zelenskij ha affermato che la Russia deve perdere la guerra contro l’Ucraina e che ciò non prevede affatto un “congelamento” del conflitto, oppure un commercio di territorio o di sovranità ucraina

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Piccole Note: Libano, Gaza: fame e bombe. Il caos creativo che uccide

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Libano, Gaza: fame e bombe. Il caos creativo che uccide

di Piccole Note

L’inferno nel Nord di Gaza. Le bombe iniziano a piovere anche sul Libano del Nord ed Hezbollah reagisce. Quando Israele voleva lanciare un attacco preventivo contro il Paese dei cedri…

Con l’attenzione internazionale concentrata sul Libano, l’imminente attacco israeliano all’Iran e sull’aggressione alle forze di pace delle Nazioni unite al confine libanese, Gaza è uscita dall’orizzonte mediatico.

Lo osserva Ishaan Tharoor sul Washington Post, aggiungendo: “Gli eventi degli ultimi giorni ci ricordano la duratura calamità che rappresenta il ground zero dello scontro regionale. La parte settentrionale di Gaza, già martoriata da un anno di guerra disastrosa, è preda di una nuova e punitiva offensiva israeliana. Le forze israeliane hanno circondato il campo profughi di Jabalya” per eradicare Hamas.

L’area è stata chiusa e “a nessuno è permesso entrare o uscire: chiunque ci provi verrà colpito”, come dice al WP Sarah Vuylsteke, coordinatrice di Medecin sans frontieres. Inoltre, Israele, da agosto, “ha gradualmente ridotto gli aiuti che arrivavano nella parte settentrionale di Gaza. A ottobre nessun non è arrivato nessun camion di alimenti“.

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Visconte Grisi: Una economia di guerra?

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Una economia di guerra?

di Visconte Grisi

guerra26.jpgLa tendenza verso una economia di guerra si configura a partire dalla pandemia di Covid 19. Qualunque sia stata l’origine del Covid 19, l’aspetto più sconvolgente era il linguaggio da tempo di guerra che era diventato subito virale nei mass media di regime. Espressioni da caserma come “siamo in prima linea sul fronte” o “omaggio agli eroi di guerra” sono state ripetute all’infinito, insieme al ritorno di una retorica patriottarda fuori tempo e agli inni nazionali sui balconi, anche questi durati poco, di fronte al precipitare della situazione sanitaria. Le strade deserte hanno reso l’idea di una situazione di coprifuoco che, fino ad un certo punto, ha finito per oscurare i termini scientifici dell’evoluzione della pandemia e delle possibili soluzioni di prevenzione e terapia. L’inserimento di queste misure si situavano entro una cornice che richiamava la simulazione di una situazione di guerra.

Alcuni fenomeni che si sono verificati in quel periodo possono far ritornare alla mente situazioni tipiche di una economia di guerra. Per esempio, la riconversione industriale in alcune fabbriche per la produzione di merci non più reperibili sul mercato nazionale, come le mascherine o i respiratori o i disinfettanti per le mani, ma si tratta, in questo caso, di fenomeni molto limitati, mentre la produzione di armi (quelle vere) è tranquillamente continuata, anche nell’emergenza, come per gli F35 alla Leonardo di Cameri. Niente di paragonabile con l’autarchia dei tempi di guerra naturalmente, caso mai si tratta oggi della interruzione di filiere produttive multinazionali, risultato della divisione internazionale del lavoro capitalistica affermatasi negli ultimi decenni, impropriamente definita “globalizzazione”, e da cui è difficile, o improbabile, ritornare a una economia nazionale auto centrata.

Successivamente è comparso un altro fenomeno tipico dell’“economia di guerra”: la speculazione sui generi di prima necessità.

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Karsten Montag: La moneta comune dei BRICS sta arrivando?

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La moneta comune dei BRICS sta arrivando?

di Karsten Montag

Prima del vertice BRICS di fine ottobre, dalla Russia giungono sempre più notizie su un nuovo sistema di pagamento internazionale e sull’introduzione di una moneta comune per l’alleanza economica. Tuttavia, le speranze in tal senso vengono ridimensionate da diversi attori. Un calcolo del volume delle valute utilizzate nel commercio internazionale mostra che lo yuan è diventato la terza valuta più forte del mondo dopo il dollaro e l’euro, cosa che le statistiche precedenti ancora nascondono

03bricscryptokazandedollarizzazione03 696x395.jpgNell’agosto di quest’anno, il quotidiano russo Kommersant ha riferito, sulla base di fonti anonime, che potrebbero essere creati due scambi di criptovalute a San Pietroburgo e Mosca per “sostenere le attività economiche straniere”. Gli scambi di criptovalute sono piattaforme di scambio per valute digitali che non funzionano come moneta a corso legale. Lo sfondo è la creazione di stablecoin — valute digitali legate alla performance di asset specifici — che dovrebbero essere garantite dalla valuta cinese Yuan (pronunciata “Ü-en”, nota anche come “Renminbi”), oppure da un paniere delle valute dei paesi BRICS, continua il giornale. Già a marzo il consigliere del Cremlino Yuri Ushakov aveva annunciato che i paesi BRICS stavano lavorando a un sistema di pagamento indipendente basato su valute digitali e blockchain – contabilità decentralizzata. Anche l’ambasciatore russo in Cina, Igor Morgulov, ha confermato a luglio che i membri del BRICS stanno negoziando una moneta unica. Tuttavia, una creazione nel prossimo futuro è improbabile.

La differenza fondamentale di una valuta blockchain è che tutte le transazioni vengono registrate in modo decentralizzato e quindi, in linea di principio, non è necessaria un’autorità centrale per garantire la correttezza della contabilità e controllare il valore e l’offerta di moneta. A differenza della valuta blockchain Bitcoin, che è liberamente scambiabile e il cui valore oscilla notevolmente, le stablecoin, come suggerisce il nome, sono destinate ad essere più stabili in quanto possono essere scambiate approssimativamente uno a uno con una valuta esistente. Ciò avvicina le stablecoin alla moneta digitale della banca centrale.

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Leonardo Lippolis: La trasparenza distopica di Smart City

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La trasparenza distopica di Smart City*

di Leonardo Lippolis

70584883 2665327156835595
8622086137357271040 n.jpgPhilip K. Dick ha prefigurato nei suoi libri le degenerazioni del capitalismo avanzato: l’accumulo di catastrofi che rendono la Terra sempre più inospitale, la disumanizzazione di una società in cui la merce esercita un potere totalitario; le inquietanti prospettive dell’ibridazione tra umani e macchine e dell’intelligenza artificiale. Le ambientazioni suoi dei romanzi sono mondi urbani intrisi di solitudine o tetre periferie di colonie extraterrestri, luoghi in cui l’umanità, sottomessa a stati di polizia e regimi totalitari retti da grandi multinazionali, vive anestetizzata. Ricorda qualcosa? In questi ambienti urbani tutto è automatizzato: veicoli volanti autopilotati che interagiscono con i passeggeri, case governate da sistemi di sensori e comandi vocali, elettrodomestici e computer comandati a gesti. Vere anticipazioni di Smart City. Oggi il capitalismo ha rispolverato per la Smart City la categoria dell’utopia che si realizza, “un’utopia capitalista per una esigua minoranza «privilegiata», ben inteso, mentre il resto della popolazione mondiale in eccesso continuerà ad ammassarsi nelle bidonvilles e negli slums… – scrive Leonardo Lippolis nella nuova prefazione a Viaggio al termine della città (elèuthera) – Se la fantascienza di Dick rimane una guida fondamentale per intuire la distopia che si proietta al di là degli schermi trasparenti di Smart City, dal punto di vista del pensiero politico occorre rilanciare il «principio speranza» di un’utopia concreta di cui parlava Ernst Bloch alla fine degli anni ’50, unico antidoto al sentimento angosciante di no future annunciato già alla fine degli anni ’70 e oggi apparentemente inscalfibile…”

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La particolarità del panottico digitale è, soprattutto, che i suoi stessi abitanti collaborano attivamente alla sua costruzione e al suo mantenimento esponendosi loro stessi alla vista e denudandosi. Espongono se stessi sul mercato panottico

(Byung-chul Han)

All’inizio di Jubilee, film di Derek Jarman del 1978, una scena iconica immortala tre giovani punk appoggiati a un grande muro di cemento sotto la scritta postmodern; siamo a Londra, in una strada coperta di rifiuti e macerie, tra un’automobile rovesciata dopo un incidente, un caseggiato popolare vittoriano a due piani in completo abbandono e un gasometro in disuso.

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Sergio Labate: L’Università aspetta il colpo di grazia: nel disinteresse generale

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L’Università aspetta il colpo di grazia: nel disinteresse generale

di Sergio Labate

Uno dei tratti tipici della “antropologia neoliberale” è la condizione schizofrenica cui ci costringe. Da un lato, se pensiamo alle nostre vite individuali, ne sentiamo tutti – quasi tutti, sarebbe meglio dire – il peso, le frustrazioni, il carico di alienazione e di inautenticità cui siamo ormai costretti. Anche i lavori che hanno dietro quella che un tempo si sarebbe chiamata “vocazione” sono ormai diventati bivacchi di insoddisfazione e prestazionalità. Del resto questa condizione, studiatissima, è utile a creare l’ennesimo esercito di riserva dei lavoratori: a indurre condizioni disumane di concorrenza, a disincentivare ogni cooperazione, a portare la sopportazione oltre ogni limite in una sorta di darwinismo sociale all’ennesima potenza: solo chi resiste va avanti. Il burnout è ormai l’ideale regolativo dell’etica del lavoro che si è imposta. D’altro lato, questa infelicità privata non trova corrispondenza con nessuna rappresentazione pubblica o politica. La frustrazione è ciò che resta: si lavora, si avverte lucidamente di quanto quel lavoro sia del tutto alienato e disarticolato e, infine, si torna a casa senza aver detto qualcosa per cambiare le cose, figuriamoci se si può fare qualcosa. Questo tratto così diffuso è un buon punto di accesso per comprendere ciò che accade dentro le nostre Università in questi mesi.

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Enrico Grazzini: Il fallimento della politica avventurista di Zelensky

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Il fallimento della politica avventurista di Zelensky

di Enrico Grazzini

Speriamo che l’Italia e gli altri paesi europei non abbiano mai come leader un politico ingenuo e avventato come Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina. Zelensky è celebrato per il coraggio e la caparbietà dimostrati nella resistenza contro l’aggressione illegale della Russia di Vladimir Putin. Ma oggettivamente la sua politica ha portato alla distruzione dell’Ucraina e alla rovina del suo popolo. Vediamo perché.

Innanzitutto occorre ricostruire molto sinteticamente il contesto (le fonti sono innanzitutto Wikipedia e numerose altre, come Foreign Affairs, Le Monde Diplomatique. Foreign Policy). L’Ucraina – che è anche la terra di nascita della Russia – è sempre stata fortemente contesa tra la Russia e l’America fin dalla sua indipendenza nel 1991. E’ noto che, dopo la caduta dell’URSS nel 1991, la Nato – l’alleanza militare transatlantica tra i paesi europei, gli Stati Uniti e il Canada – si è spinta a est e ha inglobato i paesi dell’ex patto di Varsavia, come Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania, Repubblica Ceca e altri. Questi paesi chiesero l’adesione all’Alleanza atlantica per tentare di liberarsi definitivamente dai legami minacciosi con la Russia e la Nato accettò prontamente la loro richiesta nonostante, evidentemente, la contrarietà della Federazione Russa di Boris Yeltsin prima e di Vladimir Putin dopo.

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Roberto Barzanti: Mimmo Cangiano. Guerre culturali e neoliberismo

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Mimmo Cangiano. Guerre culturali e neoliberismo

di Roberto Barzanti

Mimmo Cangiano, Guerre culturali e neoliberismo, Roma, Nottetempo, 2024

Leggerlo oggi, quando nei campus divampano proteste dalla lunga incubazione e si issano cartelli pro-Palestina o rilanciando parole d’ordine che la cultura woke ha iniziato a scandire decenni fa, insinua qualche dubbio di anacronismo. La situazione in molte Università negli States è cambiata, registra radicalizzazioni che covavano sotto la cenere, e ha trovato slogan unificanti contro un nuovo Vietnam. Invece questo densissimo Guerre culturali e neoliberismo, a metà tra resoconto diaristico e riflessione filosofica, che Mimmo Cangiano (casertano, 43 anni, docente a Ca’ Foscari di critica letteraria e letterature comparate) tratta temi più attuali che mai con rara incisività. Descrive debolezze e potenzialità delle culture wars sulla base dell’esperienza diretta di quasi dieci anni di insegnamento e confronti tra studenti e professori degli atenei d’oltreoceano. E nell’introduzione mette subito in guardia. Oggetti delle sue note non saranno la deprecata e talvolta grottesca (ma diffusissima) cancel culture, né soltanto le battaglie ingaggiate su questioni identitarie di gruppi etnici, classiste, anti-razziste, antisessiste, o condotte all’insegna di un proteiforme postmodernismo oppure all’ombra della French Theory dei post-strutturalisti francesi.

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Giovanni Iozzoli: L’enigma Wagenknecht

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L’enigma Wagenknecht

di Giovanni Iozzoli

Dopo le elezioni regionali del Brandeburgo, il partito di Sahra Wagenknecht (BSW) ha confermato di essere una presenza consolidata nel panorama politico tedesco. Il profilo stesso di questa aggregazione non autorizza la sua collocazione nel campo delle performance elettorali effimere od occasionali: le radici sociali sono solide e si collocano dentro un pezzo di storia della sinistra tedesca, con legami sindacali e territoriali radicati nel tempo. Non una forza d’opinione né, si presume, una meteora.

Per la sinistra “alternativa” europea, lo sviluppo impetuoso di questa ipotesi politica, nel cuore geografico ed economico del continente, pone mille interrogativi. Non a caso coincide con lo svuotamento repentino della Linke e la (sacrosanta e meritatissima) eclisse dei Verdi. Ciò che resiste dell’SPD va probabilmente letto dentro la dimensione residuale dei poteri amministrativi e di governo; niente di socialmente vivo e destinato a crescere.

Del resto tutte queste sinistre liberali (le vicende della guerra in Ucraina hanno purtroppo avvicinato anche la Linke a quel versante nefasto), sembrano destinate in qualche modo a diventare un elemento marginale o comunque minoritario delle società europee: approdo naturale per ceti urbani protetti, benestanti o élite acculturate che compiono scelte elettorali “di testa”.

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