[SinistraInRete] Konrad Nobile: Al varco della sconfitta. Trieste 2021, come è stata uccisa la rivolta no green pass in Italia

Rassegna 25/10/2024

Konrad Nobile: Al varco della sconfitta. Trieste 2021, come è stata uccisa la rivolta no green pass in Italia

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Al varco della sconfitta. Trieste 2021, come è stata uccisa la rivolta no green pass in Italia

A cura di Konrad Nobile

Un’analisi e delle riflessioni sulle giornate che segnarono il destino del movimento contro il lasciapassare vaccinale

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informazione alternativa insieme.jpgA tre anni esatti dai fatti del porto di Trieste e dal vile sgombero del Varco IV, apice della protesta contro la tessera verde e punto di svolta per tutto il movimento “No Green Pass”, torna utile analizzare ciò che allora accadde.

Fare un’autopsia di quelle dense giornate d’ottobre e proporre delle riflessioni in merito è essenziale non solo per preservarne la memoria, ma anche per comprendere ciò che allora non funzionò e che portò al declino di un intero movimento, avviatosi verso la sua parabola discendente proprio dopo quel fatidico 18 ottobre 2021.

Lo scopo ultimo di questa riflessione è infatti tentare, scovando le mancanze e i limiti che si ebbero allora, di fare tesoro di quella grande esperienza affinché, nelle mobilitazioni presenti e future, non si ricada negli stessi errori e si possa invece intraprendere la strada della lotta in maniera più matura, organizzata ed efficace.

Per svolgere al meglio questa nostra disamina ci siamo affidati, oltre alle nostre conoscenze, memorie ed esperienze dirette, anche a preziose testimonianze di alcuni triestini, membri del locale “Coordinamento No Green Pass e Oltre”, che hanno voluto con entusiasmo raccontarci la loro versione dei fatti e narrarci quelle giornate.

Su quello che accadde e sui giudizi relativi a come fu gestita la piazza in quei giorni non vi è accordo all’interno del Coordinamento, e dunque le dichiarazioni qui pubblicate (che sono solo una parte di quelle a noi rilasciate) vanno intese come contributi dei singoli intervistati e non come un giudizio unanime del comitato triestino sui fatti del porto.

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Roberto Iannuzzi: La sconfitta dell’Occidente – l’irrinunciabile analisi di Emmanuel Todd

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La sconfitta dell’Occidente – l’irrinunciabile analisi di Emmanuel Todd

di Roberto Iannuzzi

Todd ha il grande merito di aver aperto un dibattito troppo a lungo rifiutato dall’ipocrisia delle élite occidentali, tracciando un quadro realistico delle ragioni del declino dell’Occidente

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e009e9e06f0c.jpgA più di due anni dall’inizio del conflitto ucraino, sebbene la guerra continui a infuriare soprattutto nella parte orientale del paese, se ne sente parlare molto meno.

Una ragione c’è: le cose non stanno andando come la gran parte degli strateghi, dei commentatori, dei grandi mezzi di informazione occidentali aveva previsto.

Kiev è sulla difensiva, la speranza ucraina di riconquistare i territori perduti si è rivelata un’illusione, le forze russe stanno avanzando sull’intero fronte del Donbass. L’invasione estiva dell’oblast russo di Kursk da parte ucraina si è risolta in un estemporaneo episodio di avventurismo militare.

Ma soprattutto, l’entusiasmo occidentale per il sostegno all’Ucraina si sta affievolendo, con una Germania sempre più alle prese con la sua crisi economica interna, e gli Stati Uniti assorbiti da un’incerta campagna presidenziale.

 

Le ragioni del fallimento occidentale in Ucraina

Sebbene il conflitto sia tutt’altro che concluso, e presenti tuttora rischi di escalation a seconda delle scelte che compiranno i leader occidentali, esso ci parla di un fallimento.

Ad aver fallito sono le strategie militari della NATO, le sanzioni che avrebbero dovuto mettere in ginocchio un’economia russa che è invece più che mai vitale, l’industria militare americana ed europea che si sono rivelate incapaci di stare al passo con la produzione bellica russa.

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Andrea Cengia: Introduzione a Le macchine del Capitale

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Introduzione a Le macchine del Capitale

di Andrea Cengia

Andrea Cengia: Le macchine del capitale. Con Marx, per la critica dell’economia politica della tecnologia, ed. Punto rosso, 2024

le macchine del capitale con marx per la critica delleconomia politica della tecnologia.jpgA partire dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, un crescente numero della popolazione mondiale sperimenta la presenza sempre più evidente di un orizzonte tecnologico. Gli oggetti, materiali o immateriali, che prendono il nome di tecnologia, hanno assunto un peso socialmente sempre più rilevante. Dalle trasformazioni di fabbrica del secondo dopoguerra fino alla proliferazione della rivoluzione digitale dei nostri giorni, la società ha subito profonde modificazioni. La tecnologia, il cui significato si cercherà di chiarire in seguito, ha spesso raccolto e ancora raccoglie speranze e timori, alimentando un dibattito sociale caratterizzato da forti prese di posizione, di adesione o di rifiuto, rispetto alle innovazioni presenti sul mercato1. Nell’autunno del 2021, dando notizia del blocco mondiale di alcuni tra i più importanti servizi social del mondo, il New York Times titolava Gone in Minutes, Out for Hours, commentando come miliardi di vite fossero state sconvolte proprio per mancanza di connessione2. È interessante notare che, poche settimane dopo, nel novembre del 2021, il Virtual Congress della Friedrich Ebert Stiftung3 veniva pubblicizzato attraverso un fotomontaggio rappresentante Marx dotato di visore per realtà aumentata. Ci sarebbe da chiedersi per quale ragione, non raramente, sia proprio Marx e il suo lavoro a essere chiamati in causa in contesti di riflessione sulla tecnologia, in particolare rispetto alle sue forme più articolate come quella dell’universo digitale. Poiché le forme di società fortemente caratterizzate dalla dimensione tecnologica sono anche società dove predomina il modo di produzione capitalistico, qualora non si desideri recepire come necessaria la forma sociale che l’orizzonte tecnologico contribuisce a realizzare, diventa importante chiamare in causa l’elaborazione teorica marxiana. La spinta senza sosta verso la creazione di spazi digitali di socialità, siano essi i social network oppure forme di virtualizzazione, ci riporta quindi a Marx.

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Algamica: Ruoli e personalità nella storia: Yahya Sinwar

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Ruoli e personalità nella storia: Yahya Sinwar

di Algamica*

Alla notizia, oramai data per certa, che Yahya Sinwar è morto sulle barricate sotto i colpi di artiglieria pesante che hanno fatto collassare il tetto dell’edificio su di lui e i suoi compagni dal quale erano intenti a dare battaglia all’occupante genocida israeliano, ci è tornata alla mente la lettera scritta da Rosa Luxemburg a Sonja Liebknecht a metà dicembre del 1917, dal carcere femminile di Breslavia. La dedichiamo a tutti e tutte le palestinesi che vogliono onorare la memoria di questo eroico combattente.

«Qualche volta ho la sensazione di non essere un vero e proprio essere umano, ma appunto qualche uccello o un altro animale in forma di uomo; nel mio intimo mi sento molto più a casa mia in un pezzetto di giardino come qui, oppure in un campo tra i calabroni e l’erba, che non… a un congresso di partito.

A lei posso dire tutto ciò: non fiuterà subito il tradimento del socialismo.

Lei lo sa, nonostante tutto io spero di morire sulla breccia: in una battaglia di strada o in carcere.

Ma nella parte più intima, appartengo più alle mie cinciallegre che ai “compagni”. E non perché nella natura io trovi, come tanti politici intimamente falliti, un rifugio, un riposo. Al contrario, anche nella natura trovo a ogni passo tanta crudeltà, che ne soffro molto.»

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Giorgio Cremaschi: Il colonialismo di Labriola

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Il colonialismo di Labriola

di Giorgio Cremaschi

Nel 1919 Lenin, come presidente del Consiglio dei Commissari del popolo della Russia rivoluzionaria, inviò una calorosa lettera all’emiro dell’Afghanistan, nella quale, oltre a offrire il reciproco riconoscimento tra stati, forniva tutto il possibile sostegno alla lotta del’emiro contro le mire coloniali della Gran Bretagna. Pare che poi, in una riunione dell’Internazionale Comunista, Lenin abbia commentato “contro l’imperialismo fa più l’emiro dell’Afghanistan che tutta la socialdemocrazia”.

Mi è tornato in mente questo suo celebre e attualissimo giudizio leggendo il bel libro di Massimo Gabella “La rivoluzione come problema pedagogico. Politica ed educazione nel marxismo di Antonio Labriola” (Edizioni Il Mulino), nel quale con accurata ricerca si documentano i tratti fondamentali del pensiero di Antonio Labriola, filosofo marxista italiano e militante socialista fino alla sua morte del 1904.

Alla fine dell’Ottocento Labriola è stato uno dei fondatori del pensiero marxista nel nostro paese, affermandolo come una scienza e una filosofia particolari, perché da un lato analizzavano e definivano le leggi della società con metodo scientifico, dall’altro però erano anche il punto di vista e l’elaborazione della prassi del soggetto antagonista nella società capitalista, il proletariato.

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Vincenzo Maddaloni: Perché I morti sul lavoro sono più dell’anno scorso

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Perché I morti sul lavoro sono più dell’anno scorso

di Vincenzo Maddaloni

Tre morti al giorno sul lavoro, ai quali però ci si dimentica di aggiungere i circa cinque decessi quotidiani per malattie professionali, sono cifre pesanti. I morti sul lavoro sono più dell’anno scorso, mentre la tutela delle vittime è ferma al 1965. Nel periodo gennaio-agosto 2024 i morti denunciati sono stati 680 in crescita del 3,5 per cento rispetto agli otto mesi dell’anno scorso, quando ne erano stati registrati 657.

Tuttavia, fonti ufficiose ipotizzano che circa un terzo degli infortuni mortali sul lavoro rimanga sottotraccia, non censito. Infatti, sono sempre più frequenti i casi di occultamento di cadavere o di simulazione di incidente al di fuori del luogo di lavoro che, riguardano gli immigrati. Il ministero del Lavoro, contattato per avere il totale globale dei morti, non fornisce numeri né stime, rimandando ai soli dati Inail.

Eppure non ci vuole molto a capire, che gli infortuni mortali sono alimentati da competitività, precarietà e modelli sempre più flessibili di organizzazione del lavoro e della produzione. La salute e la sicurezza dei lavoratori, ossia la protezione contro gli incidenti e le malattie professionali, sono sempre più subordinate alla “salute” dei bilanci e alla sicurezza del profitto aziendale.

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Salvatore Bravo: Libertà e soggettività

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Libertà e soggettività

di Salvatore Bravo

Nel bicentenario della morte di Kant Costanzo Preve scrisse un breve testo a lui dedicato e reperibile ancora in rete. La filosofia è pensare il proprio tempo; Costanzo Preve da filosofo pensò il tempo del capitalismo assoluto. La filosofia è disciplina del pensiero che il filosofo vive come vocazione e non come professione. Il professionista è in qualche modo dipendente dalle istituzioni, in cui espleta le sue mansioni; il filosofo conserva la sua autonomia, può essere parte di un’istituzione, ma non è organico alla medesima. Costanzo Preve fu “filosofo”, perché fu fedele solo al suo destino e dunque alla sua vocazione. La filosofia è pensare il tempo, in cui si è implicati, ma tale prassi è sempre comunitaria. Pensare è confrontarsi con autori del passato e del presente, è azione di risemantizzazione di concetti con la pubblica testimonianza. Il breve saggio dedicato al bicentenario della morte di Kant non è dunque un atto cerimoniale, ma un modo, anche esplicito per il filosofo torinese di pensare il nostro tempo attraverso il lascito concettuale, politico e morale di Kant. La libertà nel tempo del capitalismo assoluto è decaduta a semplice scelta dei prodotti all’ipermercato o di viaggi preconfezionati. Il guinzaglio in media è piuttosto lungo, si può fare un giro nella prigione senza uscire da essa e senza scorgerne le sbarre. La lunghezza del guinzaglio è proporzionale al censo, pertanto le catene non sono percepite dalle “nomenclature” che fanno sfiorire il loro tempo nei tour nella prigione.

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Il Pungolo Rosso: Chi finanzierà la finanziaria?

ilpungolorosso

Chi finanzierà la finanziaria?

Falsari professionali

di Il Pungolo Rosso

incontro fra meloni salvini e tajani
in mattinataEntro il 31 dicembre il governo approverà la Legge Finanziaria per il 2025. Le anticipazioni hanno riempito le cronache con promesse e buffonerie à la Salvini che sono state largamente disattese. Intanto abbiamo scoperto le attitudini filo-proletarie del ministro Giorgetti in virtù delle quali egli dichiara di sapere dove stanno i soldi e a chi bisogna chiederli. Le sue prime esternazioni – l’intervista a Bloomberg – hanno fatto davvero temere che si fosse convertito al bolscevismo, ma le smentite alla sua volontà di tassare qualche patrimonio, un po’ di case e qualche rendita sono arrivate a stretto giro. Contro l’ipotesi di tassare le abitazioni che hanno usufruito della ristrutturazione col bonus al 110% si è levata la voce tonante di Angelo Bonelli. Lo sciagurato verde-sinistro non ne azzecca una: dopo aver dichiarato tutto il suo disgusto – come il nostro per lui – per la libertà di manifestare per la Palestina, unendosi al trio Piantedosi-Nordio-Crosetto, si è spinto in un impetuoso intervento alla Camera in difesa dei beneficiari del superbonus ristrutturazioni che, a detta dello stesso Giorgetti, sono per gran parte ville e villini “… di chi i sacrifici li può fare”.

Tornando al merito, bisogna dire che il consiglio dei ministri di mercoledì 16 ha varato il Documento programmatico di bilancio, una anteprima della finanziaria vera e propria e lo ha fatto con un netto anticipo rispetto al previsto per poter rispettare i tempi della Commissione Europea. Lo zelo è dovuto soprattutto al rischio di essere messi sotto procedura d’infrazione per eccesso di debito pubblico: l’Italia ancora non riesce a diminuirlo e nemmeno ad alzare il Pil e il famoso rapporto debito/Pil anche nel ’25 sarà del 3,3% – superiore a quanto chiedono gli accordi europei (3%) – e solo nel ’26 l’Italia arriverà al 2,8%. Il Documento (Dpb) si presenta essenzialmente come una serie di garanzie e di impegni a raggiungere gli standard europei.

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OttolinaTV: Trump a un passo dalla vittoria: ha stato Soros (per davvero)

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Trump a un passo dalla vittoria: ha stato Soros (per davvero)

di OttolinaTV

sddefault.jpgNon mi azzardo a fare previsioni perché l’ultima volta che ho azzeccato un pronostico elettorale probabilmente non era ancora stato introdotto il suffragio universale. Ah, com’è che dici? Negli USA, in realtà, a ben vedere non è mai stato introdotto? Ah, ok: severo, ma giusto; comunque non mi azzardo lo stesso. Mi limito a registrare che, come probabilmente saprete già, ultimamente le quotazioni di Trump sono ritornate a salire; e dopo l’ubriacatura iniziale per la nomination di Kabala Harris, Trump è tornato a essere il favorito su almeno due delle 4 principali piattaforme di scommesse esistenti. Quello che invece, altrettanto probabilmente, molti di voi non sanno (e faranno un po’ fatica a credere) è chi c’è dietro questo recupero di The Donald perché – udite udite – ha stato Soros. Esatto: proprio lui, l’icona sexy di tutti gli analfoliberali più pervertiti del pianeta, l’eminenza grigia di tutte le cospirazioni possibili immaginabili (sia quelle vere che quelle inventate). O meglio: per essere precisi, ovviamente, non proprio Soros Soros di persona personalmente; semplicemente, quello che è stato a lungo uno dei suoi principali bracci destri, tra i fautori (se non il fautore) del famoso attacco speculativo del Soros Fund Management contro la sterlina nel 1992 e poi (a lungo) chief investment officer di tutta la baracca. “Uno degli uomini più brillanti di Wall Street” come l’ha recentemente descritto lo stesso The Donald: “rispettato da tutti”; “e anche un bel ragazzo” ha aggiunto.

Si chiama Scott Bessent ed è talmente fedele e coerente ai suoi principi che l’ultima avventura politica -prima di innamorarsi di The Donald – era stata quella (vissuta ormai oltre 20 anni fa) al fianco di Al Gore. Ed è forse proprio questo passato ad averlo fatto innamorare di Trump.

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Carlos X. Blanco: Alle porte della guerra finale

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Alle porte della guerra finale

di Carlos X. Blanco

la battaglia alle porte
in guerra e rivolta jpg 960x0 crop q85L’Europa si trova sull’orlo di una guerra devastante. Si chiudono le strade verso una soluzione negoziata, si arroccano i principali attori e si delineano scenari irreversibili.

La situazione nell’Europa occidentale è particolarmente tragica: quasi tutta la sua popolazione vive sotto una cupola di granito, come nella famosa grotta di Platone. Sottomessi alle “ombre” proiettate su di loro dagli strateghi della guerra psicologica e dalla propaganda ufficiale, gli europei non sono consapevoli dei piani che vengono elaborati in meno di cinque anni.

Quali piani? Si prevede un aumento del reclutamento obbligatorio in tutti i paesi, nonché un aumento significativo delle armi di tutti i tipi. È molto probabile che vengano effettuati investimenti nei campi di prigionia per ospitare i “nemici” (russi e russofili) e che vengano introdotte modifiche legislative volte a censurare le informazioni sulla guerra e la realtà riguardante la Federazione Russa.

La popolazione europea è stata indottrinata per molti decenni e la sua capacità di reazione è dubbia; Negli ultimi tempi si è verificata una combinazione di due processi che, nella terminologia del filosofo marxista Costanzo Preve, potrebbero essere descritti come segue:

  1. Imposizione della “globalizzazione”. A rigor di termini, questa parola non significa, come volevano i suoi mentori, la creazione simile a un crogiolo di un’unica civiltà mondiale, ma piuttosto l’imposizione del potere americano modo di vivere. Questa è la tesi di Preve che, alla luce degli eventi accaduti nel corso del XXI secolo, condivido pienamente.

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Annibale Tommasi: Il Nobel per l’economia consacra il complesso di superiorità dell’Occidente

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Il Nobel per l’economia consacra il complesso di superiorità dell’Occidente

di Annibale Tommasi

Il Nobel per l’economia di quest’anno è stato assegnato a Daron Acemoglu, James Robinson e Simon Johnson per il loro lavoro sul legame tra istituzioni politiche e crescita economica.

Per avere una panoramica generale del loro contributo accademico, si può fare riferimento al loro best-seller “Perché le nazioni falliscono” (“Why Nations Fail”), un caso editoriale del 2012 che riassume per il vasto pubblico vent’anni di attività scientifica dei suoi autori.

Il libro è scritto in maniera accattivante e propone una storia semplice quanto convincente – come del resto si addice a ogni narrazione ben scritta: la chiave del successo o del fallimento di una nazione risiede nelle sue istituzioni politiche ed economiche.

In particolare, gli autori sostengono che istituzioni politiche inclusive, che favoriscono la partecipazione della maggioranza della popolazione alla creazione di ricchezza, incentivando l’innovazione, gli investimenti e la crescita economica, garantiscono il successo di un Paese.

A queste vengono contrapposte le istituzioni politiche cosiddette estrattive, progettate per il beneficio di un’élite, limitando le opportunità per la maggioranza e frenando l’innovazione.

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Francesco Erspamer: Premio Nobel per l’economia 2024, l’esultanza della sinistra e l’esperimento di Pavlov

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Premio Nobel per l’economia 2024, l’esultanza della sinistra e l’esperimento di Pavlov

di Francesco Erspamer

La sinistra esulta per il premio Nobel per l’economia assegnato a tre studiosi per aver dimostrato che le differenze di reddito fra i vari paesi dipendono dalle loro istituzioni sociali. Ormai le basta il suono della parola «sociale» per eccitarsi e cominciare a salivare, come al cane di Pavlov bastava il campanello. Così manco si è accorta che ciò che i vincitori del Nobel chiamano «istituzione sociale» ha ben poco di istituzionale e di sociale e piuttosto assomiglia a una sorta di mano invisibile che genererebbe crescita e consumi (le uniche cose che per loro contano) attraverso l’affermazione e la pratica della libertà individuale e dell’innovazione fine a sé stessa; rinverdendo il mito, che credevo estinto, della classe creativa e delle magnifiche sorti e progressive da essa garantite, diffuso a inizio millennio dal «guru» Richard Florida. Per questo, per i tre premi Nobel, gli «inclusivi» e creativi Stati Uniti sono più prosperi della Cina (di cui qualche anno fa previdero la rapida decadenza) e la Nogales americana è più prospera della Nogales messicana.

Neppure insospettisce la suddetta sinistra che tutti e tre i ricercatori lavorino in America, precisamente al MIT e all’Università di Chicago, insieme a Harvard i bastioni del neocapitalismo impenitente.

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Nicolò Bellanca: Il sistema industriale italiano è meglio di quanto crediamo

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Il sistema industriale italiano è meglio di quanto crediamo

di Nicolò Bellanca

Un saggio di Alessandro Arrighetti, Sergio de Nardis e Fabrizio Traù fa luce sul falso mito di un sistema industriale italiano in panne

Il saggio intitolato “Il falso mito della manifattura inefficiente“ è un’importante analisi critica delle convinzioni dominanti sul sistema industriale italiano. Alessandro Arrighetti, Sergio de Nardis e Fabrizio Traù confutano l’idea che l’industria sia la principale responsabile delle debolezze economiche del paese. «Mentre è di piena evidenza che la società italiana sia stata caratterizzata da un periodo di generale impoverimento e da un forte aumento delle disuguaglianze, di cui porta tuttora le ferite, appare invece del tutto infondata la deduzione che vorrebbe far derivare questo fenomeno da un complesso di (crescenti) inadeguatezze del sistema industriale, e di quello manifatturiero in particolare – nel cui ambito spiccherebbero un’insufficiente competitività e soprattutto una strutturale incapacità di adeguamento dei processi produttivi agli sviluppi delle tecnologie “avanzate”». Piuttosto, la performance della manifattura italiana, quando correttamente misurata e interpretata, risulta notevolmente competitiva e spesso in linea con quella delle maggiori economie industrializzate.

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Prabhat Patnaik: La stagnazione dell’economia mondiale

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La stagnazione dell’economia mondiale

di Prabhat Patnaik – peoplesdemocracy.in

Il fatto che l’economia mondiale sia rallentata dopo la crisi finanziaria del 2008 è fuori discussione. In effetti, persino gli economisti conservatori statunitensi hanno iniziato a usare il termine “stagnazione secolare” per descrivere la situazione attuale (anche se danno una loro particolare definizione). Lo scopo della presente nota è quello di fornire alcuni dati sui tassi di crescita per stabilire questo particolare punto.

I calcoli del PIL, notoriamente inaffidabili per determinati Paesi, lo sono ancora di più per il mondo nel suo complesso. In India molti ricercatori hanno messo in discussione le stime ufficiali del tasso di crescita del PIL e hanno suggerito che questo tasso difficilmente ha superato il 4-4,5% annuo negli ultimi anni, a differenza del 7% circa indicato dalle statistiche ufficiali. L’esultanza per l’accelerazione della crescita del PIL nel periodo neoliberista rispetto a quello dirigista sembrerebbe del tutto fuori luogo; e se il tasso di crescita del PIL è cresciuto a malapena rispetto al passato, mentre le disuguaglianze sono aumentate in modo significativo, allora l’affermazione che la condizione dei lavoratori è peggiorata nel periodo neoliberista sarebbe ancora più solida, come è chiaramente dimostrato da altri indicatori come i dati sull’apporto nutrizionale. Ma nonostante l’incertezza dei dati, esaminiamo cosa è successo al PIL mondiale.

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