[SinistraInRete] Gianandrea Gaiani: I fronti ucraini, il summit dei BRICS in Russia e la “strategia dello struzzo”

Rassegna 30/10/2024

 

Gianandrea Gaiani: I fronti ucraini, il summit dei BRICS in Russia e la “strategia dello struzzo”

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I fronti ucraini, il summit dei BRICS in Russia e la “strategia dello struzzo”

di Gianandrea Gaiani

sputnik 8789844 preview.jpgIl vertice del BRICS tenutosi a Kazan (Russia) è stato ampiamente trascurato da molti media occidentali. Dopo il primo giorno di lavori non se ne trovava traccia sulle prime pagine di nessun grande quotidiano italiano e lo stesso approccio veniva evidenziato da qualche osservatore sulla stampa britannica. Il giorno successivo solo due quotidiani italiani hanno messo il summit in prima pagina ma solo per evidenziare le critiche alla presenza del segretario generale dell’ONU all’evento.

Un distacco mediatico che coincide in buona parte con quello (di facciata) della politica, forse non casuale, da abbinare alla scomparsa da prime pagine, TG e persino agenzie di stampa occidentali dei resoconti dai fronti ucraini dove si moltiplicano di giorno in giorno le avanzate russe e i centri abitati liberati od occupati (a seconda dei punti di vista) dalle truppe di Mosca.

Una “strategia dello struzzo” (dalla leggenda infondata che lo struzzo infili la testa nella sabbia per non vedere le minacce) che non ci risparmierà dall’impatto con la cruda realtà.

Fenomeno peraltro non nuovo: basti ricordare che la lunghissima battaglia di Bakhmut, a cui sono state dedicate migliaia di pagina per raccontare l’epica resistenza delle truppe di Kiev, è scomparsa dai giornali dopo la sua caduta in mano alle truppe russe del Gruppo Wagner nel maggio 2023 al punto che diversi giornali hanno accuratamente evitato per molti giorni persino di rendere noto il successo russo.

Anche la caduta di Avdiivka è stata ignorata, quella di Ugledar (o Vuhledar) ampiamente sminuita d’importanza: altre roccaforti probabilmente continueranno a cadere nel silenzio mediatico di Europa e Occidente, ovviamene con qualche bella eccezione.

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Alessandro Volpe: Critica e autocritica del progresso

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Critica e autocritica del progresso

di Alessandro Volpe

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È concepibile una situazione in cui la categoria di progresso perda il suo significato, e che tuttavia non sia la situazione della regressione universale che oggi si allea col progresso. In tal caso il progresso si trasformerebbe nella resistenza all’incessante pericolo della ricaduta. Il progresso è quest’opporre resistenza al pericolo su ogni gradino, non l’abbandonarsi al flusso globale del processo, non il lasciarsi andare in balìa della scalinata.

(Theodor W. Adorno, da Parole chiave. Modelli critici)

1. Critica e progresso

Negli ultimi anni il tema del progresso è tornato all’attenzione del dibattito filosofico, e non sono pochi oggi i contributi teorici a recuperare un’idea forte di progresso che non si limiti a pensarlo in termini di possibilità, ma anche di realtà fattuale. [1] Alcuni di questi contributi si rifanno all’idea di evoluzione morale o di incremento etico-politico in termini di conquiste istituzionali e giuridiche. Una ripresa teorica che si presenta curiosamente in controtendenza rispetto alla generale percezione di una crisi del progresso e di fiducia che sembra investire le società occidentali. Tuttavia, la rivalutazione di un concetto così esigente deve sapersi accompagnare a una consapevolezza delle sue eventuali distorsioni e dei suoi eventuali nodi problematici. Il dibattito che ha di recente animato la teoria critica intorno all’idea di progresso può senza dubbio aiutare ad accrescere tale consapevolezza.

Il punto di vista che la teoria critica può offrire è quello di un’analisi dei rapporti di potere relativi e spesso impliciti ai concetti e alle formazioni di pensiero; un’impresa teorica non meramente decostruttiva poiché interessata anche a illuminarne contenuti di riflessione ed emancipazione.

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Michele Prospero: Sul cosiddetto neo-togliattismo giuridico degli anni Settanta

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Sul cosiddetto neo-togliattismo giuridico degli anni Settanta

di Michele Prospero*

113240631 944b86e2 4f0b 4435 9e12
c9b59305f907.jpeg§1. Il marxismo italiano tra forma e teologia politica

Al culmine dell’età dei diritti, con le strategie di cittadinanza maturate nel cosiddetto secolo socialdemocratico, ci fu una significativa rinascita della riflessione politico-giuridica di ispirazione marxista in tutto l’Occidente. «La teoria giuridica nella tradizione marxista non dogmatica fu ripresa negli anni ’70. Di particolare importanza furono la raccolta di due volumi curata da Hubert Rottleutbner (1975) e Norbert Reich (1972), così come i numeri del 1971-73 di Critical Justice. Accanto a queste pubblicazioni, maturò una temporanea rinascita di una teoria giuridica di sinistra (all’epoca ancora chiamata marxista) riscontrabile nella Germania occidentale, nel dibattito francese, oltre che italiano e americano. Autori come Joachim Pereis, Norbert Reich, Wolfgang Abendroth, Thomas Blanke, Wolf Paul, Oskar Negt, Ulrich K. Preuß, Nicos Poulantzas, Burkhard Tuschling, Umberto Cerroni e Toni Negri o Monique Chemillier-Gendreau, Isaac D. Balbus e Sol Picciotto, o Franz Neumann e Otto Kirchheimer. Questi studiosi hanno mostrato un interesse particolare per l’attività dello Stato, i suoi margini di manovra e il suo potenziale di governo»1. Per quanto riguarda il panorama repubblicano degli anni Settanta, si assiste a una ripresa della elaborazione concettuale e, quanto agli approdi della ricerca, nel complesso «non mi sembra che nel dibattito giuridico italiano, sia pure latamente inteso, vi fossero stati, con la sola, significativa eccezione di Cerroni, dei precedenti degni di nota»2. Una spinta all’affinamento del lavoro critico sul diritto viene anche dalle esigenze della pratica politica. Lo stesso segretario del Pci Berlinguer sollecitava un contributo della teoria.

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Paolo Ferrero: Brics, il vertice di Kazan apre una speranza: ai popoli europei la necessità di coglierla

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Brics, il vertice di Kazan apre una speranza: ai popoli europei la necessità di coglierla

di Paolo Ferrero

Tra il 22 e il 24 ottobre, a Kazan in Russia, si è svolto il XVI Vertice dei Brics. Si tratta di un evento la cui importanza va al di là della cronaca perché rappresenta in modo plastico una tappa di un processo storico che sta cambiando, in meglio, la realtà del mondo. L’importanza del vertice è innanzitutto data dalle dimensioni: i paesi Brics insieme rappresentano circa il 45% della popolazione del pianeta e il 35% dell’economia mondiale.

I punti decisivi che voglio sottolineare però non sono quantitativi ma qualitativi.

Innanzitutto la postura dei Brics. Noi veniamo da un mondo unipolare in cui gli Stati Uniti hanno fatto il bello e cattivo tempo per vari decenni. I Brics pongono con chiarezza la necessità di superare questa situazione per arrivare a un mondo multipolare. Gli Stati Uniti per scongiurare il pericolo di perdere la loro posizione di dominio stanno determinando uno stato di guerra che cerca – per via militare – di impedire questa grande transizione da un mondo unipolare a un mondo multipolare. Di fronte a questa situazione di aggressione occidentale, il vertice di Kazan non ha dato vita a un blocco contrapposto a quello costituito dagli Usa. Ha esplicitamente affermato che l’appartenenza ai Brics è compatibile con l’appartenenza alla Nato e che non esistono obblighi di principio per i paesi che vogliano far parte dei Brics.

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Andrew Korybko: I BRICS contro gli USA in Africa

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I BRICS contro gli USA in Africa

di Andrew Korybko*

Questo fronte emergente della Nuova Guerra Fredda vedrà probabilmente l’Intesa sino-russa coordinarsi più strettamente contro l’Occidente guidato dagli Stati Uniti

L’Africa è sempre più presente nei dibattiti dei principali Paesi e organizzazioni a causa della sua crescente importanza negli affari globali. Le Nazioni Unite prevedono che più della metà della crescita demografica mondiale entro il 2050 si verificherà in questo continente, con il raddoppio del numero di persone nell’Africa subsahariana. Questo aprirà nuove opportunità di mercato e di lavoro, oltre a quelle già esistenti in termini di risorse che hanno già attirato l’interesse internazionale, ma porterà anche a sfide di sviluppo e umanitarie.

La Dichiarazione di Kazan, appena approvata durante l’ultimo vertice dei BRICS, parla di aiutare e potenziare l’Africa in questo periodo di trasformazione, ma questi Paesi – sia nel loro insieme, sia attraverso i mini-laterali, sia a livello bilaterale – dovranno inevitabilmente competere con gli Stati Uniti. La grande strategia di questi ultimi assume diverse forme che verranno brevemente descritte in questa analisi, ma nel complesso mira a ostacolare gli sforzi degli altri per trarre reciproco vantaggio da questi processi, sfruttando al contempo il più possibile l’Africa.

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Piccole Note: I Brics a Kazan

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I Brics a Kazan

di Piccole Note

I nuovi associati, la pace tra India e Cina, il dialogo tra Armenia e Azerbaigian: tanti gli spunti interessanti del vertice Brics, funestato dall’attentato in Turchia

Tanti gli aspetti di interesse del summit dei Brics in Russia (22-24 ottobre), non solo per quel che si è detto nei forum, ma anche per quanto accaduto ai margini. Riunione allargata, dal momento che ai Paesi fondatori (India, Cina, Russia, Brasile), ai quali si era aggiunto nel 2010 il Sudafrica, nell’occasione si sono associati anche Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti.

Al summit anche i Paesi che hanno inoltrato una richiesta formale di adesione e altri che hanno manifestato l’intenzione di entrarvi: 36 nazioni, rappresentate da Capi di Stato e ministri degli Esteri, oltre ai dirigenti di sei organismi internazionali.

 

I Brics e il Medio oriente

Controverso resta il caso dell’Arabia saudita, importante per il peso geopolitico di Riad: sembrava che avesse chiesto di entrare nel club, ma così non è. Resta, però, l’interesse, come dimostra la presenza del suo ministro degli Esteri. D’altronde, Riad sta subendo pressioni debite e indebite perché non faccia il passo, da cui la cautela.

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comidad: Le vere incognite nella vicenda Unifil

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Le vere incognite nella vicenda Unifil

di comidad

La magistratura è venuta ancora una volta in soccorso del governo Meloni, riproponendo al pubblico dei follower il consueto psicodramma delle “toghe rosse” che boicotterebbero la presunta “difesa dei confini”. In realtà la politica migratoria non è nelle effettive disponibilità di un governo, di qualsiasi colore esso sia; e a provarlo c’è lo stesso oggetto del contendere in questa circostanza, dato che il trasferimento di migranti al mitico “hub” in Albania riguardava una dozzina di persone. Il governo Meloni può comunque rivestire i panni della vittima nella pantomima dello scontro tra “destra” e “sinistra”. Il vittimismo è la vera ideologia del potere, per cui anche dei potenti di infimo grado come Meloni e soci si adeguano.

Purtroppo anche nei rituali della fintocrazia ogni tanto s’infila qualche guaio vero da cui districarsi, e allora tocca di discernere nello scemenzaio quelli che sono gli slogan del puro intrattenimento da quelli che servono invece a distrarre e prender tempo in attesa di capire cosa fare. Sul sito web dell’aedo governativo Nicola Porro c’è la plastica rappresentazione della dicotomia tra il riposo mentale all’ombra del tutto finto (come il copione annoso dello scontro tra politici e magistrati), e un caso in cui invece la finzione copre scenari di reale incertezza, neppure prospettati alla pubblica opinione.

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Domenico Moro: E’ ancora attuale la categoria di imperialismo e quali sono i paesi imperialisti?

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E’ ancora attuale la categoria di imperialismo e quali sono i paesi imperialisti?

di Domenico Moro

taller el imperialismoIl termine di imperialismo è associato ai più importanti imperi del passato come quello romano o quello persiano. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento il termine di imperialismo è stato ripreso per descrivere la nuova realtà mondiale, caratterizzata dalla formazione di diversi imperi facenti riferimento soprattutto agli stati dell’Europa occidentale. Per questo il periodo tra la seconda metà dell’Ottocento e il 1945, quando inizia la decolonizzazione, è stato definito l’età degli imperi. L’impero più vasto era quello britannico, seguito da quello francese, spagnolo, portoghese e olandese, che erano gli imperi più antichi. Tra gli ultimi Paesi a partecipare alla corsa alle colonie ci furono gli Stati Uniti, il Giappone, la Germania, il Belgio e l’Italia.

L’imperialismo moderno si differenzia da quello antico perché non rappresenta soltanto un espansionismo militare bensì un espansionismo in primo luogo economico, basato sulla conquista di territori da sfruttare e utilizzare economicamente, le colonie. L’imperialismo è una fase dello sviluppo del capitalismo, caratterizzando in modo peculiare l’economia dei Paesi imperialisti. Dal punto di vista globale l’imperialismo è un sistema basato sulla divisione tra un centro metropolitano, i Paesi imperialisti, e una periferia e una semiperiferia, entrambe sfruttate e oppresse dal centro.

Dal momento che dopo il 1945 è iniziato il processo di decolonizzazione e le ex colonie sono divenute stati indipendenti, si può parlare dell’esistenza di un imperialismo ancora oggi? Riteniamo di sì, ma con delle differenze. Quella di imperialismo rimane, quindi, una delle più importanti categorie di interpretazione della realtà. Per analizzare l’imperialismo attuale e definire le novità rispetto a quello della prima metà del Novecento dobbiamo partire da un testo che fu fondamentale nell’interpretazione dell’età degli imperi, “L’imperialismo. Fase suprema del capitalismo” di Lenin.

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Vincenzo Morvillo: Èidola: il crepuscolo degli idoli nel cyberspazio

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Èidola: il crepuscolo degli idoli nel cyberspazio

di Vincenzo Morvillo

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340x200.jpgQuando nel 1927 Werner Heisenberg formula il principio di indeterminazione – cardine teorico della meccanica quantistica – sancendo una radicale rottura rispetto alla meccanica classica, pone le basi di uno stravolgimento radicale nell’osservazione e nello studio non solo delle leggi della fisica ma anche, conseguentemente, della natura e della realtà stessa.

Il principio d’indeterminazione esprime infatti, com’è noto, l’impossibilità a priori di determinare con precisione illimitata i valori di due variabili incompatibili (quantità di moto e velocità di una particella) per cui l’osservatore dovrà scegliere quale misura privilegiare predisponendo gli strumenti di misura conseguenti. In altri e più semplici termini, equivale a dire che il soggetto osservatore cambia la realtà.

Da quel momento dunque la natura e le sue leggi, lungi dall’essere qualcosa di obiettivo e quindi da scoprire, diventano piuttosto condizionate dall’osservazione soggettiva di colui che ne fa oggetto di studio. Il che, forzando un po’ la mano, non è molto distante dall’affermare che sono una nostra invenzione.

Insomma, con il principio di indeterminazione Heisenberg insieme ad altri fisici – a partire dall’amico e collega Niels Bohr – elaborano quel probabilismo ontologico che, nelle posizioni della cosiddetta Interpretazione di Copenaghen, darà vita a quell’antirealismo scientifico che tanto influenzerà il ‘900 anche in altri e diversi campi di studio. Dalla filosofia all’arte, dalla letteratura alla psicoanalisi, dalla politica all’economia.

Una vera e propria svolta epistemologica, che elimina la nozione di certezza sostituendole quella di probabilità e in virtù della quale siamo costretti a ripensare il concetto di causa-effetto in termini diversi rispetto al senso riduttivamente deterministico tipico del meccanicismo newtoniano.

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Salvatore Bravo: L’indifferenza al tempo del capitale

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L’indifferenza al tempo del capitale

di Salvatore Bravo

scimmiette33.jpgIl relativismo frutto del capitalismo non è comparabile con i relativismi che hanno attraversato la storia umana. Il relativismo del nostro tempo ha una struttura profonda nella psiche, nell’emotività e nel corpo vissuto dei sudditi consapevoli o inconsapevoli del capitale, esso consiste nell’indifferenza. I relativismi del passato erano l’elaborazione collettiva delle verità organiche al potere, avevano una forte valenza politica ed etica. Il relativismo era il passaggio obbligato verso il riorientamento gestaltico. Nel nostro tempo il relativismo è “abitudine a vivere i propri personali desideri come verità assolute”. L’individualità ha automatizzato la dimensione del desiderio senza pensiero e senza autoriflessione.

Pensare è stabilire principi etici oggettivi. Non il bene-piacere da vivere nell’attimo fuggente, ma il concetto di bene razionalmente fondato con cui discernere il bene dal male, il capriccio dal desiderio autentico e i mezzi dai fini. Pensare è disalienarsi. Il tempo del capitale, dunque, inocula nella carne e nel sangue l’incapacità di “sentire il mondo” e di “scandalizzarsi dinanzi al dolore”. L’individualità ascolta solo i propri desideri, si erge a triste divinità terrestre di una mondo senza Eden. Il relativismo del capitalismo oblia il mondo e non lo riconosce. Le soggettività con i social e con l’abitudine a esibirsi sul gran palcoscenico del mondo non riconoscono l’alterità e vivono in uno stato di continua estranietà rispetto a se stesse e al contesto sociale. L’io narcisistico è dunque strutturalmente fragile, non ha profondità, per cui conduce una vita di superficie. Quest’ultima rafforza la pigrizia del pensiero e l’incapacità di gestire le tensioni capaci di donare “la forma” (i fini oggettivi) con cui progettare e disporsi in modo dialettico con il potere. L’io perennemente abbagliato dal capriccio, l’ultimo uomo nietzscheano in sintesi, si destruttura e gradualmente acquisisce un senso di onnipotenza: i desideri sono l’afrodisiaco quotidiano da ascoltare e che nessuno può giudicare.

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Alessandro Volpi: Elezioni Usa: esce la Cina, entrano i grandi fondi d’investimento

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Elezioni Usa: esce la Cina, entrano i grandi fondi d’investimento

di Alessandro Volpi

Il vincitore delle prossime elezioni americane sarà deciso dai rapporti con la Cina e con i grandi fondi d’investimento

Il vincitore o la vincitrice delle prossime elezioni americane dovrà fare i conti con alcuni elementi di fondo dell’economia statunitense. In primo luogo dovrà decidere come affrontare la questione del costante ingigantimento del debito federale, che ha superato i 36mila miliardi di dollari. Pari al 121% del Pil. E che cresce di mille miliardi di dollari ogni 60 giorni. Questa montagna di debiti, con cui il governo degli Stati Uniti finanzia una imponente spesa federale, è per circa il 70% collocata negli Stati Uniti. Qui hanno un ruolo rilevante fondi pensione, fondi di investimento e banche, attualmente nelle mani di pochissime società di gestione del risparmio.

La rimanente parte invece è venduta all’estero, con una percentuale importante in mano a un numero molto limitato di soggetti. A cominciare dal Giappone, con oltre 1.300 miliardi, seguito da Taiwan, Canada, Francia e India. Naturalmente, per finanziare questo debito così grande sono necessari tassi di interesse remunerativi. E questi dipendono in larga misura dalla prerogativa del Tesoro degli Stati Uniti di pagare simili interessi attraverso la dollarizzazione.

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Giuseppe Masala: Mentre i BRICS+ discutono a Kazan… l’Occidente prepara le prossime mosse

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Mentre i BRICS+ discutono a Kazan… l’Occidente prepara le prossime mosse

di Giuseppe Masala

Uno studio pubblicato dal Consiglio Atlantico indica le 7 mosse da intraprendere per rendere “possibile la caduta di Mosca”

Mentre gli occhi del mondo sono rivolti verso Kazan per osservare l’andamento del vertice dei BRICS+ e provare così a capire se e quando nascerà il “mondo nuovo” affrancato dalla tirannide occidentale, l’Occidente non rimane di certo con le mani in mano in attesa di abdicare al Nuovo Ordine.

Varie avvisaglie ci indicano che sono in corso nuovi step che alzeranno ulteriormente il livello del confronto tra Occidente e blocco euroasiatico (sostanzialmente Cina, Russia e Iran).

Innanzitutto colpiscono le cronache del vertice di Kazan che raccontano di un ambiente dove gli occidentali – pochi, per la verità – sono snobbati, dove l’inglese ostentatamente non è più usato come lingua franca e dove si ha chiara e netta la sensazione che i paesi del blocco euroasiatico ormai non torneranno più indietro sulla scelta di abbandonare l’Occidente al proprio destino.

Ma anche se si guarda al lato occidentale, si ha netta la sensazione che nessuno è intenzionato ad arrendersi.

Lo si capisce per esempio dalle ultime mosse del principale alleato degli USA all’interno dell’Unione Europea… Ironicamente ci stiamo riferendo ovviamente alla Polonia che, proprio ieri, ha annunciato la chiusura del consolato russo a Poznan accusando che da questa sede diplomatica russa sarebbe partito un piano di sabotaggio di una infrastruttura polacca.

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Ascanio Bernardeschi: Legge di bilancio. L’Italia alla canna del gas

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Legge di bilancio. L’Italia alla canna del gas

di Ascanio Bernardeschi

La manovra del governo somiglia in tutto e per tutto a quella dei governi precedenti, qualsiasi sia stato il loro colore: austerità, una tantum, un po’ di demagogia e aumento delle disparità. La novità è che le condizioni della nostra finanza pubblica sono degradate al punto che si deve “mangiare l’uovo in c. alla gallina”.

La legge di bilancio varata dal governo e in esame al Parlamento, al di là delle precedenti promesse e delle successive celebrazioni, si pone in continuità con le politiche economiche praticate negli ultimi decenni da tutti i governi: austerità, tagli di spesa, privatizzazioni, agevolazioni fiscali, così come è confermato il segno di classe delle precedenti manovre.

Fra le principali misure previste c’è la conferma del taglio del cuneo fiscale, che mira a ridurre il costo del lavoro per le imprese aumentando di poco il reddito netto dei lavoratori. Ma la riduzione delle entrate che ne consegue comporta la riduzione degli spazi di intervento pubblico e, a fronte dei miseri benefici, i lavoratori saranno costretti a rivolgersi di più al mercato per ottenere servizi sociali (scuola, trasporti pubblici, ecc.). Il guadagno per la classe dei capitalisti è invece triplice: si abbassa il costo del lavoro; il magro incremento della busta paga può essere utilizzato come un pretesto per non concedere aumenti contrattuali; si espandono le attività assoggettate alla logica capitalistica e che erano precedentemente organizzate in forma sociale.

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Fulvio Grimaldi: Noi per Sinwar, Sinwar per noi

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Noi per Sinwar, Sinwar per noi

Per il programma “Caleido” Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi

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Al centro del discorso è il martirio di Yahya Sinwar, eroe della Palestina e della lotta umana per la libertà e la dignità, alla faccia dei subumani, e relativa schiera di corifei, che, insieme a quel corpo, in rivolta anche nell’agonia, hanno provato a fare a pezzi anche la sua figura di irriducibile e invitto combattente. Ratti di fogna hanno voluto imbrattare l’immagine di un comandante in capo che, anziché dirigere la lotta dal sicuro del suo quartier generale, scende in campo armato, come un qualsiasi guerrigliero della Resistenza, e accetta lo scontro col nemico in prima persona. Ogni palestinese sa, da 80 anni, che la sua morte è vita per la propria gente e per l’umanità.

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