Rassegna 01/11/2024
Enrico Tomaselli: Sul filo del rasoio 2/2
Sul filo del rasoio 2/2
di Enrico Tomaselli
Se c’è una cosa fondamentale che va messa subito in chiaro, per quanto riguarda l’attuale fase del conflitto in Medio Oriente, è che – esattamente come per il conflitto in Ucraina – siamo di fronte a un conflitto radicale, in cui la dimensione spaziale (territori) è assolutamente secondaria, mentre a essere prevalente è la dimensione temporale (durata), e soprattutto che si tratta di un conflitto in cui gli obiettivi delle parti sono assolutamente inconciliabili. Questo significa che non esiste una possibilità intermedia tra vittoria e sconfitta, non c’è spazio alcuno per mediazioni e negoziazioni che puntino a stabilire una qualche pace duratura, e che anche solo opzioni tattiche, come dei cessate il fuoco temporanei, sono estremamente difficili. In entrambe i casi, si è superato un punto di non ritorno; e lo si è superato non nel corso delle due guerre, dove pure si registra una continua escalation, ma nel momento stesso in cui hanno preso avvio. Così come l’avvio dell’Operazione Speciale Militare, il 24 febbraio 2022, ha segnato (forse persino senza piena consapevolezza da ambo le parti) il passaggio a una fase di conflittualità irreversibile, altrettanto è stato per l’operazione Al Aqsa Flood, il 7 ottobre 2023.
Nello specifico, quanto si sta verificando nel teatro mediorientale – che al di là delle motivazioni peculiari è comunque parte a pieno titolo del confronto globale in atto – si presenta come uno scontro tra attori con posizioni assolutamente non conciliabili. La posta in gioco, infatti, è un completo ridisegno del quadro geopolitico regionale (che, come visto nella prima parte, si ripercuote ampiamente, anche ben oltre i paesi direttamente coinvolti) e che, a prescindere dagli esiti immediati del conflitto, presenta due sole possibili opzioni: o la distruzione dell’Asse della Resistenza, Iran compreso, con tutto quello che ciò comporterebbe (espulsione della Russia dal Medio Oriente, cancellazione definitiva dei progetti legati alla Nuova Via della Seta, crescenti minacce occidentali in Asia Centrale ed Africa), o viceversa espulsione di qualsiasi influenza regionale da parte americano-occidentale.
Vincenzo Barone: “Prima che sia tardi?” Storico militante per la Palestina di Milano sul perché (questa volta) non ha manifestato
“Prima che sia tardi?” Storico militante per la Palestina di Milano sul perché (questa volta) non ha manifestato
Patrizia Cecconi intervista Vincenzo Barone
La lettera aperta che uno storico amico del popolo palestinese, l’avvocato Vincenzo Barone di Milano, ha reso pubblica ha sollecitato il nostro interesse e per questo abbiamo deciso di intervistarlo. Vincenzo Barone ha partecipato alle 54 manifestazioni che ogni sabato si svolgono a Milano per chiedere la fine del genocidio a Gaza, ma al 55° sabato ha deciso di non partecipare e ne spiega il perché. A chi interessa solo il numero o l’opportuna etichetta che fa “audience” potrà sembrare bizzarro dedicare un’intervista a uno dei tanti militanti che non hanno mai amato mettersi in mostra, ma chi crede che la Storia, proprio quella con la S maiuscola, cresca su un prato composto di milioni di fili d’erba, il pensiero di un singolo militante, un “filo d’erba” di quel prato, ma pensante, impegnato e serio conoscitore, anche dall’interno, della questione palestinese, merita approfondimento e diffusione, così lo intervistiamo contando anche in una possibile riflessione sulle sue ragioni.
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D. Buongiorno Enzo, abbiamo letto la tua lettera di rifiuto al 55° appello che chiedeva di manifestare per la fine del genocidio a Gaza con la parola d’ordine “fuori l’Italia dalla guerra prima che sia troppo tardi”. Vuoi spiegare a chi ci legge il motivo del tuo rifiuto?
Questa decisione è maturata a seguito di una profonda, dolorosa analisi e mi amareggia, in virtù del rapporto che mi vanto di avere con il movimento pro-Palestina, aver deciso convintamente di disertare l’ultima manifestazione. Per questo ho reso pubblico il mio pensiero, sperando che da ciò consegua un riflessione collettiva. La Palestina è vittima sacrificale (e iniziale) di un processo di sgretolamento e allontanamento della popolazione indigena da parte dell’occupazione israeliana. È un progetto genocida le cui mire non si arresteranno a Gaza e Cisgiordania ma c’è motivo di credere, e ogni analista di geopolitica lo sa, che si allargherà a Libano, Siria, Iraq e una fetta del regno hashemita: un’idea omicida partorita un centinaio di anni fa e riscontrabile nelle documentazioni desecretate circa due decenni or sono.
Giovanna Baer: Il popolo di Trump
Il popolo di Trump
di Giovanna Baer
Chi è il popolo di Trump? 74 milioni di voti alle ultime presidenziali, 12 milioni in più del 2016: se Trump se n’è andato chi l’ha votato è ancora lì e più numeroso. Viaggio nei fattori decisivi per la scelta del voto, tra livello di scolarizzazione ed ‘etnicizzazione‘ della working class
Nonostante la sconfitta elettorale nelle presidenziali del 3 novembre scorso, l’America non ha abbandonato Trump: The Donald ha ottenuto 74 milioni di voti, 12 milioni in più del 2016 – il che fa di lui il candidato più votato nella storia americana, Joe Biden a parte. Il presidente uscente è riuscito a convincere più del 70% dei suoi elettori (1) che la presidenza gli sia stata sottratta con la frode, e le sue truppe hanno lottato con lui in tribunale, sui media e per le strade fino alla fine, quel 6 gennaio in cui fedelissimi sostenitori hanno preso d’assalto Capitol Hill per impedire che il Congresso ne certificasse la sconfitta. Durante la transition molto si è parlato del rifiuto di Trump di concedere la vittoria, della sua dipendenza dai social media, del suo equilibrio mentale sempre più in bilico, della nuova procedura di impeachement a seguito dei fatti del 6 gennaio, dell’America spaccata in due; ma quasi nessuno si è interrogato sul perché una metà degli americani continui a sostenerlo nel bene e nel male, contro ogni previsione e, a volte, anche contro il proprio interesse.
Dai dati finora disponibili (che non comprendono, purtroppo, un’analisi del voto postale, il cui peso, in questi tempi pandemici, è stato tutt’altro che marginale), le presidenziali del 2020 hanno finito per assomigliare molto a quelle del 2016, in palese controtendenza rispetto ai sondaggi pre-elettorali, tutti solidamente pro Biden. Lo conferma Charles H. Stewart, direttore e fondatore del MIT’s Election Data and Science Lab (2): “Ci sono stati lievi cambiamenti, ma […] molto meno drammatici di quanto ci hanno fatto credere i sondaggi. Semmai, alcune tendenze si sono rafforzate, come la prevalenza del voto Dem fra l’elettorato under 30. In tutti gli altri gruppi di età (30-44, 45-64, 65 e oltre) il divario fra i due contendenti è stato abbastanza ridotto”.
Fabio Mini: Kiev non può vincere”: ora lo dice anche il regno unito
Kiev non può vincere”: ora lo dice anche il regno unito
di Fabio Mini*
Frank Ledwidge, l’ufficiale e consigliere della missione inglese in Afghanistan dopo due anni di “lealtà” a Zelensky ammette: “Non resta che pianificare il dopo”
Non sorprende che in Italia non giungano notizie sulla reale situazione della guerra in Ucraina. E nemmeno che quelle che arrivano siano drammaticamente false. Tanto false che nemmeno gli ucraini ci credono più. È invece una sorpresa leggere le riflessioni di Frank Ledwidge, lo stimato analista britannico da sempre schierato con l’Ucraina e le forze armate britanniche che di essa hanno fatto il proprio campo di battaglia istigando e organizzando tutte le operazioni più spregiudicate e aggressive di Kiev.
Ledwidge, dopo aver esercitato per otto anni come avvocato penalista a Liverpool, ha prestato servizio per 15 anni come ufficiale della riserva navale acquisendo una vasta esperienza operativa. Ha lavorato per un decennio nei Balcani e nell’Est europeo per la tutela dei diritti umani a livello internazionale e la riforma del diritto penale. È stato primo “consigliere giuridico” della missione britannica nella provincia di Helmand (Afghanistan) nel 2007-2008 e ha svolto un ruolo analogo presso l’ambasciata britannica in Libia durante e dopo la guerra (2011-12). Ha lavorato anche in Ucraina durante il conflitto in corso. È autore di diversi libri, tra cui il best-seller Perdere le piccole guerre. Attualmente insegna presso la base RAF Halton come parte del team dell’Università di Portsmouth.
Infoaut: Gli Stati Uniti verso le elezioni: guerre e guerra civile
Gli Stati Uniti verso le elezioni: guerre e guerra civile
di Infoaut
Manca poco più di una settimana alle elezioni negli Stati Uniti e nonostante i pronostici regna l’incertezza
Guerre e guerra civile, le istituzioni USA continuano a essere intrappolate tra due fuochi che si alimentano a vicenda: da un lato il crepuscolo del gendarme del mondo (gli avversari vedono spazi di possibilità, gli alleati sono sempre meno subordinati e giocano partite proprie, Europa in crisi di nervi esclusa), dall’altro la polarizzazione interna che non cessa di manifestarsi, tra attentati, conflitti sociali e tentazioni secessioniste.
Riavvolgiamo rapidamente il nastro. La crisi del 2008, Obama, l’elezione di Trump, i fatti di Capitol Hill, il ritiro frettoloso dall’Afghanistan, la guerra russo-ucraina, l’esplosione dell’inflazione e il genocidio di Gaza: è questa la sequenza storica in cui si inseriscono le prossime elezioni statunitensi. Le contraddizioni si moltiplicano senza sosta in un turbinio di crisi che si influenzano a vicenda.
Il Partito Democratico prova a riproporre la ricetta dell’Hope obamiano con Kamala Harris, ma i tempi sono cambiati e ogni residua speranza di un futuro prospero al di fuori della polarizzazione è impalpabile. Il trumpismo, invece di cadere in disgrazia tra scandali giudiziari e violenze, non solo rappresenta ancora il sentire di una parte significativa degli USA, ma attira a sé parti significative dell’establishment a stelle e strisce.
Annibale Tommasi: L’attentato dimenticato: che fine hanno fatto le indagini sul gasdotto NordStream?
L’attentato dimenticato: che fine hanno fatto le indagini sul gasdotto NordStream?
di Annibale Tommasi
Nonostante la lotta contro il terrorismo internazionale sia considerata priorità assoluta dai paesi occidentali, la distruzione dei gasdotti Nord Stream a opera di ignoti sembra essere finita in un punto morto, grazie alla mancanza di slancio (per usare un eufemismo) delle procure europee. Visibilmente imbarazzate, le autorità politiche e giudiziarie di vari paesi europei cercano di sviare la questione, e per una buona ragione: dopo due anni di indagini, le piste conducono non al Cremlino, ma a Kiev, Washington e Varsavia…
Il 26 settembre 2022 una serie di esplosioni hanno gravemente danneggiato il gasdotto Nord Stream, che collega la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico. Questi eventi hanno causato delle perdite importanti nel gasdotto, sia nel Nord Stream 1 (che già era chiuso da Mosca) sia nel Nord Stream 2 (mai entrato in funzione a causa delle sanzioni). Le autorità hanno presto sospettato che le esplosioni fossero state causate da un atto di sabotaggio deliberato, sebbene l’origine e i responsabili non siano mai stati definitivamente accertati.
Le esplosioni del Nord Stream hanno avuto un impatto significativo sui paesi europei, sia in termini di sicurezza energetica sia di strategia geopolitica ed economica. L’interruzione del Nord Stream ha aggravato la crisi energetica in Europa, causando una volatilità estrema nei prezzi del gas naturale. Nel 2022, i prezzi hanno raggiunto livelli record, esercitando pressione sulle famiglie e sulle imprese.
Salvatore Bravo: Trent’anni possono bastare
Trent’anni possono bastare
di Salvatore Bravo
La verità ci viene incontro in modo banale. In una trasmissione RAI in presenza di una serie di nomi noti e meno noti della politica si discuteva della nuova finanziaria. La giornalista ha mostrato una breve sequenza di interviste sul tema delle pensioni. Gli intervistati romani con forte accento, il popolo, dinanzi al nodo pensioni sentenziava verità del quotidiano che i cittadini ordinari vivono nella carne in ogni ora della loro esistenza lavorativa. Sono le verità che quotidianamente sono rimosse dalla politica “stile Versailles”, esse sono oggetto di disprezzo perché “populiste”. Uno degli intervistati affermava:
“ Trent’anni di sfruttamento possono bastare”.
Le altre dichiarazioni erano dello stesso tono, egualmente vere, un’altra affermava:
“Non bisogna andare troppo tardi in pensione, altrimenti non si vive”.
I politici presenti in sala non hanno commentato le affermazioni, le hanno cassate immediatamente. Nessuna riforma delle pensioni, perché i numeri non permettono. Dunque da una parte il popolo rappresentato come sognante e fuori della realtà, ma destinato a viverla duramente e lungamente se fortunato, dall’altra parte la “politica Versailles dei privilegi e degli scandali “rosa-porno” che utilizza i conti per tacitare il populismo e l’ignoranza dei sudditi.
Nico Maccentelli: Il nuovo autoritarismo
Il nuovo autoritarismo
di Nico Maccentelli
In questi ultimi mesi si è visto di tutto in fatto di violazioni dell’art. 21 sulla libertà d’espressione. Lo sappiamo bene noi a Bologna, quando il sindaco PD, Matteo Lepore, ha esercitato pressioni indebite definibile censura, sulle attività di ben due case di quartiere: Villa Paradiso e la Casa della Pace, con il divieto a proiettare due film definiti “putiniani”. In particolare PD e +Europa sono stati molto attivi in questa attività censoria che va ben oltre la diffamazione, poiché dare del putiniano a destra e a manca a chiunque voglia accedere a fonti informative che non siano quella ufficiali è lo “sport ufficiale” di chi ha sposato la linea guerrafondaia della NATO e della classe dirigente ucraina, che sta usando la popolazione come carne da macello per reggere la pacca fino alle presidenziali USA e oltre, mantenendo un regime banderista, dunque filo-nazista, che ha soppresso i più elememtari diritti politici, religiosi e civili.Ma il grottesco lo ha raggiunto l’on. PD Debora Serracchiani con la sua interrogazione ai ministri Piantedosi e Tajani circa la pubblicazione di manifesti come li vedete nel post della onorevole e che come potete constatare non hanno nulla di filo-putiniano nel loro essere un appello alla pace e a non considerare nemico né un popolo, né una nazione.
Se la Serracchiani avesse un minimo di conoscenza delle cose saprebbe che l’Italia non è in guerra con la Russia. Così come se avesse un minimo di cognizione in fatto di democrazia, si renderebbe conto che in Italia, fino a prova contraria, c’è il diritto di manifestare il proprio pensiero.
Se poi prendiamo i contenuti di detto manifesto: «vogliamo la pace, ripudiamo la guerra» (art. 11 della Costituzione Italiana), non pare proprio che tale manifesto inneggi ad alcuna guerra, al contrario, rivendica uno degli articoli fondamentali della nostra Carta Repubblicana.
Sébastien Navarro: Fine della megamacchina, un libro di Fabian Scheidler
Fine della megamacchina, un libro di Fabian Scheidler
di Sébastien Navarro
Dal n. 7 di “Collegamenti” (autunno 2024) riportiamo questa recensione di Sébastien NAVARRO al libro di Fabian Scheidler, “La fine della megamacchina. Storia di una civiltà sull’orlo del collasso”. Trad: Gaia D’Elia, Castelvecchi, 2024, 396 p., brossura, EAN: 9788868266622
Ricordo di aver sfogliato le pagine con le mani umide, il terrore, l’impossibilità di prendere la vera misura di ciò che stavo leggendo. Quanti anni ho? Forse venti. È tardi per aprirsi alla politica ma vengo da un ambiente in cui mi è stato trasmesso ben poco. La mia “presa di coscienza” avviene quando sono oramai un giovane adulto. Ho ingoiato chilometri di letture, sperando di recuperare un arretrato che non recupererò mai. Ho letto Le vene aperte dell’America Latina di Eduardo Galeano (1940-2015) e non ricordo come questo libro sia finito nelle mie mani. Quello che so è che leggerlo mi toglie il fiato. L’entità dei massacri e dei saccheggi nel continente sudamericano è così vasta da stordirmi. “La storia è un profeta che guarda all’indietro: partendo da ciò che è stato e in opposizione a ciò che è stato, annuncia ciò che accadrà”, scrive Galeano. Pochi paragrafi dopo, l’uruguaiano riassume un lungo continuum storico: “I conquistadores sulle loro caravelle e i tecnocrati in jet, Hernán Cortés e i marines nordamericani, i corregidores del regno e le missioni del Fondo Monetario Internazionale, i mercanti di schiavi con i profitti della General Motors”.
Galeano scriveva queste righe alla fine degli anni Sessanta. Mezzo secolo dopo, il drammaturgo e saggista tedesco Fabian Scheidler scrive nella sua introduzione a La fine della megamacchina: “Il processo di espansione iniziato in Europa cinque secoli fa si è rivelato una storia che, per la maggior parte dell’umanità, è stata immediatamente sinonimo di deportazione, impoverimento, violenza di massa – persino genocidio – e saccheggio di territori. Questa violenza non è finita. Non è una malattia infantile del sistema, ma una sua componente strutturale e duratura. La distruzione delle condizioni di vita di centinaia di milioni di esseri umani a causa del peggioramento del cambiamento climatico ce lo ricorda oggi.
Salvatore Bravo: Pensare il proprio tempo. Emmanuel Todd
Pensare il proprio tempo. Emmanuel Todd
di Salvatore Bravo
Per poter ricostruire la possibilità di un progetto comune è necessario decodificare in profondità le cause della decadenza occidentale, e in particolare europea, che sembra inarrestabile. Non si tratta di mettere in atto una giaculatoria dagli esiti infausti, ma di liberarsi dalle sovrastrutture pregiudiziali che impediscono di cogliere la “verità storica” e di pensarla. Emmanuel Todd, bisogna riconoscerlo, ha avuto il coraggio etico nella sua analisi sulla sconfitta dell’Occidente di individuare una delle macro cause all’origine della disintegrazione europea. Ogni civiltà è viva e creante, se ha una identità dialettica. L’identità è il collante valoriale che consente di organizzarsi intorno ad assi assiologici e politici. L’identità non è un monolite, ma è tale se contempla al suo interno opposizioni, resistenze e alternative con le quali ci si raffronta. L’identità dev’essere sottoposta a una continua revisione razionale nello spazio pubblico della politica. L’Occidente ha raso al suolo, e non solo in senso metaforico, ogni identità e ogni modello etico. La liberazione da ogni “da”, è oggi nichilismo realizzato. Solo il mercato con le sue oscillazioni domina; la legge del più forte ha instaurato il più feroce degli individualismi capace di attuare solo i personali interessi economici immediati. Tale logica trasversale a ogni classe sociale rende l’Occidente incapace di comprendere le identità e ciò lo espone al disastro e alla sconfitta. Le azioni militari non valutano la variabile identità, ma si limitano a misurare i soli rapporti di forza quantitativi, per cui la sconfitta è sempre dietro l’angolo. L’identità dona forza plastica e dinamicità; l’Occidente mutilo dell’identità, ne ha un vero terrore-orrore e finisce per calcolare le contrapposizioni secondo paradigmi militari e di forza. Si dilegua, così, la componente motivazionale e spirituale che rende un sistema attivo.
Emiliano Brancaccio: “Manovra nel segno dell’austerity. Più severa di quanto lo chieda l’Ue”
“Manovra nel segno dell’austerity. Più severa di quanto lo chieda l’Ue”
Raffaella Malito intervista Emiliano Brancaccio
Per i’economista Brancaccio “il sistema sanitario è sotto il continuo attacco di chi vuole spostare risorse pubbliche verso i privati”.
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Emiliano Brancaccio, professore di Politica economica presso l’Università degli studi del Sannio, come giudica questa terza legge di Bilancio del governo Meloni? Si va verso l’espansione o verso la stretta di bilancio?
“Il nuovo Regolamento UE e la Commissione europea pretendono un sostanziale ritorno alla politica di austerity. Anziché cercare vie per attenuare questa svolta, il governo italiano l’ha accentuata. La stretta di bilancio è anche più impetuosa di quanto fosse stato chiesto dalle istituzioni europee”.
Alcuni commentatori sostengono che questa dose aggiuntiva di “disciplina fiscale” sta contribuendo a ridurre lo spread sui tassi d’interesse, il che dovrebbe migliorare i conti pubblici.
“E’ la fiaba della cosiddetta ‘austerità espansiva’, che è stata più volte smentita dai fatti. La verità è che non esiste evidenza scientifica di legami tra queste variazioni del bilancio e lo spread sui tassi d’interesse, che dipende da fattori ben più complessi, tra cui l’orientamento generale della BCE”.
Leonardo Sinigaglia: NATO e Israele: due facce dello stesso carnefice
NATO e Israele: due facce dello stesso carnefice
di Leonardo Sinigaglia
A Milano per la giornata di sabato 26 ottobre è stata convocata una manifestazione che unisce la condanna del regime sionista a quella della guerra per procura scatenata dalla NATO in Ucraina
Uno dei più grandi limiti del movimento “pro-Palestina” cresciuto in Occidente nell’ultimo anno è stato quello di avere una visione limitata alla sola Gaza, ignorando come quel fronte fosse connesso al più ampio scacchiere regionale, che vede Libano, Yemen, Iran e Iraq impegnate a diverso titolo nella guerra contro l’entità sionista, oltre che allo scontro globale in atto tra le forze dell’unipolarismo egemonico statunitense e i suoi oppositori. Il collegamento tra la Palestina e l’Ucraina, se espresso, è stato spesso fondato su un generico pacifismo, privo di ogni appropriata lettura politica. Finalmente, a poco più di un anno dal sette ottobre che ha segnato l’inizio di una nuova fase nella lotta per la liberazione della Palestina, vi sono buoni segnali a tal proposito.
A Milano per la giornata di sabato 26 ottobre è stata convocata una manifestazione che unisce la condanna del regime sionista a quella della guerra per procura scatenata dalla NATO in Ucraina.
Fulvio Grimaldi: 1) Elezioni in Germania-Austria: ma chi sono i nazi? 2) Ma i curdi (a) chi servono? 3) Ma USA o BRICS?
1) Elezioni in Germania-Austria: ma chi sono i nazi? 2) Ma i curdi (a) chi servono? 3) Ma USA o BRICS?
“Spunti di riflessione”
Paolo Arigotti conversa con Fulvio Grimaldi
Il ringhio del bassotto: o USA o BRICS (con Fulvio Grimaldi)
Se fosse una partita di pallacanestro direi che è finita con qualcosa come 89 a 23. A calcio sarebbe stato una goleada. A tennis due set a zero. Come dire Sinner contro il numero 140 del ranking mondiale.
Parlo del confronto, da remoto, ma giocato sulla nostra pelle e sul nostro futuro, tra gli USA in preda a delirio pseudodemocratico elettorale, finalizzato in un modo o nell’altro a farli sopravvivere finché la barca (la guerra) va, e i BRICS riuniti a Kazan (Russia!). Questi ultimi, che stanno diventando i primi, erano in 32 (quanti quelli della NATO, ma dieci volte più grossi), di cui cinque fondatori, cinque nuovi arrivati e tutti gli altri a bussare alla porta di casa.
Dall’altra parte si digrignavano i denti sporchi di sangue arabo alla prospettiva di non contare più nulla, se non in un deserto di ossa calcinate, come sarà quello su cui si accaniscono a Gaza. Non gli resta altro che quello come risposta a un mondo che rappresenta più o meno la sua metà in termini di territorio, popolazione, PIL ed energia.
Sebastiano Taccola: Il «nuovo» Capitale: una teoria in costruzione
Il «nuovo» Capitale: una teoria in costruzione
di Sebastiano Taccola
La nuova edizione dell’opera di Marx, curata da Roberto Fineschi, rafforza il carattere rivoluzionario di uno studio che illustra la processualità capitalistica e il metodo per studiarla e contrastarla
Nel momento in cui sono proliferate le recensioni della nuova edizione einaudiana del primo libro del Capitale su testate giornalistiche inaspettate (La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Riformista, Il Sole 24 ore, L’Avvenire, tra le altre) in chi scrive si è profilata l’ipotesi che il metodo socratico e la sua capacità di cogliere nel linguaggio dell’agorà delle spie del sapere e dell’ideologia della polis potesse servire, si parva licet, da canone interpretativo interessante e produttivo anche in questo caso.
Secondo la splendida ricostruzione corale e teatrale che ne ha dato Platone, il metodo socratico ha una serie di effetti teoricamente significativi:
1) la ricerca sull’essenza degli oggetti del sapere si sviluppa in maniera dialettica e critica;
2) critica non perché basata su una dismissione strumentale ed esteriore delle posizioni altrui, ma su una critica immanente che mette in luce gli aspetti unilaterali e arbitrari di queste;
3) il che significa che la verità non è qualcosa di puntuale né, tanto meno, di personale, ma è il risultato di uno sforzo collettivo e dialogico, che prova a superare l’arbitrio dei molti punti di vista individuali;