Rassegna 03/11/2024
Patrick Lawrence: Israele e il potere totalizzante
Israele e il potere totalizzante
di Patrick Lawrence
l’AntiDiplomatico ha il piacere di pubblicare il terzo articolo in esclusiva del grande giornalista statunitense Patrick Lawrence. Corrispondente pluripremiato per the International Herald Tribune per diversi anni, Lawrence ha appena pubblicato il suo ultimo libro Journalists and Their Shadows con Clarity Press. Per l’AntiDiplomatico è motivo di grande orgoglio ed emozione avere la possibilità di entrare dentro l’Impero statunitense con una delle migliori penne al mondo per farlo (A.B.)
“La mera finzione è sufficiente nel nostro mondo post-7 ottobre. Si preferisce, proprio come osservava la Arendt ne Le origini del totalitarismo, che le persone sottoposte a una propaganda incessante arrivino a preferire l’inganno”
In un memorandum del Dipartimento di Stato dal titolo “Review of Current Trends” e contrassegnato come “Top Secret”, George F. Kennan rifletteva sulla situazione degli Stati Uniti al 24 febbraio 1948. La data presente sul rapporto. Le vittorie del 1945 erano passate da tre anni e gli Stati Uniti si ritrovavano improvvisamente a essere una potenza globale. Come sintetizzava magistralmente qualche anno dopo Luigi Barzini, noto giornalista italiano, in Gli americani sono soli al mondo (Random House, 1953), gli statunitensi erano “tanto nervosi e incerti, quanto potenti.”
Divenuto il più celebre diplomatico americano durante i decenni della Guerra Fredda, Kennan è oggi ricordato come l’architetto della politica di “contenimento” di Washington. Riportiamo di seguito un breve, illuminante, passaggio della sua visione del dopoguerra:
Abbiamo circa il 50% della ricchezza del mondo, ma solo il 6,3% della sua popolazione… Il nostro vero compito da oggi è quello di concepire un modello di relazioni che ci permetta di mantenere questa posizione di disparità senza che la nostra sicurezza nazionale ne risenta. Per farlo, dovremo fare a meno di ogni sentimentalismo e di ogni sogno a occhi aperti… Non dobbiamo illuderci di poterci permettere oggi il lusso dell’altruismo o di divenire il benefattore mondiale.
Più avanti nel suo scritto Kennan ipotizzava:
Nicola Melloni: Votare contro il cattivo di turno
Votare contro il cattivo di turno
di Nicola Melloni
Le elezioni presidenziali Usa sono l’ultimo esempio della tendenza alle urne degli ultimi anni: scegliere il meno peggio. Ma siamo sicuri che serva davvero a sventare il pericolo delle destre?
Con le elezioni statunitensi che si avvicinano, torna centrale il dibattito sul cosiddetto voto per il meno peggio – che prevede di votare Kamala Harris per cercare di fermare il pericolo rappresentato da Donald Trump. Nulla di nuovo, in Italia siamo abituati almeno dal 1994 e dal voto «contro» Berlusconi e raramente «a favore» dell’altra coalizione – anche se in verità già Indro Montanelli invitava a votare la Democrazia cristiana «turandosi il naso» per fermare un altro pericolo, quello comunista.
La logica del meno peggio è particolarmente importante in periodi di polarizzazione e grande tensione politica, quando chi abbiamo davanti non è solo un avversario ma un nemico che mette a rischio l’esistenza stessa della democrazia. Ecco allora che davanti a un rischio del genere, l’unica cosa da fare è un «fronte comune», il cui collante è la difesa della libertà, e la lotta contro fascismo, razzismo, intolleranza. Un compito nobile, il cui costo è però, spesso, la rinuncia a un programma politico coerente o che parli ai bisogni concreti delle persone. La situazione è poi esasperata da sistemi politici bi-partitici o bi-polari, dove la vittoria dell’uno è la sconfitta dell’altro.
Se da una parte, dunque, la sconfitta dell’altro è la determinante principale del voto, dall’altra la politica attuale sembra esistere solo intorno alla vittoria elettorale, che par quasi esser diventato l’unico mezzo per far politica, spesso dimenticando il ruolo chiave che le opposizioni dovrebbero giocare nella polis democratica. Ci viene spesso ripetuto che solo al governo si possono cambiare le cose, anche se «cosa» cambiare rimane spesso molto vago. Ed è la sinistra che viene costantemente chiamata a baciare il rospo, per ovvi motivi.
Fosco Giannini: Comunisti/e: forma-partito, Il rapporto tra democrazia interna e progetto rivoluzionario
Comunisti/e: forma-partito, Il rapporto tra democrazia interna e progetto rivoluzionario
di Fosco Giannini*
Nell’affrontare la questione della forma-partito comunista, il primo nodo da sciogliere è proprio quello legato alla “questione del partito”. Assistiamo ormai da decenni, in Italia ma non solo, a un attacco forsennato alla forma-partito in quanto tale. Tant’è che, sulla scorta di questo attacco proveniente dai media mainstream e dunque dalla cultura dominante borghese, non poche formazioni politiche italiane apparse negli ultimi decenni hanno preventivamente rinunciato al termine partito (dalla Lega a Potere al Popolo, passando per il Movimento 5 Stelle) nella speranza che, sbarazzatisi di questo termine reso “inadeguato e pesante” dall’aggressività ideologica del capitale, tutto poteva essere più facile e più vicina la possibilità di stabilire legami più forti con le masse, con l’elettorato, con il popolo, attraverso una visione delle cose che scadeva, appunto, in un populismo più o meno consapevole proprio a partire dalla scelta di rimuovere la parola “partito”, prima tappa, spesso, di uno scivolamento politico verso inclinazioni populiste che tanto hanno caratterizzato la Lega quanto il M5S di Beppe Grillo. Cancellare il termine “partito” ha voluto dire aderire innanzitutto al quel senso comune di massa, per tanta parte costruito ad arte dalla classe dominante attraverso i suoi portavoce mediatici, che vedeva e tuttora vede (certo, anche per colpa delle varie formazioni partitiche e della loro quasi totale genuflessione agli interessi del capitale) nei partiti la sede primaria della corruzione e dell’“occupazione dello Stato”, in una visione, ecco perché populista, svuotata da ogni coscienza di classe e incline ad addossare tutta la colpa dello sfruttamento oggettivo e sempre più pesante dei lavoratori non più alle contraddizioni di classe e all’attacco di classe padronale, ma “al sistema dei partiti”, alla “partitocrazia” e, dunque, alla stessa forma-partito.
Piccole Note: Usa: a una settimana dal voto
Usa: a una settimana dal voto
di Piccole Note
Tanta incertezza mentre è iniziato il voto postale. I media meno schierati con il partito democratico rispetto alle precedenti elezioni. E le prospettive sulla politica estera
Nel parlare di elezioni Usa è d’uso dare notizia dei sondaggi, nonostante questi non dicano nulla di significativo, dal momento che vanno da un vantaggio minimale della Harris fino a un trionfo di Trump.
Per non parlare dei sondaggi relativi agli Stati chiave, quelli nei quali si dovrebbe decidere il vincitore, ancora meno indicativi perché la vittoria in questi Stati potrebbe essere decisa da qualche singola contea, se uno dei candidati vi prendesse il 90% dei voti (come accaduto per alcune contee della Georgia nelle votazioni pregresse).
Il voto postale
L’unico dato certo finora è che i sondaggi pro Harris sono meno forti di quelli che avevano anticipato la vittoria di Biden e che tra le fila del partito al governo circola molto nervosismo. Lo rileva anche Axios, sito mainstream, che riferisce di come alcuni senatori democratici, chiamati a difendere il loro scranno nel voto che si svolgerà in concomitanza con le presidenziali, abbiano modulato la loro campagna elettorale in stile bipartisan, associandosi in parte a Trump; non si sa mai.
Fulvio Grimaldi: Con i Brics a Kazan cambia il mondo – Moldavia e Georgia, sotto a chi tocca – Italia, guerra per bande
Con i Brics a Kazan cambia il mondo – Moldavia e Georgia, sotto a chi tocca – Italia, guerra per bande
di Fulvio Grimaldi
Fatti, delitti, lotte di oggi alla luce del passato e nelle prospettive del futuro
Cosa è successo davvero quando l’Iran ha bombardato Israele e quando Israele ha contraccambiato sull’Iran? Ah saperlo!
Miei interventi:
In “Spunti di riflessione” di Paolo Arigotti: “Il ringhio del bassotto” https://youtu.be/wAEtLXpjKl0
In “Caleido” di Francesco Capo, “Kermesse e Sconvolgimenti” https://www.youtube.com/watch?v=dspj3Yvst7s
In “Mondocane…punto” https://www.quiradiolondra.tv/live/ questa sera alle 20.00
Incominciamo col dire chi ha cominciato, come fa l’insegnante quando entra in classe e trova devastazione e due ragazzini con ammaccature? Che qui il sistema è quello dell’occultamento dei precedenti, così uno si sofferma sull’ultimo evento e non gli si fa capire da cosa è derivato, in che cosa è radicato. E’ il trucco padronale dell’annientamento della memoria e, dunque, della Storia. Storia che per chi la conosce e interpreta, è proprio maestra.
David Insaidi: Vertice di Kazan, un evento epocale, quindi… irrilevante
Vertice di Kazan, un evento epocale, quindi… irrilevante
di David Insaidi
Capita spesso che per acquisire un’informazione veramente importante non basta leggere ciò che viene riportato da una determinata fonte, ma occorre far caso a ciò che NON viene detto.
La notizia del Vertice BRICS+ di Kazan – il sedicesimo – ha avuto un risalto talmente scarso nei paesi occidentali, che sbirciando i siti dei principali quotidiani, sia italiani che stranieri (inglesi, francesi, tedeschi, spagnoli e statunitensi) la si trova a fatica, per lo più in fondo, dopo lungo smanettamento, nascosta in mezzo a una lunga serie di articoli secondari. Eppure si tratta di un evento a dir poco epocale e che sembra destinato a cambiare molte cose nel futuro del mondo.
La spiegazione di tale semi-occultamento è da ricercarsi innanzitutto nel fatto che tale consesso ha rappresentato un’evidente testimonianza del fatto che la Russia (dove tra l’altro è situata la città di Kazan), contrariamente alla narrazione dei paesi europei e statunitensi, è tutt’altro che isolata. Lo smacco nel vedere i leader di paesi popolosi e di crescente importanza a livello economico e politico, e perfino il Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, stringere la mano a Putin non è facile da digerire e ancora più problematico è farlo sapere a chi negli ultimi anni è stato indottrinato su quanto il presidente russo fosse un “mostro” e inoltre debole e isolato dalla “comunità internazionale”.
L’America sta preparando Meloni. L’Italia è usata come cavallo di TroiaThomas Fazi:
L’America sta preparando Meloni. L’Italia è usata come cavallo di Troia
di Thomas Fazi
Due anni fa, una neofascista ha preso il potere a Roma. Questa, almeno, è l’impressione che avreste avuto dal parossismo di sdegno dell’establishment occidentale per l’ascesa di Giorgia Meloni. Dai suoi elogi di un tempo a Mussolini al suo feroce euroscetticismo, Meloni è stata dichiarata leader del governo italiano “più di destra” dai tempi di Mussolini, mentre Bruxelles, Berlino e i loro vari lacchè dei media si preoccupavano della direzione che avrebbe potuto prendere la penisola.
Quei giorni sono ormai lontani. Dal suo trionfo nel 2022, e come alcuni di noi avevano previsto, Meloni si è adattata con calma al consenso euro-atlantico. Adottando un atteggiamento conciliatorio nei confronti dell’UE, ha anche garantito la piena conformità dell’Italia al quadro economico guidato dall’austerità del blocco. Nel frattempo, il premier italiano è diventato anche un sostenitore esplicito della politica aggressiva della Nato in Ucraina, costruendo forti legami con Joe Biden.
Nel complesso, quindi, si ha la sensazione che Meloni abbia scommesso sulla sua sopravvivenza politica abbandonando la sua immagine populista e precipitandosi nella direzione opposta, diventando più filo-europea e più filo-americana del tipico centrista europeo.
Claudio Conti – Guido Salerno Aletta: Perché i Brics vogliono una moneta di riserva internazionale
Perché i Brics vogliono una moneta di riserva internazionale
di Claudio Conti – Guido Salerno Aletta
L’avanzata e soprattutto l’allargamento dei paesi Brics sono un problema ormai molto consistente per la propaganda che deve vendere la storica “superiorità occidentale”. Soprattutto sul piano economico.
L’ingresso, un anno fa, di altri quattro paesi (Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti), ha portato quell’area a rappresentare il 35% del Pil e quasi la metà della popolazione mondiali, mentre il G7 (Usa, Giappone, Gran Bretagna, Canada, Italia, Francia e Germania) è sceso ormai al 30% del Pil, con appena un sedicesimo della popolazione. Particolari decisivi: la quota del Pil “occidentale” continua a scendere velocemente e l’età media nei Brics (e nei candidati) è molto bassa, mentre l’area G7 sente il morso del calo demografico, con popolazioni che invecchiano e fisiologicamente escono dalla produzione (nonostante il costante aumento dell’età pensionabile).
Anche il fatto di controllare il 42% della produzione di petrolio chiarisce l’importanza di questo insieme, forte nella produzione e nelle materie prime. Soprattutto tenendo presente che alcuni paesi già oggi sulla porta dell’organizzazione potranno solo aumentare di molto queste caratteristiche: a cominciare da Arabia Saudita, Malesia, Algeria, Venezuela, Indonesia, Cuba.
Detto in estrema sintesi, economie sovradimensionate dalle attività finanziarie, con una popolazione in calo, contro economie “fisiche” che possono contare su una massa di giovani che – una volta migliorate le condizioni per il loro protagonismo in tutti gli ambiti del lavoro (istruzione, formazione, sviluppo industriale, ecc) – non potranno che moltiplicare la distanza che già ora separa i Brics dall’”Occidente collettivo”.
Federico Giusti: Il libro Bianco Ue sulle tecnologie duali e le strategie militari e civili del nuovo imperialismo europeo
Il libro Bianco Ue sulle tecnologie duali e le strategie militari e civili del nuovo imperialismo europeo
di Federico Giusti
“È inutile attaccare l’imperialismo o il militarismo nella loro manifestazione politica se non si punta l’ascia alla radice economica dell’albero e se le classi che hanno interesse all’imperialismo non vengono private dei redditi eccedenti che cercano questo sfogo.”
J. A. Hobson, L’imperialismo, Newton & Compton editori, Roma 1996, p. 119.
Partiamo da questa considerazione di Hobson, un liberale che scrisse un saggio critico sul colonialismo inglese a cavallo tra Otto e Novecento, per cercare di fare chiarezza sui processi di militarizzazione in atto nella società e in particolare nel settore educativo e universitario.
E un’altra considerazione va fatta rispetto a una visione euro centrica ancora imperante che ha portato a letture preconfezionate non solo dei processi in atto nell’area Mediorientale ma anche in altre zone del Globo, ad esempio rispetto al saccheggio operato dalle multinazionali in alcuni continenti nella ricerca di materie prime rare indispensabili per la svolta green e i processi di digitalizzazione.
In questo caso la classica visione ecologica dei processi di transizione dimentica di guardare a quanto accade nei paesi del terzo mondo e in via di sviluppo, guarda con sufficienza, o sterile esaltazione, ai Brics, non coglie il nesso tra i processi di militarizzazione, te tecnologie duali e i processi di ristrutturazione del capitalismo occidentale.
Lo sforzo analitico per comprendere la realtà dovrebbe partire invece dall’intreccio tra militarismo e processi riorganizzativi del capitalismo, tra politiche imperialiste e neo coloniali e la svolta green almeno per non cadere negli schematismi del passato.
Alessandro Visalli: L’ambientalismo calato dall’alto e le ragioni del “ritorno al fossile”
L’ambientalismo calato dall’alto e le ragioni del “ritorno al fossile”
di Alessandro Visalli
Dopo anni di elogio per l’elettrico e le rinnovabili come unica via possibile per salvare l’umanità, i propagandisti tornano a puntare sul nucleare e il fossile. Perché? Come mai arriva il contrordine dagli alti piani di New York e della City?
Da più parti, ma in genere con la partenza da qualche centrale economico-finanziaria, o da qualche politico di punta, sta insistentemente prendendo piede una retorica che funziona più o meno così: < vi hanno preso in giro, le politiche che puntavano a spegnere le centrali a gas e carbone, il nucleare, e sostituire i mezzi a benzina o a gas con mezzi elettrici e generazione rinnovabile sono state promosse per fare gli interessi di pochi e avvantaggiano solo la Cina. Bisogna tornare al nucleare e smettere di demonizzare le fossili >.
Come sempre la cosa si può guardare da molti angoli. Abbiamo avuto una prima fase, negli anni Settanta, in cui il Club di Roma era parte di una campagna per superare la industrializzazione e decentrarla (anche per ragioni politiche), una seconda, negli anni Novanta, in cui la crescente mondializzazione e la retorica della modernizzazione spingeva per il ‘piccolo’ e le ragioni della natura e della salute sono venute in primo piano, una terza, negli anni Dieci, in cui si è affermata la retorica delle rinnovabili e della transizione energetica.
Pino Arlacchi: Israele fuori dalle Nazioni Unite: il precedente del Sud Africa
Israele fuori dalle Nazioni Unite: il precedente del Sud Africa
di Pino Arlacchi
Mandare via Israele dall’ONU è una misura drastica, ma necessaria. Occorre rompere la bolla di isteria e onnipotenza dentro cui vive un regime di psicopatici
La misura è colma. Lo stato di Israele non può più stare nelle Nazioni Unite. E’ diventato uno stato fuorilegge che infrange uno dopo l’altro i capisaldi del diritto internazionale e che fa sfoggio della propria impunità potendo contare sulla protezione politica e sul sostegno militare senza limiti degli Stati Uniti.
Se così non fosse, Netanyahu non avrebbe mai osato insultare l’ONU, in piena Assemblea Generale, definendola “una palude di bile antisemita”, e non avrebbe fatto uccidere, durante il solo 2023, 230 dipendenti dell’UNRWA nel corso di bombardamenti, incendi e assalti a scuole, depositi di viveri, convogli di aiuti umanitari marcati ONU. L’ UNRWA è l’agenzia creata nel 1949 dall’ Assemblea Generale per assistere i rifugiati palestinesi creati dalla “Nabka”, la catastrofe del 1948 che vide 700mila palestinesi cacciati con la violenza dalle loro case e dalla loro terra dalla milizia sionista che divenne l’esercito di Israele. Tutto ciò facendosi beffa dei piani di insediamento stabiliti dall’ ONU, e inaugurando una lunga serie di crimini e di illegalità che arriva fino ai nostri giorni. E che sta alla radice della fondazione dello stato di Israele nonché di Al Fatah, Hamas, Hezbollah e simili.
Fabrizio Casari: Luci e ombre su Kazan
Luci e ombre su Kazan
di Fabrizio Casari
Il vertice dei BRICS tenutosi nella città russa di Kazan ha segnato un sostanziale avanzamento nel consolidamento dei meccanismi operativi che consentiranno di abbandonare sempre più il Dollaro nelle transazioni internazionali, riducendo il dominio dell’economia internazionale, limitando lo strapotere statunitense e gli effetti perversi della politica delle sanzioni utilizzata dall’Occidente come strumento illegittimo nella competizione di mercato e nell’influenza politica globale.
Il trionfo politico del vertice è oggettivamente opera della Russia. La presenza di 36 Paesi, di cui 24 rappresentati dai loro Capi di Stato, ha definitivamente seppellito i sogni di Washington e Bruxelles che volevano Mosca isolata a livello internazionale. La presenza del Segretario Generale dell’ONU Guterres è stata un forte schiaffo alle pressioni provenienti dai vari simposi occidentali – a cui partecipano poche decine di Paesi, quindi non rappresentativi della comunità internazionale nel suo complesso – affinché la Russia venga ignorata.
Nessun Paese ha osato criticare la presenza di Guterres, la cui presenza ha dato al Presidente russo la massima copertura diplomatica e il riconoscimento di un’influenza politica sempre più importante. La sua presenza ha reso plasticamente evidente l’interesse del mondo per lo sviluppo del movimento.
Vincenzo Maddaloni: La Rivoluzione dei Brics
La Rivoluzione dei Brics
di Vincenzo Maddaloni
Guardiamolo con occhi disincantati questo gruppo dei Brics che, ha raddoppiato i suoi componenti. Nato nel 2009 con Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (da cui l’acronimo Brics), dal gennaio del 2024 ha accolto quattro nuovi membri: Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti.
La Cina è diventata il primo partner commerciale della Russia, che a sua volta, dopo aver superato l’Arabia Saudita, è il primo esportatore di energia (oltre che di tecnologia militare) nei confronti della Repubblica Popolare.
I Brics rappresentano più di un quarto delle terre emerse del mondo, producono attualmente il 20% del Pil mondiale e controllano il 16% del commercio internazionale, con 3 miliardi di persone (più del 42% della popolazione mondiale), un’area di circa 38,5 milioni di chilometri quadrati e un’enorme quantità di risorse naturali e ingenti riserve monetarie.
Certo è che, I massimi leader di 36 paesi, così come il Segretario generale delle Nazioni Unite, hanno partecipato all’evento di Kazan capitale dell’omonimo khanato tataro sorto dalle ceneri dell’Impero mongolo di Gengis Khan, conquistata da Ivan il Terribile che, con quella vittoria trasformò la Russia da principato in impero e ne divenne lo zar. Una scelta mirata, quella di Putin.