Rassegna 07/11/2024
Michele Paris: USA, la seconda di Trump
USA, la seconda di Trump
di Michele Paris
Se alla viglia delle elezioni negli Stati Uniti cerano forti timori per possibili tensioni o addirittura violenze causate dalla lentezza dello spoglio e dall’equilibrio tra i due principali candidati alla Casa Bianca negli stati in bilico (“swing states”), con i risultati ancora non del tutto definitivi nella prima mattinata di mercoledì in Italia è arrivata invece la sostanziale conferma della seconda vittoria di Donald Trump. L’esito del voto, come quasi sempre è accaduto negli ultimi decenni, non è tanto dovuto alla popolarità del candidato vincente, quanto al disastro praticamente su tutti i fronti provocato dall’amministrazione uscente, in cui la candidata Kamala Harris ha svolto un ruolo di primissimo piano, quanto meno dal punto di vista formale.
Sul piano concreto, Trump ha sbaragliato la sua rivale vincendo in tutti i già ricordati “swing states”, ad eccezione della Virginia, stato da tempo a tendenza democratica per via dell’afflusso di residenti con impieghi governativi nei popolosi distretti settentrionali. Decisive sono state le affermazioni di Trump in due stati dove nel 2020 Biden aveva prevalso: la Georgia e, soprattutto, la Pennsylvania, di gran lunga lo stato più combattuto dalle campagne dei due candidati negli ultimi mesi.
Al momento della stesura di questo articolo, i principali media e istituti americani non hanno ancora stabilito ufficialmente il vincitore di Arizona, Michigan e Nevada, ma l’assegnazione a Trump anche di Wisconsin e North Carolina ha materializzano il raggiungimento della soglia dei 270 voti elettorali necessari ad assicurarsi la presidenza. Con i dati definitivi, Trump dovrebbe salire ben oltre quota 300.
Piccole Note: Vince Trump, la guerra mondiale è rimandata
Vince Trump, la guerra mondiale è rimandata
di Piccole Note
La vittoria netta del tycoon rilancia prospettive di pace. Difficile dire se riuscirà a mantenere le promesse ma, a differenza del 2016, non è più solo
La terza guerra mondiale può attendere, questo il verdetto uscito dalle urne degli Stati Uniti. Resta da vedere se sia rimandata a titolo provvisorio o meno, ma il mondo può tirare un pur breve sospiro di sollievo. Vince Trump nonostante gran parte delle querule élite europee e di parte importante di quelle, ben più aggressive, americane abbiano fatto di tutto per evitare tale esito, come dimostrano, ad esempio, i sondaggi pubblicati dai media mainstream, che davano un testa a testa e un leggero vantaggio della Harris che era solo nelle loro fantasie distaccate dalla realtà.
Il senso delle élite americane per Kamala è raffigurato in maniera plastica dai risultati del distretto della Columbia, cioè i voti di Washington, con la Harris che ha raccolto più del 90% dei consensi. Risultato che indica quanto il cammino di Trump sarà accidentato.
E perdono le élite della Gran Bretagna, appiattite su Kamala, come dimostra il titolo di un articolo del Times, il giornale di riferimento di tale ambito, che recitava: “Kamala Harris in vantaggio in un numero sufficiente di stati indecisi per vincere, secondo un sondaggio del Times”. Tanto appiattite che il partito di governo ha inviato emissari ad aiutare la campagna della Harris, che qualcosa hanno pure fatto se stiamo ai risultati, dove tante ex colonie inglesi hanno visto la vittoria dei democratici.
Antonio Di Siena: Trump Returns – i miei 2 centesimi sull’evento del giorno
Trump Returns – i miei 2 centesimi sull’evento del giorno
di Antonio Di Siena
Un’elezione vinta, un’altra persa, una quasi guerra civile provocata e due attentati subiti (e scampati), di cui uno potenzialmente fatale. Date le premesse, Donald Trump non poteva non rivincere.
Una storia che sembra uscita da un epic movie targato Hollywood, un epilogo che lo consacra – da protagonista assoluto – nel duplice ruolo di eroe e salvatore della patria (per i suoi) e contemporaneamente nel cattivo di turno, ovviamente per tutti gli altri. Ma noi, che americani non siamo (quantomeno formalmente), dobbiamo cercare di capire cosa significa la vittoria di Trump perché – è sempre bene ricordarlo – ciò che avviene oltreoceano ha riflessi diretti e tangibilissimi anche (o soprattutto) a casa nostra.
Chi mi segue da tempo forse ricorda che – oltre a predirne l’elezione già nel 2016 (contro tutti i pronostici) – ne ho sempre parlato non come un fenomeno di costume, un epifenomeno transitorio, ma come il risultato di un sommovimento dalle implicazioni profondissime. Stando ben attento a non finire annoverato tra le fila dei suoi sostenitori (specialmente nostrani), contro buona parte dei quali non ho mai speso parole tenere. Anzi. Un processo politico che (piaccia o meno) affonda le radici nelle più importanti dinamiche di questo inizio di secolo, prima tra tutte il declino (economico e militare) della ormai ex prima superpotenza del mondo.
Alberto Bradanini: L’Ucraina ha “diritto” ad aderire alla NATO? Realismo versus Idealismo
L’Ucraina ha “diritto” ad aderire alla NATO? Realismo versus Idealismo
di Alberto Bradanini
Perché il solo orizzonte in grado di immaginare una prospettiva di pacificazione in Ucraina, che ponga fine ai massacri reciproci e apra la strada a una possibile riconciliazione, è costituito dal ripristino della sua neutralità
1. In un articolo pubblicato su Substack, Glenn Diesen, un pungente professore norvegese (dell’Università Sud-Orientale del suo paese) e acuto esponente della scuola realista delle Relazioni Internazionali – cui appartiene anche il più noto John Mearsheimer dell’Università di Chicago – sfida con argomentato coraggio la narrativa convenzionale occidentale, manifestamente costruita dai sistemi di comunicazione di massa – che l’operazione militare speciale decisa da Mosca il 24 febbraio 2024 sia stata una derivata non-provocata dell’intento russo di riproiettarsi sul quadrante esteuropeo un tempo occupato/presidiato dall’Unione Sovietica.
Le riflessioni del prof. Diesen costituiscono un prezioso arricchimento intellettuale e vaccinatorio contro la macchina della distorsione mediatica. Insieme alle sue riflessioni il lettore troverà a intermittenza alcuni commenti a margine da parte dello scrivente.
2. Confondendo i termini della questione, molti dipingono la scuola del realismo politico – rileva l’autore – come una teoria deficitaria sotto il profilo etico, non solo politico, contestandone la valenza teleologica, vale a dire la capacità di definire un convincente modello di gestione della competizione tra nazioni, che per i realisti è una derivata ineludibile della struttura anarchica del sistema internazionale. Tale indomabile competizione è causata dalla necessità degli stati di proteggere la loro sicurezza in assenza di un potere gerarchico che disponga del monopolio dell’uso della forza. Per gli idealisti (i seguaci della scuola di pensiero da cui prendono nome), la condotta degli stati deve invece ricondursi alla dimensione etica. Se i corrispondenti valori non sono rispettati – quelli generati dalla Grande Potenza di turno e coincidenti, non a caso, con i suoi interessi (oggi, gli Stati Uniti, portatori dell’ideologia democratica, liberale e mercantile) -, questa ha il dovere morale di imporli al resto del mondo. E qui, come si può immaginare, cominciano i guai.
Sergio Cesaratto: Il Rapporto Draghi fra mercantilismo benevolo e mercantilismo ostile
Il Rapporto Draghi fra mercantilismo benevolo e mercantilismo ostile
di Sergio Cesaratto
Sergio Cesaratto richiama l’attenzione sui tratti neo-mercantilisti del Rapporto Draghi e ritiene che in essi si annidi una critica implicita all’impianto neoliberista che ha ispirato la governance europea. Cesaratto sostiene anche che il ‘nazionalismo europeo’ che traspare dal Rapporto non sembra avere sempre accenti progressisti e, inoltre, che su di esso grava il rischio di essere minato dalla mancanza di uno spirito comunitario assimilabile a quello nazionale
Il Rapporto Draghi dedicato al futuro della competitività europea evoca diversi e opposti aspetti del mercantilismo. Il mercantilismo può assumere infatti forme benigne, in difesa dei propri interessi nazionali senza pregiudizialmente voler danneggiare nessuno, od ostili verso altri Paesi o verso la propria classe lavoratrice (Guerrieri, P. e Padoan, P.C., Neomercantilism and international economic stability, International Organization, 1986, pp. 29–42; Barba, A. e Pivetti, M. Merci senza frontiere, Rogas 2022).
L’ossessione mercantilista del perseguimento degli avanzi commerciali, per esempio, ben caratterizza le politiche economiche tedesche del secondo dopoguerra (Cesaratto, S., Sei lezioni di economia, Diarkos, 2019). All’interno dell’unione monetaria europea, il neo-mercantilismo tedesco ha in particolare costituito un fattore di squilibrio impedendo una crescita cooperativa dell’insieme dell’Unione e imponendo moderazione salariale ai medesimi lavoratori tedeschi. Spesso in una goffa imitazione del modello tedesco, l’Europa nel suo complesso costituisce a sua volta una realtà mercantilista, avendo basato la propria crescita non sul mercato interno ma sul sostegno alle esportazioni, costituendo in tal modo un fattore di squilibrio globale e di mortificazione del benessere interno (Paggi, L. e D’Angelillo, M., “Il Rapporto Draghi, la competitivitè, la politica”, dattiloscritto, settembre 2024). Con il processo di de-globalizzazione in atto (sulla cui natura e portata si discute invero molto), inizialmente dovuto alla pandemia e poi in maniera più strutturale alla crisi geopolitica, e con i prevaricanti vantaggi tecnologici acquisiti da Cina e Stati Uniti, le problematicità del modello europeo sono ora venute al pettine.
Quei vantaggi tecnologici non nascono a caso ma sono frutto di politiche di nazionalismo economico: protezione delle proprie industrie avanzate, massicci investimenti in ricerca e nell’apparato militare-industriale, realizzazione di economie di scala sostenendo il mercato interno, in particolare attraverso la domanda pubblica.
Alfonso Gianni: I BRICS a Kazan per un nuovo multilateralismo
I BRICS a Kazan per un nuovo multilateralismo
di Alfonso Gianni
I paesi che si sono incontrati al vertice in Russia rappresentano oggi il 44,4% della popolazione e il 35,6% del Pil mondiali. Nonostante i media occidentali abbiano ingigantito i punti deboli della Dichiarazione finale, molti passi avanti sono stati compiuti nella cooperazione commerciale e finanziaria e per la riforma delle istituzioni globali
Quasi un quarto di secolo fa, precisamente nel 2001, un economista britannico conservatore, che ricoprì cariche importanti nella Goldman Sachs e nel Governo di Cameron, Terence James O’Neill, coniò l’acronimo BRIC – ed è per questo che il mondo lo ricorda – avvertendo che Brasile, Russia, India e Cina erano destinate in un prossimo futuro a trainare l’economia mondiale. Possiamo dire che il barone inglese ci prese. Anche se per lui la profezia si presentava piuttosto distopica. Da allora, passando attraverso un crescente disordine mondiale, segnato da guerre di ogni tipo – 55 sono quelle attualmente in corso, secondo un attendibile calcolo – crisi molteplici di dimensioni planetarie, economiche, finanziarie, pandemiche che hanno bruscamente ridimensionato le sorti magnifiche e progressive della globalizzazione dell’ultimo ventennio del secolo scorso, il numero dei paesi attorno a quei primi quattro è venuto crescendo. Nel 2010 l’acronimo è cambiato in BRICS, grazie alla adesione del Sudafrica. Più recentemente si sono uniti al gruppo paesi – tra loro assai diversi per ragioni economiche e politiche – quali l’Egitto, l’Etiopia, l’Iran, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Di conseguenza anche la sigla iniziale è cambiata ancora una volta: “BRICS Plus”.
In questo modo si è giunti al XVI vertice dei BRICS, tenutosi tra il 22 e il 24 ottobre nella città della Federazione Russa di Kazan, sotto la presidenza di Vladimir Putin. La versione BRICS Plus/Outreach, adottata nell’ultimo giorno del summit, ha permesso di allargare la partecipazione a paesi che stanno maturando l’adesione al gruppo o sono comunque interessati a esso, raggiungendo quindi la cifra di 36 paesi, perlopiù appartenenti a quello che è stato chiamato il Global South, con la presenza anche di Stati aderenti alla NATO, come l’onnipresente Turchia fisicamente rappresentata da Erdogan. Erano presenti anche l’ANP con il suo presidente Abu Mazen in rappresentanza dello Stato di Palestina e il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres.
Paolo Pileri: Non siamo vittime del maltempo ma del malgoverno del territorio
Non siamo vittime del maltempo ma del malgoverno del territorio
di Paolo Pileri
L’Italia è tormentata dal mal tempo o da inadeguata agenda politica? O da entrambe?
Intanto sgombriamo il campo dal mal tempo perché quel che stiamo vedendo oggi e che sta allagando città e territori non è mal tempo ma il tempo che ci siamo cuciti addosso con il nostro impegno a fare due cose precise: guastare il clima in mille modi e rendere il territorio sempre più fragile in caso di piogge, alluvioni, frane, colate fangose, siccità, etc. Ricordiamo che attraverso una superficie impermeabilizzata l’acqua non passa. Un’evidenza che, ahinoi, ancora sfugge a chi governa il territorio. E allora ricordiamoglielo: asfaltare qualsiasi suolo libero equivale ad aumentare di sei volte l’acqua che rimane in superficie e moltiplica i costi per gestirla e soprattutto i danni in caso di alluvione.
La prova che tutto ciò non è chiaro ci arriva dai dati sul consumo di suolo. In soli sedici anni, in Italia, sono stati sigillati/cementificati/asfaltati ulteriori 121.650 ettari. Un numero pazzesco: è come aver aggiunto circa 11,5 città della grandezza di Milano a un’Italia già piegata dalla super cementificazione. Più urbanizzazione abbiamo e più isole di calore generiamo, più traffico, più energia consumata, più gas climalteranti lanciati in atmosfera, più acqua in superficie e più clima che cambia per sempre. Queste 11,5 nuove Milano sparse per la penisola (il 44% nelle sole otto regioni del nord) sono il frutto di una pianificazione urbanistica sregolata e incurante degli equilibri ecologici, che non funziona più o addirittura non esiste più.
Il Pungolo Rosso: Germania: con i licenziamenti di massa alla Volkswagen finisce un’epoca
Germania: con i licenziamenti di massa alla Volkswagen finisce un’epoca
di Il Pungolo Rosso
Lunedì 28 ottobre, Daniela Cavallo, la presidente del Consiglio di fabbrica (Betriebsrat) della Volkswagen in Germania, ha annunciato ai lavoratori il piano del colosso automobilistico tedesco di chiudere tre stabilimenti e licenziare circa 15 mila operai (i primi annunci parlavano addirittura di 30 mila), con tagli al personale trasversali anche ai restanti stabilimenti in territorio tedesco (10 in totale). A ciò si aggiunge la “necessità” di tagliare i salari del 10% per tutti gli operai VW, congelando gli aumenti dei prossimi due anni e riducendo i bonus. Ulteriori tagli salariali sono richiesti se si vuole limitare il numero dei licenziamenti.
Rompendo lo storico accordo con i sindacati in vigore dal 1994 per garantire i posti di lavoro, VW sferra un attacco senza precedenti ai propri lavoratori. Il capo della divisione Volkswagen Thomas Schaefer ha parlato chiaro: “Le fabbriche tedesche non sono abbastanza produttive, hanno costi del 25-50% superiori agli obiettivi, il che significa che alcuni siti sono due volte più costosi rispetto alla concorrenza”. E ancora, in un documento pubblicato sul Bild: «È un fatto: produciamo a costi troppo elevati», ma «abbiamo piani chiari su come ottimizzare i costi dei prodotti dei materiali e della fabbrica. Se ognuno dà il suo contributo arriviamo velocemente all’obiettivo: torneremo ai vertici».
coniarerivolta: Il governo Meloni contro i lavoratori pubblici
Il governo Meloni contro i lavoratori pubblici
di coniarerivolta
“Se fossimo in un mondo ideale dove tutto funziona perfettamente, dovrei dire che non sono tanto contento della notizia di un taglio del turn over. Ma non viviamo in un modo ideale e quindi ciascuno deve fare la sua parte e chi sta al governo deve comprendere cosa serve per tenere sotto controllo i conti dello stato”. Con queste parole Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica Amministrazione, ha preannunciato l’ennesimo boccone amaro da far inghiottire ai lavoratori pubblici con questa manovra di bilancio. L’ennesimo perché, con buona pace della propaganda governativa, arriva dopo una sequenza ininterrotta di interventi punitivi che rischia seriamente di gettare una pietra tombale su quel che resta del servizio pubblico.
Andiamo con ordine, cercando di far emergere la distanza siderale che esiste fra la narrativa del Governo e la realtà dei fatti.
Partiamo proprio con l’ultimo fronte dell’offensiva governativa. Le parole di Zangrillo alludono al blocco del turnover – cioè delle nuove assunzioni a seguito di personale in uscita, ad esempio perché va in pensione – che viene limitato per il 2025 al 75% (quindi per ogni 4 persone che escono una amministrazione potrà assumerne solamente 3). Una norma inserita quasi di nascosto nella legge di bilancio (art. 110) e che ci riporta indietro all’era pre-covid, quando una forte limitazione del turnover era la norma.
Geraldina Colotti: La disinformazione “democratica” contro il Venezuela bolivariano
La disinformazione “democratica” contro il Venezuela bolivariano
di Geraldina Colotti
Un tema, più di altri, mette a nudo il triste stato in cui versa l’informazione nelle cosiddette “democrazie” europee. Si tratta del Venezuela bolivariano. Se ne parla in spregio a ogni più elementare principio etico del giornalismo. Un’ulteriore dimostrazione si è avuta con la visita, in Italia, di una delegazione di oppositori composta dal nuovo autoproclamato presidente del Venezuela, Edmundo González Urrutia, recentemente insignito del Premio Sakharov per la libertà di espressione dal Parlamento europeo, insieme all’inabilitata Maria Corina Machado.
Dopo essere stato ricevuto in pompa magna dalla premier italiana, che guida un partito erede del passato fascismo a capo di una coalizione di estrema destra, Urrutia è stato accolto dai deputati che dovrebbero rappresentare l’opposizione al governo. Con lui, c’erano due altri rappresentanti del golpismo venezuelano, Antonio Ledezma e l’ex deputata Mariela Magallanes.
Si deve al frenetico entrismo di quest’ultima nei media e nelle istituzioni, l’egemonia che ha imposto la destra venezuelana sull’opinione pubblica italiana. Ovviamente, prima ancora si deve considerare il peso economico di alcuni imprenditori che hanno fatto fortuna in Venezuela e che sono tornati a radicarsi nei territori di provenienza, dai quali usano il denaro per destabilizzare il socialismo bolivariano, considerato causa della perdita dei loro profitti. E, ovviamente, si deve intendere in questa chiave l’appoggio di quella ex sinistra che tiene ai voti provenienti da quei gruppi di potere italo-venezuelani.
Infoaut: Ancora Trump, non stupitevi
Ancora Trump, non stupitevi
di Infoaut
A un primo sguardo superficiale queste elezioni negli Stati Uniti sono state un replay di quelle del 2016. Trump vince nonostante le previsioni dei sondaggisti più autorevoli.
Vince nonostante in questi anni sia stato dato per finito diverse volte: dopo i fatti di Capitol Hill, per i suoi guai giudiziari e la sua retorica politicamente scorretta. Vince nonostante per lungo tempo sia stato considerato dagli strateghi democratici l’avversario migliore, quello apparentemente meno presentabile.
Ancora una volta le illusioni autoindotte della sinistra liberal si schiantano contro la realtà brutale.
Qualcosa invece è cambiato dal 2016. Nel frattempo il trumpismo è mutato nella direzione opposta a quelli che molti commentatori si aspettavano: la coalizione trumpiana si è estesa in alto e in basso, è diventata un “gioco di squadra” con figure quali Elon Musk e JD Vance ad affiancare Trump e a garantirne la successione.
A differenza del 2016 Trump non vince solo nei collegi elettorali, ma anche nel voto popolare, sottraendo un argomento ai democratici, ma soprattutto dimostrando che la sua presa nel paese si è allargata, tra l’altro in un contesto in cui l’affluenza alle urne sembra essere stata significativa. Bisogna essere cauti con l’analisi dei flussi elettorali al momento, ma a quanto pare rispetto al 2016 i repubblicani avrebbero incrementato il loro consenso tra le minoranze e i giovani maschi bianchi, nonché consolidato la presa sul popolo core del trumpismo: le aeree rurali, la working class bianca e quel variegato popolo della piccola borghesia americana che lo segue da tempo.
Fulvio Grimaldi: USA, hanno perso quelli de li sordi e de li spari
USA, hanno perso quelli de li sordi e de li spari
di Fulvio Grimaldi
E adesso le chiacchiere stanno a zero. Si ricomincia dai fatti. L’uragano tossico della ciurmaglia vociante a favore della banda di assassini di massa, che ha imperversato sul mondo negli ultimi quattro anni, si azzitterà. Una classe che fa dello scilipotismo in tutte le stagioni lo strumento del potere, inizierà le sue prime conversioni. Siamo abituati, da millenni, a vederla transitare da una religione di carattere, come si dice oggi, multipolare a un’altra, di segno opposto, unipolare. Sempre con la stessa convinzione, tanto da ridurre la precedente in macerie e abiezione morale. Da dei onorati a demoni diabolici. Le nostre classi dirigenti sono fatte così. E, almeno nell’immediato, quanto era oggetto di celebrazioni sacre incontestabili verrà calpestato e ridotto, come a suo tempo, a polvere di templi e alla damnatio memoriae di “dei falsi e bugiardi”…
Cambieranno sacerdoti e chierichietti, preci verranno elevate ad altre divinità, altre formule magiche, altre musiche ci invaderanno dagli organi e incanteranno le schiere dei fedeli. Resterà solo una costante nell’immagine sacra sopra l’altare: una bandiera a stelle e strisce.
E’ stata spazzata via una delle due massime espressioni di barbarie subculturale nichilista che ha tenuto per la gola il pianeta, minandone la sopravvivenza. Ne sopravvive l’altra. Ma questa ha percepito che l’alluvione di arroganza e violenza dell’insieme antiumano è stata frenata da argini cresciuti impetuosamente tutt’intorno alle marche dell’impero.
Dante Barontini: Trump torna alla Casa Bianca
Trump torna alla Casa Bianca
di Dante Barontini
L’equilibrio alla fine non c’è stato. Il “testa-a-testa” descritto da quasi tutta la stampa europea era solo un wishful thinking, una “speranziella” con scarso fondamento.
“The Donald” torna da trionfatore alla guida degli Stati Uniti e si salva così dalla marea di processi che lo attendono, ormai inutilmente.
Gli “swing states”, quelli sempre incerti tra repubblicani e “democratici” sono stati tutti conquistati, spesso con largo margine. Lo scrutinio è ancora in corso mentre scriviamo – le 8 di mattina, ora italiana – ma lo scarto è quasi sempre tale che anche il voto per corrispondenza, tradizionalmente a favore dei “blu”, difficilmente potrà rovesciare il risultato finale.
In estrema sintesi: con il 95% delle schede scrutinate il Wisconsin dà a Trump il 51,3% contro il 47 a favore di Harris; in Michigan la conta è solo al 70%, ma il vantaggio per l’immobiliarista indebitato è di sette punti percentuali. La Pennsylvania, mai davvero in bilico, ha portato i “grandi elettori” per Trump a 267, appena tre in meno della maggioranza assoluta necessaria…
Già così il numero di “grandi elettori” per il tycoon sarebbe sufficiente. In più ha già in tasca l’Alaska (quasi il 20% di scarto, anche se con appena un quarto di schede scrutinate).
Marco Santopadre: Trump presidente. Paura e delirio a Washington
Trump presidente. Paura e delirio a Washington
di Marco Santopadre
Dai tribunali alla Casa Bianca in tempi record. Accusato di una sessantina di reati, compreso quello di aver incitato una folla di estremisti di destra e complottisti ad assaltare il Campidoglio di Washington il 6 gennaio del 2021 per impedire l’insediamento di Joe Biden, il tycoon è letteralmente resuscitato. In pochi mesi ha sbaragliato gli ambienti repubblicani ostili – alcuni dei quali sono addirittura passati dalla parte di Kamala Harris – e ha espugnato la Casa Bianca ottenendo una delle vittorie più rapide e nette nella storia delle presidenziali statunitensi degli ultimi decenni.
Non ha avuto bisogno di chiamare i suoi alla rivolta, temendo la quale l’ultimo tratto della campagna elettorale e il voto di ieri si sono svolti in un clima di militarizzazione senza precedenti.
A poche ore dall’inizio dello spoglio era chiaro che, sulla mappa elettorale degli states, a prevalere sarebbe stato il rosso di Donald Trump.
Una volta ancora sono stati smentiti tutti i sondaggi, che da quando la vicepresidente ha sostituito un non più spendibile Joe Biden hanno dato sempre la candidata democratica in testa, anche se con un margine troppo ristretto per rassicurare i liberal.
Chris Hedges: Il resoconto di un genocidio
Il resoconto di un genocidio
di Chris Hedges – chrishedges.substack.com
L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite documente i progressi di Israele nel suo assalto genocida a Gaza. Israele è intenzionato, avverte il rapporto, a espellere i palestinesi, a ricolonizzare Gaza e a rivolgersi poi contro la Cisgiordania
Un rapporto delle Nazioni Unite, pubblicato lunedì, descrive con agghiaccianti dettagli i progressi compiuti da Israele a Gaza nel tentativo di sradicare “l’esistenza stessa del popolo palestinese in Palestina”. Questo progetto genocida, avverte minacciosamente il rapporto, “si sta ora diffondendo in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est”.
La Nakba o “catastrofe”, che nel 1948 aveva visto le milizie sioniste cacciare 750.000 palestinesi dalle loro case, compiere più di 70 massacri e impadronirsi del 78% della Palestina storica, è tornata con gli steroidi. Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, ha pubblicato il rapporto, intitolato “Genocidio come cancellazione coloniale“, dove lancia un appello urgente alla comunità internazionale affinché imponga a Israele sanzioni e un embargo totale sulle armi fino a quando il genocidio dei palestinesi non sarà fermato. Chiede a Israele di accettare un cessate il fuoco permanente. Chiede che Israele, come richiesto dal diritto internazionale e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, ritiri i suoi soldati e i suoi coloni da Gaza e dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est.
Come minimo, Israele, ormai fuori controllo, dovrebbe essere formalmente riconosciuto come Stato di apartheid e persistente violatore del diritto internazionale, afferma la Albanese. Le Nazioni Unite dovrebbero riattivare il Comitato speciale contro l’apartheid per affrontare la situazione in Palestina e l’appartenenza di Israele alle Nazioni Unite dovrebbe essere sospesa. In mancanza di questi interventi, l’obiettivo di Israele, avverte Albanese, probabilmente si realizzerà.
Potete vedere la mia intervista con la Albanese qui.
Daniele Pagini: Brics 2024, sfida all’Occidente
Brics 2024, sfida all’Occidente
di Daniele Pagini
Il Summit BRICS del 2024, tenutosi a Kazan, in Russia, dal 22 al 24 ottobre scorso, rappresenta un momento cruciale per la ristrutturazione dell’architettura economica e l’assetto geopolitico globale
La partecipazione dei paesi fondatori, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, e l’ingresso di cinque nuovi membri, tra cui Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran e Arabia Saudita, hanno evidenziato l’urgenza collettiva di ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense e di creare un ordine mondiale multipolare.
I risultati del Summit
Tutti i membri hanno sottolineato l’importanza della cooperazione per affrontare le sfide globali, riconoscendo che solo lavorando insieme possono promuovere lo sviluppo economico e sociale, la stabilità e la sicurezza regionale, la sostenibilità ambientale.
In particolare, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Iran hanno enfatizzato la necessità di diversificazione energetica per garantire uno sviluppo sostenibile e posto l’accento sulla questione palestinese. Etiopia ed Egitto hanno sottolineato l’importanza della sicurezza alimentare e della produzione di cereali per la stabilità regionale. Brasile e Sud Africa hanno valorizzato la cooperazione per la pace e la stabilità. Russia, India e Cina hanno evidenziato l’importanza del contributo collettivo per affrontare le sfide globali affermando che il loro modello può essere un esempio per altre regioni del mondo.
È emerso che Il nuovo assetto BRICS si basa su posizioni dominanti nella produzione di minerali e materie prime e sulla condivisione di risorse e tecnologie.
Non si tratta di sogni ma di realtà effettive.
I BRICS presentano una combinazione unica di risorse strategiche, economie di scala, avanzamento tecnologico e collaborazione, rendendoli un blocco economico e geopolitico di grande influenza a livello globale, e i loro numeri non lasciano adito a dubbi o perplessità.
Paolo Molina: Gli Ebrei della Palestina Sovietica, una storia poco conosciuta
Gli Ebrei della Palestina Sovietica, una storia poco conosciuta
di Paolo Molina
Nel 1928 le prime famiglie ebraiche iniziarono a trasferirsi nel bacino del fiume Amur e ad accamparsi nelle vicinanze del piccolo villaggio di Tikhonkaja (alla lettera “Posto quieto”). Gradualmente trasformarono quel posto in Birobidzhan, (città a 8.200 chilometri ad est di Mosca), che diventò il capoluogo della Regione autonoma ebrea (lo è ancora oggi, con i suoi 74 mila abitanti).
L’unico modo per gli ebrei per fuggire dal nazismo era abbandonare l’Europa e “per poter lasciare il continente, gli ebrei dovevano fornire prove per l’emigrazione, che poteva essere un visto straniero o un biglietto navale valido“. Documenti che erano difficili da ottenere dopo la Conferenza di Évian del 6 luglio ’38, quando 31 paesi su 32, compresi Canada, Australia e Nuova Zelanda, rifiutarono di ospitare altri immigrati ebrei avendo stabilito quote molto rigide.
Durante la Conferenza i paesi invitati sembravano simpatizzare per la causa ebraica, ma non fu presa decisione alcuna.
La Conferenza di Évian era stata voluta dagli Stati Uniti di Roosevelt, per discutere la questione dei rifugiati ebrei e la critica situazione del numero crescente di rifugiati ebrei in fuga dalla Germania nazista, con la speranza di sensibilizzare alcune nazioni ad accettare un numero maggiore di rifugiati e forse anche di distogliere l’attenzione dai limiti sull’immigrazione ebraica imposti dagli stessi Stati Uniti.
Alla conferenza parteciparono i delegati di 32 nazioni e 24 organizzazioni volontarie in qualità di osservatori. A Golda Meir, nella delegazione britannica in Palestina, non fu concesso di parlare.
Hitler dichiarò che se questi paesi erano disposti a simpatizzare per “questi criminali (gli ebrei), allora avrebbero dovuto essere abbastanza generosi da convertire la loro simpatia in un aiuto pratico. Da parte nostra, noi siamo pronti a lasciare andare questi criminali verso questi paesi, per quello che mi riguarda, anche su una nave di lusso“.
Clara Statello: Allarme Sopravvivenza: Bruxelles vuole gli Europei pronti a 72 ore di “autosufficienza”
Allarme Sopravvivenza: Bruxelles vuole gli Europei pronti a 72 ore di “autosufficienza”
di Clara Statello
Ma c’è davvero bisogno di una campagna europea per insegnarci a fare la spesa per tre giorni o tenere acqua e medicine di base in casa? Davvero Putin intende marciare sino a Lisbona?
Il nemico è alle porte, dobbiamo rinunciare ai nostri diritti per aumentare la Difesa: gli USA non possono più proteggerci.
Sembrerebbe il delirio di un ubriaco, invece è il mantra che i nostri intellettuali embedded e leader europei ripetono da circa un anno.
Adesso è la volta dell’ex primo ministro finlandese Sauli Niinistö, che nell’atteso report sulla Difesa europea, commissionato a marzo da Ursula von der Leyen, lancia l’allarme: l’UE è totalmente impreparata a futuri attacchi di Paesi terzi.
Il piano di sopravvivenza per i cittadini
Dopo oltre trent’anni di globalizzazione estrema basata su delocalizzazioni, sfruttamento e saccheggio delle risorse di Paesi sovrani, di esportazione della democrazia con le “guerre umanitarie” degli USA e di sfacciata espansione a Est della NATO, l’Europa si è improvvisamente risvegliata in “una nuova realtà instabile”, in balìa di crisi internazionali, disastri ambientali, guerre e pandemie.
Pepe Escobar: Cosa succederà ai BRICS dopo Kazan?
Cosa succederà ai BRICS dopo Kazan?
di Pepe Escobar
L’atteso incontro dei capi di Stato dei BRICS a Kazan, in Russia, non ha deluso le aspettative. L’istituzione multilaterale ha finalmente portato mordente e sostanza a molti degli enigmi finanziari e politici globali che da tempo ostacolano un’autentica riorganizzazione dell’ordine globale.
La presidenza russa di BRICS 2024 non avrebbe potuto scegliere un sito più multiculturale e multinodale per ospitare un vertice carico di enormi aspettative da parte della Maggioranza Globale. La città russa sud-occidentale di Kazan, sulle rive dei fiumi Volga e Kazanka, è la capitale della Repubblica semi-autonoma del Tatarstan, rinomata per il suo vibrante mix di culture tatare e russe.
Anche se il vertice BRICS si è svolto nell’Expo di Kazan – una specie di stazione multilivello collegata all’aeroporto e al collegamento aero-express con la città – è stato il Cremlino di Kazan, secolare cittadella fortificata e patrimonio dell’umanità, a imporsi come immagine globale del BRICS 2024.
Il Cremlino di Kazan, infatti, è stato il simbolo di una continuità dal X secolo in poi, attraverso la cultura bulgara, l’Orda d’Oro e il Khanato del XV-XVI secolo, fino al moderno Tatarstan.
comidad: Il fascino (mica tanto) segreto della esternazione degli hub per migranti
Il fascino (mica tanto) segreto della esternazione degli hub per migranti
di comidad
Nessuno si interessa all’opinione degli albanesi sugli hub per migranti dislocati nel loro paese dal governo Meloni. Per quanto se ne è potuto sapere attraverso contatti episodici, l’opinione pubblica albanese è assolutamente contraria all’operazione e, addirittura, sospetta che sia un espediente del governo italiano per scaricare illegalmente i migranti in Albania lasciandoli evadere dai centri di raccolta. In generale gli albanesi fanno benissimo a diffidare degli italiani ma, nel caso specifico, l’ipotesi che gli hub siano in realtà centri di evasione presenta molti buchi. L’Albania è troppo vicina all’Italia e sarebbe quindi il nostro territorio la prima meta degli eventuali evasi, dato che l’Albania stessa manca dell’attrattiva fondamentale per qualsiasi migrante, cioè una moneta forte. La moneta albanese, il lek, ha più o meno lo stesso valore delle monete dei paesi di provenienza dei migranti, quindi non consentirebbe di guadagnare sul cambio tra una moneta forte, come l’euro o il dollaro, e una moneta debole. Soltanto attraverso l’effetto cambio i bassi salari dei migranti possono consentire di mantenere le famiglie rimaste nella madre patria e, al tempo stesso, di pagare gli interessi sui debiti. Ormai abbonda la letteratura scientifica sul nesso causale tra indebitamento e spinta migratoria, ma i media continuano a far finta di nulla. Meglio mantenere il discorso sulla migrazione sul piano ludico del wrestling retorico tra buonisti e cattivisti, tra accoglienti e respingenti, invece di rischiare qualcosa parlando degli interessi delle multinazionali finanziarie nella proliferazione mondiale del microcredito e nella conseguente destabilizzazione sociale.
Redazione: La Linke tedesca sempre più in crisi. Ora si spacca anche sulla Palestina!
La Linke tedesca sempre più in crisi. Ora si spacca anche sulla Palestina!
di Redazione
Quando il Muro di Berlino crollò e si avviò la triste fase della demonizzazione e della banalizzazione di tutta l’esperienza socialista della Germania dell’Est, il Partito Socialista Unificato (SED) che l’aveva fino allora guidata iniziò a reinventarsi all’interno del quadro istituzionale della Germania riunificata. La SED, dopo l’epurazione dalle sua fila dei precedenti esponenti comunisti che avevano avuto responsabilità di governo, cambiò nome dapprima in Partito del Socialismo Democratico (PDS) e, nel 2007, attraverso un processo di fusione con il movimento progressista WASG dell’ex-ministro socialdemocratico Oskar Lafontaine, divenne semplicemente La Sinistra, appunto “Die Linke” riscontrando successi elettorali importanti, e non più solo nei Länder orientali.
I partiti eclettici prima schizzano in alto e poi precipitano
Col trascorrere degli anni la situazione però muta, l’opportunismo viene smascherato da sempre più elettori che non si riconoscono più in un partito che, provenendo dalla più seria tradizione marxista ha rinnegato sé stesso e ora si divide in due anime principali: una di destra che pensa solo a formare coalizioni di governo moderate a livello regionale e che talvolta strizza l’occhio persino a Israele; e una di sinistra che però – influenzata anche dai trotzkisti – nel suo “movimentismo” abbandona i lavoratori e schifa i contadini per preferire gli accademici e gli attivisti delle ONG e che ai diritti sociali e sindacali della classe operaia sostituisce i diritti LGBTQ e l’allarme climatico.