Rassegna 15/11/2024
Leonardo Mazzei: Trump, la guerra e le illusioni
Trump, la guerra e le illusioni
di Leonardo Mazzei
Un voto figlio del caos
Dunque, Trump è stato rieletto. La portata dell’evento è chiara. Meno, molto meno, le sue effettive conseguenze. L’inevitabile profluvio di articoli e commenti che ne è seguito a caldo poco aiuta. Se banalità, recriminazioni, speranze e delusioni sono la norma in questi casi, più complesso stavolta trovare il bandolo della matassa sulla svolta che verrà impressa alla politica americana. La difficoltà non nasce solo dal personaggio Trump, ma dal vero caos che attraversando il mondo arriva al cuore di un impero americano che non ha più la certezza del suo dominio illimitato.
E’ questo caos che ha prodotto Trump, non il contrario, come invece vorrebbero le autistiche anime belle del progressismo europeista. L’ha prodotto per riportare l’ordine, ma come il suo predecessore ben difficilmente ci riuscirà.
Il caos è figlio di una crisi che non è solo economica. Più esattamente, esso è figlio dell’incapacità di dare risposta a quella crisi. Un’incapacità che unisce sia la cupola globalista (in genere intricata con le sinistre transgeniche), che il populismo liberista di destra. Quest’ultimo si presenta come “populista” quand’è all’opposizione, rivelando immancabilmente la sua natura ultra-liberista (dunque antipopolare e sistemica) quando arriva al governo. Meloni docet!
La crisi che attanaglia l’Occidente ha infatti un nome: neoliberismo. Quel sistema non è solo ingiusto, esso semplicemente non funziona. Ma, per una maledetta congiuntura storica, la sua crisi si è prodotta nel punto più basso della lotta per l’uguaglianza e la giustizia sociale. Da qui l’accanimento terapeutico nel riproporre, ogni volta a dosi maggiori, tutte le mostruosità sociali dell’ultimo quarantennio. Il neoliberismo ha fatto cilecca? Diamoci dentro con un neoliberismo rafforzato, concettualmente senza limiti (alla Milei, per intenderci), meglio se inserito in una cornice fortemente autoritaria. Questo riflesso tipico dei dominanti ben lo conosciamo dalle nostre parti. Un esempio: l’Unione Europea è un fallimento? Niente paura, quel che occorre è semplicemente “più Europa”. E via di seguito.
Leonardo Sinigaglia: Il marxismo e l’era multipolare – Parte I
Il marxismo e l’era multipolare – Parte I
di Leonardo Sinigaglia
Ogni Venerdì, per le prossime 8 settimane, vi proporremo un importante lavoro di analisi e approfondimento di Leonardo Sinigaglia dal titolo “Marxismo e Multipolarismo”
Negli ultimi decenni il “marxismo occidentale” ha mostrato un’arretratezza teorica tanto profonda da impedire qualsiasi presa di coscienza sulla reale portata e natura dei cambiamenti delle grandi trasformazioni in corso a livello internazionale, derubricate a “scontro tra opposti imperialismi” quando non direttamente viste attraverso gli occhi di Washington come “aggressione degli autoritarismi contro la democrazia”. Per i marxisti del resto del mondo è in realtà chiaro come la nostra epoca segni una cesura profonda rispetto al passato, essendo caratterizzata da cambiamenti mai visti da almeno un secolo capaci di stravolgere profondamente l’architettura internazionale portando al superamento della fase imperialista del capitalismo attraverso la costruzione di un mondo multipolare e di una comunità umana dal futuro condiviso.
La comprensione di ciò non è solo necessaria per afferrare correttamente la situazione presente, ma anche per rispondere politicamente in maniera organizzata ponendo correttamente le contraddizioni in ordine gerarchico e identificando quello che è il campo di battaglia principale, ossia quello collegato alla lotta per l’indipendenza nazionale dell’Italia, senza la quale qualsiasi progetto di riforma sociale non è altro che un vaneggiamento a-storico e slegato dalla realtà.
Questa serie di articoli mira a discutere di alcuni dei principali nodi teorici per arrivare a una migliore comprensione della fase presente e della natura degli attori che la caratterizzano.
1- L’evoluzione storica del socialismo
Il materialismo dialettico concepisce l’universo come “un movimento della materia, retto da leggi”, che si riflette nella nostra conoscenza, “prodotto superiore della natura”[1]. Il pensiero è riflesso di questa realtà, ed è perciò anch’esso in un processo di continuo movimento e trasformazione. Al modificarsi della realtà materiale non può che corrispondere una trasformazione del pensiero.
Roberto Iannuzzi: Trump torna sul trono di un’America in crisi
Trump torna sul trono di un’America in crisi
di Roberto Iannuzzi
Come già durante il primo mandato ottenuto nel 2016, Trump rappresenta un sintomo – non la causa – della crisi degli Stati Uniti, e di certo non ha in mano la ricetta per arrestarne il declino
Non è stato un testa a testa, come annunciavano tutti i sondaggi. Donald Trump ha vinto con grande margine, aggiudicandosi almeno 295 collegi (270 sono necessari per ottenere la presidenza) e lasciando Kamala Harris a 226 (dati quasi definitivi).
Il magnate repubblicano ha prevalso nei principali swing states (Wisconsin, Pennsylvania, Michigan, Georgia). Cosa non scontata, si è aggiudicato anche il voto popolare, con oltre 73 milioni di preferenze (la Harris è rimasta a 69).
I repubblicani hanno ottenuto la maggioranza al Senato (almeno 53 seggi) e sembrano avviati a mantenerla anche alla Camera. Trump ha attirato il voto della classe lavoratrice, dei giovani, dei neri, degli ispanici. Una vittoria che appare schiacciante su tutti i fronti.
Le ragioni del tracollo democratico
Come hanno fatto i democratici a perdere di fronte a un avversario che essi vedevano come un ex presidente due volte posto sotto impeachment, un criminale, un fascista, un buffone continuamente dileggiato?
Ecco alcune risposte a questo interrogativo, che perfino il New York Times ha saputo chiaramente elencare a posteriori: la designazione della Harris, un candidato debole, durante un frettoloso e antidemocratico processo di successione al presidente uscente Joe Biden; la sua incapacità di differenziarsi da quest’ultimo; la sua sciocca insistenza nel definire Trump “un fascista”, la quale implicava che anche i suoi sostenitori lo fossero; la sua eccessiva dipendenza dalle celebrità affiancata a un’evidente inabilità a formulare una motivazione convincente per la sua candidatura.
Nemmeno la guerra di sterminio condotta da Israele a Gaza, con la piena complicità e collaborazione dell’amministrazione Biden, ha favorito i democratici.
Fabrizio Marchi: Il suicidio, non assistito, dell’Europa
Il suicidio, non assistito, dell’Europa
di Fabrizio Marchi
Un nutrito gruppo di squadristi sionisti israeliani, ultras del Maccabi, sbarcati ad Amsterdam per assistere alla partita di calcio contro la locale squadra dell’Ajax, si è reso protagonista di oscene e violente provocazioni, scorrazzando impunemente per la città, strappando bandiere palestinesi dalle finestre, aggredendo un taxista di origini egiziane, lanciando slogan inneggianti al massacro dei bambini di Gaza e fischiando vergognosamente durante il minuto di silenzio per le vittime dell’alluvione a Valencia dal momento che gli spagnoli sono considerati troppo sensibili alla causa palestinese.
Questi gravissimi comportamenti hanno determinato la ovvia reazione di molte persone, non solo arabe o musulmane, che hanno ritenuto giusto e doveroso rispondere in modo concreto a tali violente provocazioni restituendo pan per focaccia agli squadristi del Maccabi, fra i quali – è ormai accertato – erano presenti anche agenti del Mossad, il famigerato servizio segreto israeliano. Non possiamo neanche escludere che la provocazione sia stata preventivamente orchestrata proprio dagli agenti del servizio segreto israeliano, infiltrati e camuffati da ultras, con lo scopo di suscitare l’inevitabile reazione di tutto il circo mediatico-politico che, come era prevedibile e senza nessuna esclusione, ha immediatamente derubricato quanto avvenuto a una sorta di “pogrom antiebraico, caccia all’ebreo, notte dei cristalli”.
Fabrizio Casari: Ucraina, l’aquila che divenne anatra
Ucraina, l’aquila che divenne anatra
di Fabrizio Casari
“La guerra in Ucraina? Potrei chiuderla in pochi giorni”. Così aveva assicurato in campagna elettorale, Donald Trump e non vi è dubbio che, per la concretezza fattuale dell’impegno, quello della guerra tra NATO (per tramite dell’Ucraina) e Russia è il primo banco di prova del neo ed ex presidente. Secondo il Wall Street Journal sono al lavoro i suoi consiglieri per consentirgli di mantenere la prima promessa elettorale entro l’insediamento alla Casa Bianca, il prossimo 25 gennaio. Come e se ci riuscirà, restano punti interrogativi, dal momento che per convincere Putin ci sarà bisogno di qualcos’altro che di vanterie.
Un possibile “piano”, tratteggiato da Keith Kellogg e Fred Fleitz, collaboratori di Trump durante il primo mandato alla Casa Bianca, ipotizza la sospensione dell’invio di armi a Kiev finché Zelensky non avvierà un negoziato serio. Sulla stessa linea il filosofo e politologo Francis Fukuyama, autore del gigantesco abbaglio sulla fine della storia dopo il 1991 ma considerato tutt’ora voce autorevole dei conservatori: dalle colonne del Financial Times scrive che la guerra contro la Russia era già indebolita prima del voto e che Trump può obbligare Zelensky ad accettare le condizioni russe fermando la fornitura di armi come fecero i repubblicani al Congresso durante sette mesi nello scorso inverno”.
Renato Rapino: Achtung! Omofobi!
Achtung! Omofobi!
Le sturmtruppen della falsa inclusione
di Renato Rapino
Durante la proiezione del film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, in anteprima per le scuole romane (tra le quali quella in cui insegno) all’auditorium di Roma, dalle scolaresche si sono levati schiamazzi e insulti omofobi da parte di alcuni studenti. Evento particolarmente grave anche perché il film si rifaceva a una storia vera conclusasi con un suicidio altrettanto drammaticamente reale.
Del film posso dire poco. Non l’ho ancora visto, quindi non è mia intenzione fare un discorso di critica artistica. Posso dire che il titolo rimanda a “Il ragazzo dai capelli verdi”, film del 1948 di Joseph Losey. Anche trama e tematiche di fondo sono simili. Anche nel film di Losey si tratta di una storia di emarginazione attivata da un fatto accidentale banale. Cambia ovviamente il contesto: qui abbiamo un’America che voleva mettersi alle spalle la tragedia della guerra, rischiando però, in quest’opera di rimozione, di “dimenticarsi” orfani e reduci e le relative difficoltà di un loro reinserimento sociale.
Tornando ai “fattacci dell’auditorium”, le reazioni dei media e dell’Ufficio Scolastico Regionale sono state immediate, esagerate e scomposte. Si è gridato a un allarme omofobia, gli insegnanti presenti alla proiezione e tutti i presidi delle scuole coinvolte sono stati immediatamente convocati e opportunamente “strigliati” dal responsabile dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio.
Ronnie Kasrils: Oltre la logica della disumanizzazione: Coloro per cui ora piangiamo vinceranno la guerra
Oltre la logica della disumanizzazione: Coloro per cui ora piangiamo vinceranno la guerra
di Ronnie Kasrils*
A Gaza, vengono uccisi sei bambini ogni ora.
Più di 17.000 bambini sono stati massacrati finora. Nessuno, nemmeno i poeti, riesce a trovare parole adeguate all’orrore rappresentato dalla fascista sete di sangue del regime israeliano e della società che lo sostiene.
Un anno dopo l’inizio dell’attacco a Gaza, oltre 42.000 persone sono state trucidate. Questo numero non comprende i dispersi. Si presume che più di 10.000 persone siano morte e i loro corpi siano sepolti sotto le macerie. Più di 100.000 persone sono ferite, molte in modo grave.
Uno studio pubblicato sulla stimata rivista medica The Lancet nel luglio di quest’anno ha stimato che il numero totale di morti, per cause dirette e indirette, potrebbe superare le 186.000 persone al 19 giugno 2024. Oltre il 70% dei morti sono donne e bambini. Oltre 1.000 bambini sono ora amputati, il numero più alto per un periodo storico comparabile.
Uno studio di Sophia Stamatopoulou-Robbins della Brown University, pubblicato il 7 ottobre di quest’anno, mostra che il 90% della popolazione di Gaza è sfollata, il 96% non ha cibo e acqua a sufficienza, non c’è elettricità e poco meno del 90% degli ospedali è stato distrutto, con più di 880 operatori sanitari uccisi.
Quattro bambini su cinque sono afflitti da depressione, dolore e paura. Le malattie infettive dilagano.
Nico Maccentelli: Anticapitalismo e antifascismo. Parte I
Anticapitalismo e antifascismo. Parte I
di Nico Maccentelli
Secondo Luciano Canfora, tutte le tendenze di sinistra oggi, pur richiamandosi al’antifascismo, “sono scese a patti con il capitalismo” (1.), per esempio contrastandone lo strapotere attraverso l’organizzazione sindacale”. Questo lo vediamo per esempio in quei contesti in cui le socialdemocrazie hanno ancora una funzione contenitiva e antiliberista delle tendenze politiche dominanti del capitalismo.
Ma fondamentalmente sappiamo che questo ottimismo dell’eminente filosofo è sempre meno giustificabile di fronte alla sussunzione di tali politiche dentro la sinistra stessa. Per cui l’anticapitalismo non è più tale in gran parte delle sinistre soprattutto governanti nei paesi atlantisti, ossia del blocco geopolitico in capo agli USA. E l’antifascismo di conseguenza diviene paravento pseudo-ideologico d’innanzi a quelle forze trasversali la società, dominate per lo più da settori di borghesia “perdente” nella redistribuzione sociale della ricchezza e dei poteri, definite “sovraniste” per contendere elettoralmente il governo. Un antifascismo di facciata che si muove al tempo stesso dentro il solco della svolta autoritaria del capitale monopolistico e finanziario, delle multinazionali, che in Occidente sta permeando anche attraverso l’emergenza (di volta in volta sanitaria, bellica, ambientale…) le nazioni della catena imperialista a dominanza USA.
L’antifascismo su questo falso terreno, non certo anticapitalista, ma del tutto strumentale alle politiche dominanti, diviene anche un’arma di distrazione di massa poiché il ruolo che il fascismo italiano del ventennio, o di un Pinochet, o dei colonnelli greci hanno avuto, al netto di tutte le distinzioni degli uni con gli altri e riguardo un sistema dove sulla carta vige la democrazia parlamentare (giusto sulla carta…), ossia di adozione di un regime totalitario contro l’avanzata sociale e di classe e le sue istanze emancipatrici, era ben altra cosa rispetto i fascismi odierni, che hanno ancora questo richiamo ideologico (in Italia Casapound e Forza Nuova). Il ruolo è molto simile a quello attuale dei governi che agiscono per conto dell’atlantismo a dominanza USA.
Il Pungolo Rosso: La sola cosa grande che può fare l’Amerika di Trump è seminare altro caos e guerra nel mondo intero
La sola cosa grande che può fare l’Amerika di Trump è seminare altro caos e guerra nel mondo intero
di Il Pungolo Rosso
“I Trump, i Musk e simili grandi-uomini-spazzatura possono soltanto dare un epilogo tragico alla vecchia storia di sfruttamento e predazione di cui non se ne può più”.
Ci torneremo su, quando sarà di nuovo alla Casa Bianca. Ma qualcosa va detta subito. Ed è che la possibilità che la banda-Trump/Musk possa fare l’Amerika “great again” è esclusa. La nuova “età dell’oro” che questi truffatori spaziali promettono al proprio “popolo” non ci sarà. Non è possibile che ci sia, semplicemente perché l’età dell’oro dell’imperialismo statunitense, che c’è stata effettivamente, è stata fondata sull’enorme sviluppo della grande industria, della tecnologia di avanguardia e dell’industrializzazione capitalistica dell’agricoltura. Su queste basi, e su due guerre mondiali vinte grazie alla propria superiorità industriale e tecnologica e alla propria auto-sufficienza alimentare, si fondano le ultime due armi esiziali rimaste nelle mani dei Trump e dei Biden: il signoraggio mondiale del dollaro e la macchina bellica tuttora più potente del mondo. Che, di necessità, essendosi di molto ridotta la solida base su cui poggiavano, hanno preso a traballare.
L’Amerika di oggi, avendo perso una bella quota della propria grande industria di un tempo per la spasmodica ricerca dei sovraprofitti dei propri trust che hanno – a partire dagli anni ‘60 – delocalizzato una enorme quota di produzione, è in cronico deficit commerciale con l’UE e con la Cina (e non solo). Parliamo di centinaia di miliardi di dollari l’anno di importazioni di ogni tipo di merci, a iniziare dalle macchine per la produzione industriale. Anche l’agricoltura statunitense ha iniziato da tempo a declinare, e del suo storico, indiscusso primato mondiale non ci sono più tracce. Ormai l’Amerika primeggia solo nella produzione di petrolio e di gas (quindi come stato che si nutre di rendita fondiaria) e nelle industrie della rete e della guerra, ma lo fa a fronte di concorrenti e avversari sempre più agguerriti, e in molti casi relativamente, o ampiamente, indipendenti dal suo potere.
Andrea Zhok: L’epoca dell’odio deideologizzato
L’epoca dell’odio deideologizzato
di Andrea Zhok*
Nella degenerazione contemporanea dello scenario politico una delle cose che più colpisce è lo scatenarsi di atteggiamenti di ferocia, disprezzo, disumanizzazione, psichiatrizzazione, demonizzazione dell’avversario. Lo si vede in questi giorni dopo la vittoria di Trump, con un proliferare di crolli nervosi che emergono in rete e nella pubblicistica di fronte alla “vittoria del Male”, ma lo si vede continuamente in mille contesti. Lo abbiamo visto nei giorni del Covid, dove abbiamo cercato di giustificare esibizioni di malvagità, crudeltà, auspici di morte con la dinamica psicologica della paura. Lo vediamo nel modo in cui si sviluppano (o meglio NON si sviluppano) i discorsi sulle tematiche del “politicamente corretto”, dove ogni discussione aperta è impossibile e dove sensibilità isteriche pronte a scatenarsi sbranando “il Male” sono onnipresenti. Lo vediamo nella demonizzazione delle alterità politiche sul piano internazionale.
Ciò che colpisce è come questa tendenza allo scontro inconciliabile, alla repulsione senza sconti né mediazioni, avvenga proprio nell’epoca per eccellenza della “fine delle ideologie”, della “fine delle grandi narrazioni”, della “secolarizzazione”.
Per come ci sono state raccontate molte vicende storiche, siamo abituati ad associare lo scontro senza esclusione di colpi all’attrito tra identità forti, identità collettive irriducibili, visioni del mondo radicalmente alternative.
Piccole Note: Trump, Netanyahu e il conflitto mediorientale
Trump, Netanyahu e il conflitto mediorientale
di Piccole Note
Al contrario di quanto si pensi, Trump e Netanyahu non sono legati a filo doppio, anzi
Se appare scontato che Trump cercherà di trovare una soluzione al conflitto ucraino, con esiti tutti da verificare, tanti ritengono che i suoi consolidati rapporti con Netanyahu daranno a quest’ultimo piena libertà di azione in Medio oriente. Al di là delle elusioni insite in quest’ultimo rilievo, dal momento che di tale libertà di azione ha goduto finora usando dell’assegno in bianco rilasciato dall’amministrazione Biden e dalla debolezza del vecchio presidente, riportiamo il contenuto di una nota dell’agenzia Newarab.
Le guerre mediorientali e il voto degli arabi americani per Trump
“I libanesi americani hanno votato Trump perché ha promesso di riportare la pace in Libano e perché Biden ‘è rimasto a guardare l’uccisione di bambini a Gaza e in Libano’”. Così Nabih Berri, leader di Amal, l’ala politica di Hezbollah e presidente del parlamento libanese, figura autorevole incaricata dal movimento sciita di mediare per suo conto.
Berri racconta anche che Trump, visitando un noto ristorante del Michigan, Stato dove la comunità araba è più forte e dove ha vinto, si è impegnato per scritto in tal senso su sollecitazione del proprietario del locale. Particolare folcloristico, certo, e forse limitato al momento elettorale, ma il fatto che Berri lo ricordi è degno di rilievo.
Dante Barontini: L’era del declino, con qualche brivido
L’era del declino, con qualche brivido
di Dante Barontini
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca segna un punto di svolta nell’”occidente collettivo”. Chi ne esce sconfitto è senza dubbio quello che si usa chiamare “l’establishment”. Quel “complesso di istituzioni che, in un Paese, detengono il potere sia nella vita politica in generale sia in singoli settori di attività, e le persone e i gruppi che sono a capo di tali istituzioni”.
Di fatto, quel miscuglio inestricabile di interessi economici e politici, fisicamente rappresentato da una classe politica intercambiabile e da imprenditori-banchieri di alto livello, oltre ad animatori di think-tank, direzione dei media e via elencando, fino ai sondaggisti. Una oligarchia indiscutibile che amava presentarsi come “la vera democrazia”.
Gli Stati Uniti avevano fin qui plasticamente rappresentato questa menzogna istituzionalizzata, dove i repubblicani e i “democratici” si alternavano senza scossoni, tra gentleman agreement o frequentazioni amichevoli, in sintonia con quel nebbioso “deep state” – ciò che dura, al di là dei cambi di maggioranza politica – composto da servizi segreti, esercito, complesso militare-industriale.
Ma una situazione sostanzialmente simile vigeva – e vige sempre meno – anche in Europa.